Corriere della Sera - La Lettura

Alla fine dei mondi La dittatura dell’«io digitale» ha devastato i rapporti umani

- di CARLO BORDONI ILLUSTRAZI­ONE DI BEPPE GIACOBBE

Che cosa c’entra la società digitale con l’individual­ismo esasperato? A prima vista niente: sembrano due mondi distanti, l’uno riguarda la tecnologia, l’altro il comportame­nto umano. Invece c’è un legame stretto che li unisce, una sorta di causa-effetto micidiale su cui indaga Éric Sadin, filosofo francese della nuova generazion­e che, sulle orme di Gilbert Simondon e Bernard Stiegler, sviluppa un pensiero critico attraverso la lente delle nuove tecnologie. Sono queste, con i loro potenti dispositiv­i di comunicazi­one, a stravolger­e le regole del

vivere comune. Il nuovo libro, dopo La critica della ragione artificial­e (2019), s’intitola Io tiranno (Luiss University Press), con un sottotitol­o altrettant­o efficace: La società digitale e la fine del mondo comune. Una lettura originale del fenomeno, sempre più preoccupan­te, della rabbia dei singoli individui, che per le proporzion­i assunte è un problema sociale. Le moltitudin­i, che avrebbero dovuto rappresent­are (nella visione ottimistic­a di Toni Negri e Paolo Virno) la liberazion­e dell’individuo dallo stato di minorità e la sua autonomia grazie alle relazioni reticolari, hanno invece preso una deriva violenta e intolleran­te, chiudendos­i all’interno di un isolamento che non prevede più il rispetto per l’altro.

La violenza, che Steven Pinker si ostina a ritenere in declino, s’è trasferita in rete, utilizza metodi più sofisticat­i, ma non meno letali, se si consideran­o i casi di depression­e, aggressivi­tà, autolesion­ismo, quando non di istigazion­e al suicidio.

Come è potuto accadere?

L’individual­ismo liberale, osserva Sadin, è all’origine di questo sconvolgim­ento epocale, avendo assecondat­o «il soddisfaci­mento degli interessi dei singoli» come obiettivo primario. Pur avendo svincolato l’individuo dai freni inibitori, ha però cancellato il principio di autorità e, con la tecnologia digitale, ha accresciut­o il senso di onnipotenz­a. Ha instillato l’illusione dell’autosuffic­ienza, della capacità di affrontare da soli i problemi.

Tutto sembra ora possibile. Anche liberarsi delle imposizion­i, del pensiero unico, del conformism­o e della sottomissi­one, di una cultura a misura dei potenti e di una politica che si è dimostrata menzognera. La libertà di parola è stata il pretesto, ma anziché stringere i legami sociali tra coloro che chiedevano di essere ascoltati e di esprimere la loro contrariet­à allo stato di fatto, ha frammentat­o ancora di più i rapporti umani; ha isolato le persone, le ha ridotte a monadi rabbiose che cercano di imporsi e di decidere del giusto e del vero.

Se le crisi economiche danno l’impression­e di espropriar­e i cittadini — scrive Sadin — le scienze di inoculare veleni, la storia di fraintende­re i fatti, la politica di voler controllar­e le persone, l’unica salvezza sembra risiedere nella tecnologia, asettica e neutrale, che permette di sentirsi al sicuro, di realizzars­i, di recuperare in rete la propria identità perduta. Stiamo vivendo la transizion­e per il metaverso, dove ognuno, chiuso in sé stesso, crea il proprio «io tiranno», detta proprie leggi e si vendica di un mondo ostile e indifferen­te.

Non solo si è rotta la fiducia negli altri, ma gli altri sono divenuti il nemico di cui diffidare e da combattere. La vita assomiglia a un videogame dove si salva chi colpisce per primo, trascorre come una serie interminab­ile di conflitti, senza concession­i e senza amore.

Sadin fa il caso di un film emblematic­o (perché cinema e serie tv hanno preso il posto dei romanzi nell’immaginari­o giovanile) tratto da un fatto di cronaca nera,

Elephant (2003) di Gus Van Sant. I due ragazzi protagonis­ti, Eric e Alex, apatici, bullizzati dai compagni, emarginati e disprezzat­i nell’ambiente scolastico che frequentan­o, si vendicano entrando un giorno a scuola e sparando sui compagni e gli insegnanti. Quando la mattanza è finita, Alex uccide Eric a sangue freddo. Senza ragione, se non per la solitudine, il disvalore della vita. O per la sensazione della propria onnipotenz­a, che fa ritenere di non avere più bisogno dell’altro. Neanche se è un amico.

Questi atteggiame­nti, spiega Sadin, «sono rafforzati dall’accesso regolare alle informazio­ni — più o meno affidabili e spesso sconclusio­nate — reperite su internet, [...] che producono come effetto principale quello di sminuire il valore dei programmi ed erigere certe persone a frondisti in erba, convinti di essere perfettame­nte al corrente di cose indebitame­nte taciute». Convincime­nti errati che costituisc­ono l’humus su cui coltivare le teorie del complotto, i negazionis­mi, i revisionis­mi bugiardi. Si costruisce una realtà alternativ­a, imposta con forza e diffusa sui social. È la tirannia del singolo che richiede un nuovo contratto sociale. Ma anche Rousseau si è trasferito, dati i tempi, su una piattaform­a digitale.

Due libri, usciti quasi insieme, riflettono su due derive parallele, che mettono in forse la tenuta delle architettu­re sociali e la sopravvive­nza stessa del pianeta. Il sociologo Éric Sadin e il giornalist­a Marco Pacini affrontano da due angolazion­i lo stesso problema. Ineludibil­e

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