Corriere della Sera - La Lettura
Alla fine dei mondi La dittatura dell’«io digitale» ha devastato i rapporti umani
Che cosa c’entra la società digitale con l’individualismo esasperato? A prima vista niente: sembrano due mondi distanti, l’uno riguarda la tecnologia, l’altro il comportamento umano. Invece c’è un legame stretto che li unisce, una sorta di causa-effetto micidiale su cui indaga Éric Sadin, filosofo francese della nuova generazione che, sulle orme di Gilbert Simondon e Bernard Stiegler, sviluppa un pensiero critico attraverso la lente delle nuove tecnologie. Sono queste, con i loro potenti dispositivi di comunicazione, a stravolgere le regole del
vivere comune. Il nuovo libro, dopo La critica della ragione artificiale (2019), s’intitola Io tiranno (Luiss University Press), con un sottotitolo altrettanto efficace: La società digitale e la fine del mondo comune. Una lettura originale del fenomeno, sempre più preoccupante, della rabbia dei singoli individui, che per le proporzioni assunte è un problema sociale. Le moltitudini, che avrebbero dovuto rappresentare (nella visione ottimistica di Toni Negri e Paolo Virno) la liberazione dell’individuo dallo stato di minorità e la sua autonomia grazie alle relazioni reticolari, hanno invece preso una deriva violenta e intollerante, chiudendosi all’interno di un isolamento che non prevede più il rispetto per l’altro.
La violenza, che Steven Pinker si ostina a ritenere in declino, s’è trasferita in rete, utilizza metodi più sofisticati, ma non meno letali, se si considerano i casi di depressione, aggressività, autolesionismo, quando non di istigazione al suicidio.
Come è potuto accadere?
L’individualismo liberale, osserva Sadin, è all’origine di questo sconvolgimento epocale, avendo assecondato «il soddisfacimento degli interessi dei singoli» come obiettivo primario. Pur avendo svincolato l’individuo dai freni inibitori, ha però cancellato il principio di autorità e, con la tecnologia digitale, ha accresciuto il senso di onnipotenza. Ha instillato l’illusione dell’autosufficienza, della capacità di affrontare da soli i problemi.
Tutto sembra ora possibile. Anche liberarsi delle imposizioni, del pensiero unico, del conformismo e della sottomissione, di una cultura a misura dei potenti e di una politica che si è dimostrata menzognera. La libertà di parola è stata il pretesto, ma anziché stringere i legami sociali tra coloro che chiedevano di essere ascoltati e di esprimere la loro contrarietà allo stato di fatto, ha frammentato ancora di più i rapporti umani; ha isolato le persone, le ha ridotte a monadi rabbiose che cercano di imporsi e di decidere del giusto e del vero.
Se le crisi economiche danno l’impressione di espropriare i cittadini — scrive Sadin — le scienze di inoculare veleni, la storia di fraintendere i fatti, la politica di voler controllare le persone, l’unica salvezza sembra risiedere nella tecnologia, asettica e neutrale, che permette di sentirsi al sicuro, di realizzarsi, di recuperare in rete la propria identità perduta. Stiamo vivendo la transizione per il metaverso, dove ognuno, chiuso in sé stesso, crea il proprio «io tiranno», detta proprie leggi e si vendica di un mondo ostile e indifferente.
Non solo si è rotta la fiducia negli altri, ma gli altri sono divenuti il nemico di cui diffidare e da combattere. La vita assomiglia a un videogame dove si salva chi colpisce per primo, trascorre come una serie interminabile di conflitti, senza concessioni e senza amore.
Sadin fa il caso di un film emblematico (perché cinema e serie tv hanno preso il posto dei romanzi nell’immaginario giovanile) tratto da un fatto di cronaca nera,
Elephant (2003) di Gus Van Sant. I due ragazzi protagonisti, Eric e Alex, apatici, bullizzati dai compagni, emarginati e disprezzati nell’ambiente scolastico che frequentano, si vendicano entrando un giorno a scuola e sparando sui compagni e gli insegnanti. Quando la mattanza è finita, Alex uccide Eric a sangue freddo. Senza ragione, se non per la solitudine, il disvalore della vita. O per la sensazione della propria onnipotenza, che fa ritenere di non avere più bisogno dell’altro. Neanche se è un amico.
Questi atteggiamenti, spiega Sadin, «sono rafforzati dall’accesso regolare alle informazioni — più o meno affidabili e spesso sconclusionate — reperite su internet, [...] che producono come effetto principale quello di sminuire il valore dei programmi ed erigere certe persone a frondisti in erba, convinti di essere perfettamente al corrente di cose indebitamente taciute». Convincimenti errati che costituiscono l’humus su cui coltivare le teorie del complotto, i negazionismi, i revisionismi bugiardi. Si costruisce una realtà alternativa, imposta con forza e diffusa sui social. È la tirannia del singolo che richiede un nuovo contratto sociale. Ma anche Rousseau si è trasferito, dati i tempi, su una piattaforma digitale.
Due libri, usciti quasi insieme, riflettono su due derive parallele, che mettono in forse la tenuta delle architetture sociali e la sopravvivenza stessa del pianeta. Il sociologo Éric Sadin e il giornalista Marco Pacini affrontano da due angolazioni lo stesso problema. Ineludibile