Corriere della Sera - La Lettura
Eliminare il superfluo per salvare il futuro
Paolo Legrenzi illustra gli effetti benefici della sottrazione in campo cognitivo ed economico. Il nostro cervello predilige le addizioni ma dobbiamo abituarci a condurre un’esistenza frugale e sostenibile
Se fossimo coerenti, questa recensione sarebbe brevissima. Dovremmo togliere ogni decorazione superflua, eliminare aggettivi e limitarci all’essenziale. Il nuovo libro dello psicologo cognitivo Paolo Legrenzi Quando meno diventa più è un esempio di eleganza stilistica senza orpelli e di economia della mente, un manuale di scultura, l’arte di togliere materia con lo scalpello fino a raggiungere la pulizia della forma.
La forza dell’assenza viene esplorata nell’arte, nell’architettura, nella filosofia, nel linguaggio, nella musica con i silenzi di John Cage, nell’economia. L’autore riprende la lezione di Italo Calvino sul ruolo creativo dei vincoli, cioè dei limiti di possibilità, in letteratura. Mostra poi quanto le tecniche sottrattive siano importanti nelle scienze cognitive, per cogliere le regole generali di funzionamento della mente. Grazie alla sottrazione, ci concentriamo su un obiettivo senza distrarci troppo e liberiamo spazio mentale mentre svolgiamo azioni di routine come guidare o fare la doccia. La memoria stessa è una scultrice, perché se ricordassimo tutto e non dimenticassimo nulla impazziremmo. Inoltre, troppa memoria genera un eccesso di emozioni negative. Grazie al principio di parsimonia, secondo Legrenzi il meno diventa più, traducendo il motto minimalista della Bauhaus, less is more, che Ludwig Mies van der Rohe mutuò dal maestro Peter Behrens. In fondo, la scienza stessa si basa sulla sottrazione: scarnificare le proprietà secondarie della realtà, eliminare dettagli non rilevanti per cogliere le regolarità sottese; e poi mettere alla prova le proprie idee e nel caso rimuoverle, anziché confermarle a tutti i costi. Come insegnò Karl Popper, bisogna procedere «per sottrazione di falsità e non per addizione di verità».
L’inno al meno di Legrenzi è uno dei testi più intelligentemente in controtendenza dell’ultimo periodo, circondati come siamo da parole in eccesso, da ridondanze sensazionalistiche, e dal mantra della crescita quantitativa di beni e servizi. Per capire quanto siamo lontani, noi Homo sedicenti sapiens ,da un’etica della sottrazione, è sufficiente sbirciare nei carrelli in uscita dai supermercati il sabato mattina. La crescita sostenibile appare, scrive il docente emerito di Ca’ Foscari a Venezia, «come un traguardo ostico, difficile da raggiungere, talvolta un ossimoro». Non per questo egli auspica la decrescita, ma l’eliminazione del superfluo e la consapevolezza che la crescita economica non conduce di per sé a maggiore soddisfazione personale.
Il problema è che il nostro cervello ama le addizioni e fa fatica con le sottrazioni. Legrenzi lo spiega benissimo citando esperimenti ed esercizi di logica. La stessa propensione a immaginare l’evoluzione come un progresso lineare svela il nostro debole per l’addizione. Il paradosso è che anche la nostra resistenza cognitiva ed emotiva alle sottrazioni ha precise ragioni evolutive: i nostri antenati sono stati plasmati da ambienti in cui le risorse erano scarse e imprevedibili, dunque l’adattamento più efficace era accumularle finché ce n’erano. La predisposizione all’accaparramento come se non ci fosse un domani non favorisce, ovviamente, lungimiranza e sobrietà.
Legrenzi tuttavia non traduce questa evidenza biologica in una condanna. Giustamente, fa notare che il nostro plastico cervello (che non è una cipolla fatta di strati moderni aggiunti a quelli arcaici) ha tutti gli strumenti per modificare i comportamenti e le cattive abitudini culturali. Quindi, anche se è vero che il riscaldamento climatico è difficile da pensare (perché è un processo non lineare, lento, globale, transgenerazionale, senza un colpevole preciso se non noi stessi), ciò non costituisce affatto un alibi per la nostra inazione. Dobbiamo quindi alleviare il nostro impatto, alzare il piede dall’acceleratore, mitigare l’invadente presenza umana sulla Terra. Tutte sottrazioni, figlie della consapevolezza che il pianeta se la caverebbe benissimo (appunto) senza di noi. L’autore elogia il ruolo delle minoranze attive come pioniere del cambiamento e suggerisce una serie di buone pratiche di frugalità (nell’alimentazione, nelle mode, nei risparmi, nei sentimenti, provando a sottrarsi alla «dittatura delle abitudini consumistiche») e persino un decalogo per educare alla mentalità sottrattiva. Il rasoio di Occam, anzi di Legrenzi, riduce le categorie di classificazione degli altri, le paure inutili, i giudizi rapidi, le certezze intossicanti, i conformismi tribali, le giustificazioni «naturali».
Queste sono sottrazioni volontarie, che nel caos delle nostre esistenze isolano i momenti salienti, preziose e rare epifanie di verità e di densità che rendono unica e irripetibile la vita. Poi ci sono le sottrazioni involontarie, quelle della vecchiaia, dei lutti crescenti, della comprensione che non abbiamo più molto tempo davanti e conviene dedicarsi a ciò che conta. Fino alla sottrazione assoluta, la morte, che cerchiamo di compensare con riti, credenze e memorie digitali.
La stessa sottrazione non è sempre benefica. Basti pensare a come il dibattito pubblico è influenzato da semplificazioni indebite, da scorciatoie banalizzanti, da inerzie del passato, da pregiudizi di senso comune e dalla petulante invasione dei social media (il digitale è sottrazione di materialità, ma non per questo meno reale). Leggere Legrenzi è un allenamento mentale per riconoscere buone e cattive sottrazioni. Dopo tutto, anche studiare e conoscere sono sottrazioni, perché con fatica di Sisifo tolgono spazio al mare dell’ignoranza.
Ecco, non siamo riusciti a essere brevi, perché il libro è comunque ricchissimo di suggestioni. Ma per non tradirlo ulteriormente, non aggiungiamo altro.