Corriere della Sera - La Lettura
Poi la pittura si fa tondo e anche oltre
«una possibile dimensione di altro sentirsi». In un testo (presente come incipit della mostra) Vedova chiarisce: «Quando io ho preso per la gola il cerchio l’ho fatto quasi per una specie di sfida contro questa figura sacrale, Sancta sanctorum. Il tondo di Michelangelo, il tondo di Raffaello...! Affrontavo adesso la figura forse più proibitiva a me. Perché il tondo è il tondo sempre dell’ideologia. E il tondo della cristianità. E il tondo dell’umanesimo. E il tondo del mandala...».
Il mandala è una sorta di eterna rinascita. Nella tradizione buddhista è la rappresentazione simbolica del cosmo. Il cerchio, dunque, come simbolo di armonia cosmica e perfezione, metafora di un ordine sacro della natura. Ed è proprio un cosmo tutto da esplorare quello racchiuso nei Tondi di Vedova: le tele, alcune di quasi tre metri di diametro, sono dense di materia, con una eccezionale ricchezza di interventi, solchi, collage, sovrapposizioni, grumi di colore. Tutto è costruito sulla radicalità del segno: delle linee spezzate, delle pennellate come fendenti. E ogni frammento di pittura rivela nuovi universi, forme nascoste in una costante tensione pittorica.
Ecco quello che vediamo nei due cicli di lavori presenti in mostra, sia nei Tondi che negli Oltre: Vedova interviene sulla tela senza ordine, con una straordinaria spontaneità del segno. Gli elementi della sua pittura sono molto riconoscibili; grazie ad essi si è affermato come un grande protagonista internazionale dell’arte informale. Ma a differenza dei Tondi, negli Oltre Vedova inserisce il cerchio all’interno di una superficie squadrata, accentuando così il dialogo e il contrasto tra le figure geometriche.
Lo stesso Vedova teorizzò così questo ciclo di lavori: «Quella terra-di-nessuno — l’ambigua conflittualità... negli Oltre il senso dell’imprendibile limite, dello “sporgersi” oltre...».
Probabilmente proprio nella spinta oltre i confini della tela e nella sfida filosofica verso il superamento del limite della pittura risiede la vera forza di Emilio Vedova: lui, figlio di un operaio; lui, partigiano e pittore autodidatta; lui, che tra i pittori del passato amava soprattutto Tintoretto (perché era un ribelle e raccontava il popolo); lui, capace di interpretare e difendere la pittura come linguaggio politico; lui, che vince il Leone d’oro alla carriera e sempre lui, che con Luigi Nono dà vita a uno storica rappresentazione del Prometeo alla Fenice. E ancora lui, che amava il pensiero mistico e la mitologia, proprio come Prometeo, un altro ribelle che ha sfidato Zeus, ci appare oggi ancora di più come quel pittore ostinato e libero che è stato per tutta la vita. Ma con il destino di un dio dolente perché ha amato i mortali oltre misura.