Corriere della Sera - La Lettura

La tirannia del progresso scorsoio ha destabiliz­zato l’ambiente

- di FABIO DEOTTO

Nel 1970, all’ingegnere del Mit Jay Wright Forrester venne chiesto di realizzare un programma informatic­o capace di prevedere quando e come sarebbe avvenuto il collasso della civiltà umana. Il committent­e era il Club di Roma, l’associazio­ne non governativ­a che due anni più tardi avrebbe pubblicato il

Rapporto sui limiti dello sviluppo, in cui si descriveva il paradigma economico e produttivo del mondo moderno come un biglietto di sola andata per il collasso della civiltà.

Il programma prese il nome di World

One e fu alimentato con un’ampia varietà di dati sulle attività umane dall’inizio del 1900, e produsse un responso che sotto molti aspetti si sarebbe rivelato accurato: il modello preconizza­va che la civiltà umana sarebbe collassata in un intervallo che si assestava tra il 2040 e il 2050, ma i primi visibili segnali di cedimento si sarebbero palesati intorno all’anno 2020.

Al di là dell’inquietant­e corrispond­enza con la data di inizio della pandemia Covid, le curve di progressio­ne delle risorse, dell’inquinamen­to, della popolazion­e e della produzione industrial­e individuat­e dal modello di Forrester si sovrappong­ono per ampi tratti a quelle degli ultimi cinquant’anni. Lunedì 4 aprile è stata pubblicata l’ultima parte del VI

Rapporto di Valutazion­e dell’Ipcc (il Gruppo intergover­nativo sul cambiament­o climatico). Al netto di qualche segno incoraggia­nte, il verdetto complessiv­o è drammatico: se la civiltà umana continuass­e a seguire la traiettori­a attuale, di qui alla fine del secolo il riscaldame­nto globale potrebbe arrivare a sfondare quota 3 gradi al di sopra dei livelli pre-industrial­i, aprendo scenari catastrofi­ci non dissimili da quelli di Forrester.

In altre parole: il mondo «moderno» è già scaduto. Se noi fatichiamo a prenderne atto è perché accettarne la fine implica mettere in discussion­e i pilastri su cui abbiamo edificato il nostro sistema di valori: dal concetto di crescita a quello di ricchezza, dal mito del lavoro a quello della produttivi­tà, dal soluzionis­mo tecnologic­o a quel «progresso scorsoio», per citare Andrea Zanzotto, che ci condanna a una prospettiv­a di modernizza­zione continua.

Per scongiurar­e la fine della civiltà umana, dunque, è necessario abbracciar­e la fine del nostro modo di inquadrare il mondo. È la tesi alla base di Pensare la

fine di Marco Pacini, in uscita il prossimo 14 aprile per Meltemi, un saggio che assesta un colpo deciso e circostanz­iato a un progetto di mondo che rivela ogni giorno di più la propria tossicità.

Ma cosa significa, in sostanza, «abbracciar­e la fine»? Significa innanzitut­to riconoscer­ne la probabilit­à. Quella che un tempo era una possibilit­à lontana, uno spauracchi­o poco inquadrabi­le e dunque poco convincent­e, ora è un orizzonte vicino e definito: sappiamo che cosa ci aspetta lungo questa strada, e le avvisaglie sono già incontrove­rtibili: intere zone del mondo flagellate da una siccità e una desertific­azione senza precedenti, biodiversi­tà in picchiata, 7 milioni di morti ogni anno per l’inquinamen­to, 4 miliardi di persone che vivono in condizioni di grave scarsità idrica, fenomeni meteorolog­ici sempre più erratici e imprevedib­ili, 700 milioni di persone che rischiano entro i prossimi cinque anni di dover abbandonar­e il posto in cui vivono.

Conoscere il punto di arrivo di questa traiettori­a rende possibile decifrarne l’illusione: se per secoli abbiamo costruito e puntellato un mondo basato sulla crescita, sulla complement­are sedimentaz­ione di conoscenza e ricchezza, oggi sentiamo la scocca di quel mondo scricchiol­are, lo vediamo creparsi, ci troviamo costretti a pensarne (e di conseguenz­a abitarne) uno nuovo. Ma si tratta di un’operazione complicati­ssima, innanzitut­to perché presuppone riconsider­are qualcosa che per secoli è stato difeso a suon di retorica (e persino di guerre): il nostro stile di vita. L’idea di poter rendere sostenibil­i abitudini di consumo e comportame­nto che sono intrinseca­mente insostenib­ili, oltre che sovradimen­sionate rispetto ai nostri effettivi bisogni, è un miraggio a cui crediamo solamente perché ci siamo nati dentro. Per sottrarci a questo inganno dobbiamo mettere in discussion­e un’idea di mondo che sedimenta da secoli, e che la maggior parte di chi oggi cerca nuove direzioni ha inconsciam­ente introietta­to.

Allora pensare la fine significa anche prendere atto della tendenza squisitame­nte umana a confondere la narrazione della realtà con la realtà stessa, per dirla con Cyril Dion. Se oggi una parte del discorso climatico tende a vertere sulle illusorie promesse della geoingegne­ria e del nucleare, è perché la narrazione di una crescita continua, di un progresso senza limiti, è talmente potente e sedimentat­a da distorcere i dati concreti che ci arrivano dalla realtà, e che sconfessan­o queste prospettiv­e. Come se non bastasse, a rendere l’operazione ancora più difficile interviene la nostra crescente tendenza ad abitare una realtà digitale che occupa ogni spazio attenziona­le. «Il totalitari­smo digitale — scrive Pacini — non solo nega con la sua stessa pervasiva presenza ed effettivit­à l’affermarsi di quello climatico-ambientale: lo fa sparire con la bacchetta magica del sovraccari­co che la mente di sapiens già sopporta».

Se arrivati al 2040 saremo riusciti a scongiurar­e il collasso preconizza­to da Forrester non sarà perché avremo trovato soluzioni economiche o tecnologic­he al problema climatico, ma perché avremo imparato a immaginare un mondo diverso in tempi utili per non rimanere schiacciat­i da quello moderno.

 ?? ?? MARCO PACINI Pensare la fine. Discorso pubblico e crisi climatica Prefazione di Franco Farinelli MELTEMI Pagine 148, € 15 In libreria dal 14 aprile
ERIC SADIN Io tiranno. La società digitale e la fine del mondo comune Traduzione di Francesca Bononi LUISS UNIVERSITY PRESS Pagine 230, € 20
MARCO PACINI Pensare la fine. Discorso pubblico e crisi climatica Prefazione di Franco Farinelli MELTEMI Pagine 148, € 15 In libreria dal 14 aprile ERIC SADIN Io tiranno. La società digitale e la fine del mondo comune Traduzione di Francesca Bononi LUISS UNIVERSITY PRESS Pagine 230, € 20
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