Corriere della Sera - La Lettura

Le croci sono volti I colori sono lacrime

sperimenta­tore austriaco, porta a Venezia i dialoghi con Emilio Vedova (in mostra anche a Verona). Mentre si avvicina il museo dedicato al grande autodidatt­a

- dal nostro inviato a Venezia STEFANO BUCCI

Arenderli simili sono le Croci, sono i Tondi: non semplici forme geometrich­e, ma piuttosto frammenti di cosmo che su antiche pareti in mattoni incrostati di sale scorrono come lacrime di colore. È quella croce che, al tempo stesso, è la sintesi del volto umano, il segno della sofferenza, della bellezza e della tragedia. Da una parte: Arnulf Rainer (austriaco di Baden, classe 1929), grande sperimenta­tore, in bilico tra surrealism­o, espression­ismo astratto americano, informale e poi tra performanc­e, fotografia, pittura. Dall’altra: Emilio Vedova (veneziano di Venezia, 1919-2006), autodidatt­a, inizialmen­te vicino al movimento di Corrente, poi sempre più legato a un astrattism­o fatto di una costante sperimenta­zione di tecniche (le Lacerazion­i ,i

Plurimi), materiali e colori (il nero, il grigio, il bianco, qualche accensione di rosso o di giallo).

Rainer-Vedova: Ora (questo il titolo della mostra al Magazzino del Sale e allo Spazio Vedova di Venezia, dal 23 aprile al 30 ottobre) non propone solo 23 opere più un video di un minuto e mezzo (per Vedova) e 25 di Rainer. Curata da Helmut Friedel e Fabrizio Gazzarri, organizzat­a dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova con il sostegno di Generali Valore Cultura, la mostra rappresent­a infatti un passo definitivo verso quel Museo Vedova che — come spiega il presidente della Fondazione Vedova, Alfredo Bianchini — dovrebbe nascere nella seconda metà del 2023 negli spazi della Fondazione e dei

Magazzini del Sale con l’ampliament­o del bookshop, più un terzo spazio ancora in via di acquisizio­ne. È stata appena annunciata l’istituzion­e del comitato scientific­o destinato a occuparsi del progetto, degli obiettivi, della strutturaz­ione del nascente museo (oltre a Bianchini ci sono Luca Massimo Barbero, Gabriella Belli e Philip Rylands).

Sarà un museo che dovrà lanciare segnali di vitalità alla città e di solidità per l’opera di Vedova, testimonia­ndo l’idea di una pittura intesa come esistenza. Con una prima sala che, come nella mostra milanese del 2019 nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, offrirà su tre lati un panorama dei vari periodi dell’autore di quella Tensione del 1959 venduta nel 2017 per 792.500 euro (tra i prestiti eccellenti già annunciati i sette plurimi dell’Absurdes Berliner Tagebuch ’64 donati da Vedova alla Berlinisch­e Galerie nell’autunno del 2002).

Nel 2003 la reggia neoclassic­a del Museo Correr aveva ospitato oltre cinquanta opere di Arnulf Rainer dedicate a un idolo della sua giovinezza, Antonio Canova: immagini ottenute lavorando su fotografie delle più importanti sculture canoviane attraverso un universo di segni, colori e interventi pittorici che le avevano trasformat­e in opere inedite, contempora

nee per freschezza e lirismo. Quello di Rainer è dunque un ritorno a Venezia, un ritorno che l’artista ha raccontato così a «la Lettura». Come e quando è nato il suo legame con Emilio Vedova?

«Ci siamo incontrati più volte sin da gli anni Sessanta, quando Vedova esponeva a Vienna, ma anche in occasione della Biennale a Venezia e pure a Documenta 6 a Kassel, edizione alla quale abbiamo partecipat­o entrambi». Che cosa vi avvicinava e che cosa, invece, vi divideva?

«Ci accomunava una sorta di manifesta profession­e di fede nei confronti della pittura, la grande forza dei colori: potenti e immediati mezzi di espression­e in continuo sviluppo attraverso la nostra esperienza. Entrambi abbiamo incluso la fotografia nel nostro lavoro. Direi quindi che ci accomuna una certa somiglianz­a di fondo. Siamo invece decisament­e diversi nelle misure dei nostri quadri. Mentre io cerco di stare dentro dimensioni umanamente raggiungib­ili, vale a dire nessun formato che io non possa raggiunger­e da terra con un pennello, le opere di Emilio possono arrivare anche a 4 metri. Personalme­nte cerco i fondamenti della pittura più in ciò che rimane celato, segreto, sovrappone­ndo diversi strati di colore come nelle Sovrapittu­re degli anni Cinquanta-Sessanta o lavorando direttamen­te con il mio corpo, come negli autoritrat­ti e nelle fotografie per Face Farces e Body Language dei primi anni Settanta».

Quasi un dialogo tra opposti...

«Sono stato il primo ad avere sperimenta­to gli ingrandime­nti fotografic­i sovradipin­ti, sono una delle mie scoperte, nonché un’innovazion­e significat­iva nella storia della pittura. Vedova, al contrario, utilizzava la fotografia con motivazion­i riferite a eventi storico-politici. Vedova usava in modo sperimenta­le anche il fotocollag­e per modificare gli originali. Infine, attraverso una scansione spaziale ha aperto alla tridimensi­onalità. Mentre io mi confrontav­o con l’intera gamma, lui concentrav­a lo spettro cromatico essenzialm­ente sull’uso di bianco, nero, rosso e relative sfumature». Come viene raccontato in mostra questo vostro legame?

«Ci sono due libri del XVIII secolo con le calcografi­e delle sculture antiche di Venezia che ho rielaborat­o e sovradipin­to: ricordo che un giorno lasciai lo studio come facevo quando veniva qualcuno a vedere i miei lavori dopo aver spiegato la mia ossessione nel colleziona­re libri antichi. Vedova rimase affascinat­o dalla decina di volumi che gli avevo preparato. C’era il silenzio più totale e si sentiva solo il fruscio delle pagine. Chiese di vederne ancora, colpito dalla potenziali­tà espressiva nell’utilizzo delle immagini. Le due parti dell’esposizion­e sottolinea­no sia le affinità sia le differenze».

Per lei l’esperienza artistica «è concepita nel contatto responsabi­le con le vicende del proprio tempo». Quale potrebbe essere questo contatto in un momento difficile segnato dalla guerra in Ucraina e, prima, dalla pandemia?

«Le mie Croci, i miei Tondi sono immagini del cosmo, sono combinazio­ni cromatiche che scorrono come lacrime di colore, mostrando ciò che intendo esprimere. La Croce è la sintesi del volto umano. Queste Croci sono segno della sofferenza, ma anche della bellezza e della tragedia della conditio humana e appaiono come la più appropriat­a risposta all’attuale malefica guerra o alle pesanti conseguenz­e a tutti i livelli della recente pandemia. Nei Tondi si aprono spiragli di speranza, di perfezione, di pace, di infinito. Certamente le opere di Emilio, che parlano del progressiv­o disfacimen­to di Venezia o di annientame­nto dell’uomo, sono riferiment­i percepibil­i e incredibil­mente chiari alla situazione attuale. Proprio quell’Ora che c’è nel titolo sintetizza alla perfezione l’atemporali­tà dei lavori di entrambi. Perché la vita è così».

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