Corriere della Sera - La Lettura
Ho visto la fine di Odessa Il capitombolo dell’umanità
agli occhi, mi ha distolto dal conflitto, anche se poi ti accorgi che se c’è una guerra in corso tutte le buone intenzioni sulla riconversione energetica vanno in malora, e di nuovo torniamo a parlare di petrolio e carbone. Invece di stare tutti assieme ad affrontare la sfida più importante, ci siamo messi a sparare e ad accelerare quel processo. Insomma, il fatto che la guerra diventi un elemento di disturbo nel nostro rapporto con la natura era già inscritto in quel mio lavoro che è una memoria del futuro, un ricordo di come ci siamo estinti. Sì, Odessa èun pugno. Ma a questo servono le opere, al di là di tutto quello che si dice sull’arte contemporanea: ti ci devi specchiare e ti devi sentire tanto sconfitto che poi ti viene voglia di cambiare». La rifarebbe allo stesso modo? «Sì, perché la verità è una soltanto, e una volta che l’hai detta rimane quella. Non è che la puoi fare diversa».
Il mio cuore è vuoto come uno specchio continua il suo viaggio. Altre tappe. La prossima avrebbe dovuto essere a San Pietroburgo. «Avevo scelto la Russia, ci sarei andato anche a guerra iniziata, il nuovo episodio parlava di come quel Paese non sia più una casa neanche per i russi. Doveva essere l’opera principale del festival Access Point. Lo scorso luglio, però, pochi giorni prima della presentazione del progetto a Ivangorod, mi hanno arrestato, interrogato e poi tenuto in un albergo finché non ho preso un aereo per l’Italia. Sono riuscito comunque a far lavorare i miei collaboratori e a mostrare a un piccolo pubblico l’opera. che in quella lingua non è mai stato pronunciato un ordine militare. Aggiunge Tosatti: «Io non prendo mai posizione nelle mie opere, sono solo un medium dello spirito del tempo, non sono io la voce. L’unica posizione che ho preso è stata la scelta della lingua, che è l’infrastruttura del pensiero. E visto che un mondo che vuole ragionare è un mondo che non deve concepire la guerra, allora la lingua del mio lavoro non deve neanche immaginare l’idea di guerra. È questa l’unica presa di posizione politica di un progetto che è il progetto della mia vita».
L’artista come Tiresia, come Cassandra. «Dice cose che non vorrebbe dire e di cui diventa vittima. Ne ho parlato durante una conversazione con il regista Romeo Castellucci per il numero di giugno dei “Quaderni d’arte italiana”, la rivista della Quadriennale di Roma (di cui Tosatti è direttore artistico, ndr)». Continua: «Gli artisti appartengono a un ordine consacrato alla verità. Anche quando non vogliamo ascoltarla. A Odessa c’erano i resti del segno che abbiamo lasciato, ma l’umanità non c’era più, come a Chernobyl. In tempi difficili come questi i poeti non devono mai smettere di parlare. Perché mostrando l’oscurità dei tempi c’è la possibilità di trovare la strada che ci porta al di fuori della notte».