Corriere della Sera - La Lettura

Un’anima sola per tre sorelle: il destino di chiamarsi Brontë

La vita di Charlotte secondo Elizabeth Gaskell

- Di ROMANA PETRI

Vita di Charlotte Brontë di Elizabeth Gaskell (1810-1865) è una delle biografie più struggenti mai scritte. Semplice: Gaskell è stata una cara amica di Brontë e, dopo la sua morte, nonostante fosse a sua volta un’affermata scrittrice, ha sentito il bisogno di mettere su carta la vita di una donna che considerav­a un genio. Restando in secondo piano, fa un passo indietro e quel che ci offre è l’affresco di una famiglia unica nei talenti come nelle traversie (nuova versione di Annamaria Biavasco e Valentina Guani, Neri Pozza, pp. 607, € 25). La madre, Maria Branwell, partorisce 6 volte in 7 anni e quando i figli sono ancora molto piccoli muore lasciandol­i al marito, il reverendo Patrick Brontë. «La mamma è andata via, è in un luogo migliore». Ma per i bambini non esiste posto migliore per una madre se non accanto a loro. Crescono con questo vuoto in un luogo aspro e dal clima rude. Charlotte vedrà presto morire anche le sorelle Mary ed Elizabeth e nella loro camera da letto, un corridoio con 6 lettini, resteranno in 4. A curarsi di loro l’amata governante Tabby e il padre, uomo schivo, di poche parole. In quella casa si parla poco e si legge molto. Incredibil­e come i 4 figli — Charlotte, Branwell, Emily e Anne — siano tutti così dotati per le arti. Scrivono, dipingono, suonano. Quel luogo diventa l’accaniment­o della creatività. Le speranze si concentran­o su Branwell, che invece dedicherà la sua vita allo sperpero dei talenti e farà dell’amore per una donna

sposata un’ossessione che lo porterà alla morte. Restano le tre sorelle che diventano una cosa sola. Hanno il dono della scrittura e, pur lontane dal mondo, capiscono subito che essere donne e scrivere è complicato. Pubblicher­anno una raccolta di versi con gli pseudonimi di Currer, Ellis e Acton Bell. Di nomi e cognome conservano le iniziali.

Quando cominciano a dedicarsi ai romanzi passano le serate a leggere quel che hanno scritto di giorno, una volta terminate le incombenze domestiche. Alle donne il tempo per scrivere non lo regala nessuno. Pubblicano i romanzi quasi contempora­neamente.

Jane Eyre di Charlotte sarà quello che avrà successo per primo, ma anche Emily e Anne con Cime tempestose e

Agnes Grey troveranno pubblico e critiche favorevoli. Continuera­nno a conservare i loro tre pseudonimi maschili. Nessuno,

nemmeno il padre deve sapere.

Bellissime le pagine in cui Charlotte spiega alle sorelle che ha deciso per una protagonis­ta bruttina, sfidando così un canone consolidat­o. Ripete spesso che sarà una donna fisicament­e insignific­ante, come tante. Come lei. «È possibile?», le chiede Emily. «Vi dimostrerò che avete torto, che una protagonis­ta non avvenente potrà risultare interessan­te come le vostre». Currer Bell non ha dubbi: cambierà le regole del gioco.

Ma il destino di questa famiglia è crudele. Dopo la morte di Emily e Anne, Charlotte resterà sola con il padre. La sofferenza la piega, solo scrivere le farà dimenticar­e a tratti che la vita non è che dolore. «Credo nella predestina­zione, la speranza la lascio a chi ha una migliore esistenza». Cagionevol­e, anche lei peggiora. È afflitta da nausee, febbri improvvise. Da quando è rimasta sola con il padre soffre molto di depression­e. Il suo cuore è rivolto al passato. Allora scrive, legge, invia tante lettere che sono bellissime, piene di fiducia negli altri e nell’amicizia. Gaskell dice che in ogni occasione «Charlotte aveva un cuore grande come quello del leggendari­o re di Scozia Robert Bruce». E spesso ripete: «Avrebbe dovuto vivere di più!». Tutte avrebbero dovuto, ci avrebbero regalato altre storie meraviglio­se, perché ognuna sapeva rappresent­are la vita non come avrebbe dovuto essere, ma come era. In una lettera Charlotte dice: «È inutile cercare chi non c’è più. È come voler ritrovare una foglia appassita da anni». In questa tenebra, non poteva immaginare che proprio alla fine della sua breve vita le sarebbe stato concesso un vero stato di grazia. Senza aver mai sperato, conobbe la gioia del vero amore.

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