Corriere della Sera - La Lettura
Ma nel sogno americano si annida la schizofrenia
Dal 1945 al ’64 i signori Galvin mettono al mondo dieci figli maschi e due femmine, le ultime. Dei ragazzi, sei s’ammalano. Un’epopea tragica che Robert Kolker indaga a fondo, incrociandola con la missione della scienziata che provò a capire
Ci sono molte porte da cui si può entrare in Hidden Valley Road, monumentale lavoro di Robert Kolker, scrittore e giornalista investigativo americano. Hidden Valley Road si commenta da sé. È stato al primo posto della classifica di saggistica del «New York Times», selezionato dal book club della tanto esaltata Oprah Winfrey, nella lista dei libri preferiti del 2020 di Barack Obama e tanto altro.
Ci sono molte porte da cui si può entrare in Hidden Vallery Road e ogni porta spalanca un punto di vista diverso con cui guardare, e raccontare, questo libro.
Si può leggere come un libro di non fiction sulla discesa agli inferi di una famiglia, i Galvin. Si può leggere come un grandioso studio sulla storia della schizofrenia dagli anni Cinquanta a oggi. Si può leggere semplicemente come una storia di madri e di figli — ancor più che di padri e di figli — in cui tutto l’amore e tutti i legami sono terremotati, strappati o perfino cementati da un dolore che non si sa quando inizia e non si sa quando finisce. Un dolore che è il cuore di una doche opprime tutti i personaggi di questa storia, quelli sani e quelli malati: perché? Perché mi è successo di ammalarmi? Perché mi è successo di essere sano? Perché alle tragedie della mia famiglia ho reagito immolandomi, facendomi vampirizzare dalla cura di chi amavo, o perché, invece, ho reagito scappando, non trovando più il coraggio di vedere la distruzione sul volto dei miei familiari? Chi ha torto, e chi ragione?
Hidden Valley Road spalanca il suo abisso sotto i tuoi piedi, e se guardi l’abisso, si sa, l’abisso guarda te. Don e Mimi Galvin inseguono il sogno americano. Sposati da poco, dopo la Seconda guerra mondiale si stabiliscono a Colorado Springs, dove li porta il lavoro di Don nell’Air Force. Intanto, nel 1945 nasce Donald, il primo figlio. È un maschio, bello, intelligente e sano. Diventerà come suo padre. La famiglia s’ingrandisce vertiginosamente. Anche quando i medici consigliano a Mimi di fermarsi con le gravidanze, lei non si ferma. Tra il ’45 e il ’64 nascono 12 figli: dieci maschi e 2 femmine (le ultime). Margaret, la prima femmina, è la gioia di Mimi: finalmente una bambina. Don e Mimi vogliono ricreare una piccola America nelle mura familiari. E in effetti, anche se è difficile prendersi cura di così tanti bambini, sembrano riuscirci. Ma poi, succede qualcosa. Durante la prima adolescenza, Donald comincia a manifestare la sua stranezza. Ha improvvisi scatti di violenza, tortura e uccide un gatto, si butta nel fuoco. Perché lo fa? Non sa dirlo, sembra spaesato, è come se non fosse lui a fare quello che fa.
È solo l’inizio. Uno dopo l’altro, altri cinque figli dei Galvin impazziscono. Le figlie no. Alle due figlie, Margaret e Lindsay, non succede nulla di strano. Rimangono sane di mente, come la madre Mimi. Mentre Don sparisce sullo sfondo, si estranea, si ammala, cade in depressione, e poi muore. Perché a sei maschi della famiglia Galvin è capitata questa orribile malattia che si chiama schizofrenia? Perché a nessuna femmina è successo?
Oltre a raccontare la storia di questa famanda miglia, Kolker indaga le conoscenze scientifiche e i ricercatori che hanno provato a sciogliere il nodo di una patologia che ancora oggi non ha una spiegazione univoca. Le prime teorie: se una persona si ammalava, la colpa era delle madri. Madri schizofrenogene, si chiamavano. Donne che coi loro atteggiamenti avevano creato la malattia nei loro figli. Anche quando le teorie si evolveranno, le madri, e Mimi, rimarranno sempre sotto accusa: il dubbio che sia colpa loro se i figli non stanno bene le circonderà sempre, come un ritornello ripetuto sottovoce.
Passano gli anni per i fratelli Galvin. Brian, il quarto figlio, preda delle sue crisi psicotiche, spara a sua moglie e si uccide. È il primo a morire. Ma non sarà l’ultimo. Mimi s’impegna con tutte le forze a nascondere la malattia dei suoi figli, la distruzione della sua famiglia. Non ne parla con nessuno, non lo ammette neanche con Margaret o Lindsay. Voler preservare a tutti i costi una facciata di sanità e normalità che ha avuto una parte importante nella distruzione della sua famiglia? Certo è che Margaret e Lindsay — e questa è un’altra delle porte attraverso cui si può leggere Hidden Valley Road — si sentiranno abbandonate. E si chiederanno: perché mia madre ha avuto cura solo dei suoi figli malati e ha lasciato a sé quelli sani? Una spaccatura interiore che non si potrà mai sanare.
Passano gli anni per i fratelli e passano per la scienza. Esplode il dibattito tra natura e cultura. È la genetica la responsabile delle malattie mentali o è la famiglia? Domanda fondamentale che, attraverso i decenni, le teorie, gli studi, l’abuso di farmaci o il rifiuto di farmaci, la psichiatria, la psicoterapia, l’elettroshock non ha ancora una risposta precisa. Ed è questo che sentiamo risuonare più forte nel libro, ancora una volta la domanda delle domande: perché? Tra i tanti scienziati nominati in Hidden Valley Road emerge la figura di una ricercatrice, Lynn DeLisi, che con un cocciuto, mai pienamente riconosciuto lavoro di decenni, riesce forse per prima a porre davvero la questione: la schizofrenia può dipendere principalmente da un guasto genetico? Qui la storia dei Galvin e quella di DeLisi s’incontrano. La ricercatrice scopre questa famiglia flagellata dalla malattia, ne mappa il genoma, lo usa insieme a quello di altre famiglie per cercare di venire a capo di un disturbo sfuggente, dolorosissimo, e mortifero. Non si arrende mai.
Kolker racconta, così, l’epopea dei Galvin ma anche quella di DeLisi, e crea un libro che è un mondo ma anche un ultramondo o un mondo sommerso — la schizofrenia — grazie a un lavoro di scavo scientifico e interviste alla famiglia, a DeLisi, a psichiatri e ricercatori. «L’inaccettabilità della schizofrenia — scrive — è forse il suo aspetto più deleterio, ciò che impedisce a così tanta gente di avere un contatto con le persone malate».
Alla fine del libro, i primi ringraziamenti sono per Margaret e Lindsay Galvin: «Le due sorelle erano alla ricerca di un modo per far conoscere al mondo la storia della loro famiglia», per renderle giustizia. Le sorelle si sono strette e salvate a vicenda ma hanno preso due strade diverse. Una si è allontanata da quel grumo troppo devastante di dolore, l’altra ha messo tutto a repentaglio — anche l’equilibrio del suo matrimonio e del rapporto coi figli — per non lasciare mai soli la madre e i fratelli malati. Nessuno, in questa storia, ha torto o ragione. Soprattutto, non hanno ragione né Margaret né Lindsay. O meglio: ce l’hanno entrambe. La sofferenza è una materia viscida e collosa che ti può massacrare, o puoi provare a dominarla. Solo provare. Il dolore dei Galvin, scolpito nelle pagine di questo libro, non verrà mai più dimenticato.