Corriere della Sera - La Lettura
Afrhorror americano I corpi neri hanno paura
Le sofferenze non sono solo quelle prodotte da creature mostruose. Ce ne sono di terribili nel quotidiano. Fino a quella, estrema, di qualcuno che ti mette un ginocchio sul collo fino a soffocarti, o ti spara mentre sei a terra (è successo il 4 aprile). Ecco perché gli «autori black» riscrivono un genere
Nelle sue mille vite James Baldwin, grande scrittore afroamericano (1924-1987), si è occupato anche di cinema. Nel suo The Devil Finds Work, del 1976, Baldwin costruisce una sorta di memoir che parte dalla figura conturbante dell’attrice Joan Crawford per concludersi con una recensione-riflessione sul film horror L’esorcista di William Friedkin (1973). È proprio quest’ultimo film al centro di una tra le più geniali intuizioni dell’autore sulla natura del male. Per Baldwin L’esorcista banalizza il male, un male confezionato, quasi rassicurante. E sottolinea il fatto che è proprio questa banalizzazione la componente più terrificante e inquietante del film. In fondo, spiega Baldwin, la società (bianca) in questo modo si autoassolve, ritornando a una fittizia innocenza mai avuta. Ma questa per Baldwin è solo la fantasia di una classe dominante che non analizza mai il male che ha prodotto. I semi del male per Baldwin sono di fatto quelli che sono stati piantati sui corpi dei neri nelle piantagioni schiaviste: un male che continua a colpire e distruggere vite.
È da questa consapevolezza che sono partiti molti autori e autrici afroamericani per raccontare il male con la «M» maiuscola, non in romanzi convenzionali, ma ridisegnando il genere horror attraverso la quotidianità della vita dei neri. Dove la sofferenza non è inflitta da mostri con occhi fosforescenti ma da qualcuno che ti mette un ginocchio sul collo (come è successo a Minneapolis a George Floyd), o ti spara mentre sei a terra (come è successo il 4 aprile in Michigan a Patrick Lyoya, 26 anni, ucciso da un agente. Il video è stato diffuso giovedì 14 aprile).
Ultimamente sono stati i film ad avere portato fama al genere black horror ,coni successi di Scappa - Get Out (2017) e Noi (2019) del regista Jordan Peele (ne ha scritto «la Lettura» #521 del 21 novembre 2021), che capovolge la narrazione mettendo al centro la paura costante in cui vive un corpo nero (in uscita a luglio il nuovo Nope). Come del resto erano già note le rivisitazioni di classici come Dracula o Frankenstein nel genere della blaxploitation (da black, nero, ed exploitation, sfruttamento) degli anni Settanta. Ma è nella letteratura che questa riflessione trova sempre più spazio.
Un cammino letterario che viene da lontano nel quale l’horror afroamericano ha avuto due madrine d’eccezione che al genere hanno regalato una visione. La prima è la Nobel Toni Morrison (19312019) che in Amatissima (1987) mette l’elemento del fantastico e dell’orrorifico al centro della narrazione, con il fantasma pieno di rancore di una bambina uccisa dalla madre per non farla cadere nell’abisso di una vita in schiavitù. L’altra madrina è Octavia Butler (1947-2006). Etichettata come scrittrice di fantasy o di fantascienza, non manca in lei, che tra le prime ha trasportato l’esperienza afroamericana nel fantastico, l’elemento della paura, dell’angoscia, di un male che striscia e avanza. Lo si vede bene in Legami di sangue (1979) dove, attraverso un viaggio nel tempo, una donna di oggi approda nell’America delle piantagioni con il suo carico di frustate, stupri, pericoli. E poi, con ancora più vigore, il male è presente nella sua essenza più spaventosa in La luce del sole (2005), storia di una ragazza di 10 anni (che in realtà ne ha 53) che si sveglia in una grotta al buio e da lì sola si avventura per il mondo ignara di essere un vampiro, frutto di un esperimento genetico.
Da queste due madri letterarie parte la letteratura horror afroamericana di oggi. Una letteratura che ha prima di tutto dovuto lottare contro lo stereotipo che il genere ha creato sul corpo dei neri. È così che gli autori hanno ingaggiato una lotta contro il fatto che i neri nei film o nei libri horror fossero sempre i primi a morire, di solito figure ridicolizzate che non credevano nel male e ne venivano travolte, qualunque cosa fosse questo male: un mostro, uno squalo, un’orda di vampiri o un serial killer. Inoltre si è lottato molto con quello che in gergo veniva definito magical negro, ovvero il nero che nella storia è funzionale solo al protagonista bianco per metterlo in contatto con un mondo al di là dei mondi. Come la medium del film Ghost di Jerry Zucker (1990), interpretata dall’afroamericana Whoopi Goldberg, o come il personaggio di John Coffee, impersonato da Michael Clarke Duncan ne Il miglio verde di Frank Darabont (1999), che serve a illuminare il protagonista bianco (Tom Hanks).
Una delle autrici più attive oggi è Tananarive Due (1966), tra le pioniere del genere. Scrive dalla metà del 1990 e oggi, oltre a continuare a pubblicare libri, si occupa di sceneggiature, e insegna Black Horror and Afrofuturism all’Università della California a Los Angeles. Nelle sue interviste riconosce il debito verso figure come la già citata Octavia Butler o verso Jewelle Gomez (1948), autrice di The Gilda Stories (1991), saga di una vampira nera bisessuale, a partire da una piantagione in Louisiana nel 1850 fino ai giorni nostri. Tananarive Due, figlia di un’attivista per i diritti civili, Patricia Stephens Due, ha sempre avuto chiaro quanto fosse complesso essere neri negli Stati Uniti. E fin da giovanissima la sua attenzione è stata rivolta a mondi esoterici e inquietanti. Così quando sua madre le ha messo in mano Shining di Stephen King è stato chiaro il percorso da intraprendere. Come chiaro che l’horror dovesse essere decolonizzato dalle scorie di un suprematismo bianco che non voleva lasciare nemmeno la paura ai corpi neri.
Tananarive Due quindi ha cercato di creare personaggi con una agency, ovvero con la capacità di essere sé stessi e non «tipi» coloniali. Ha liberato i neri e le nere protagoniste dei suoi libri dal fardello di essere uno stereotipo fruibile e riconoscibile. Ha dato loro complessità. Questo si vede nel suo romanzo più famoso Good House (2003), dove una madre, Angela Toussaint, cerca di scoprire come mai il figlio si sia suicidato e che ruolo abbia avuto la comunità che circondava la casa dove l’atto s’è compiuto. Angela Toussaint è un personaggio vivo, di carne, muscoli e pensieri.
Lo sono anche i protagonisti di altri scrittori horror che stanno emergendo sulla scena. Un esempio è Victor LaValle (1972) che con il suo La ballata di Black Tom (2016) reimmagina una delle storie più razziste dell’horror, ovvero L’orrore a Red Hook di Howard Phillips Lovecraft (1927). LaValle riscrive di fatto la storia dalla prospettiva di una persona nera. Il protagonista non è più il poliziotto irlandese Malone di Lovercraft, ma Charles Thomas Tester, un intrattenitore nella Harlem del jazz.
John Edward Lawson (1974) invece è sia editore sia autore. Ha fondato la casa editrice indipendente Raw Dog Screaming Press, che nel 2018 è stata insignita dalla Horror Writers Association con lo Specialty Press Award, ed è anche un autore prolifico di racconti brevi. Di successo l’antologia Paramourn: Unfortunate Romances (2014), dedicata al lato horror e fantasy delle storie d’amore. Devil Entendre (2014) invece è un’antologia classica di racconti horror dove Lawson si concentra sui segreti del passato che si riverberano nel futuro.
Tra i nomi da citare c’è anche Chesya Burke, più volte paragonata a Octavia Butler per le sue contaminazioni fra horror, fantasy e fantascienza. Il suo attraversamento dei generi l’ha portata a prediligere il lirismo, che non manca mai nelle sue opere. Uno dei suoi lavori più conosciuti è The Strange Crimes of Little Africa (2015), un mystery dalle tinte fosche ambientato nel 1920 ad Harlem.
Oggi gli autori horror dialogano attraverso i generi e i mezzi artistici. La loro esperienza è stata magistralmente raccontata nel documentario Horror Noire: A History of Black Horror di Xavier Burgin (2019), basato sul libro di non fiction Horror Noire: Blacks in American Horror Films from the 1890s to Present di Robin R. Means Coleman (2011). Una carrellata di volti, temi, scritture che speriamo possano trovare la via degli scaffali italiani.