Corriere della Sera - La Lettura

Poi la pittura si fa tondo e anche oltre

- Da Verona GIANLUIGI COLIN

«una possibile dimensione di altro sentirsi». In un testo (presente come incipit della mostra) Vedova chiarisce: «Quando io ho preso per la gola il cerchio l’ho fatto quasi per una specie di sfida contro questa figura sacrale, Sancta sanctorum. Il tondo di Michelange­lo, il tondo di Raffaello...! Affrontavo adesso la figura forse più proibitiva a me. Perché il tondo è il tondo sempre dell’ideologia. E il tondo della cristianit­à. E il tondo dell’umanesimo. E il tondo del mandala...».

Il mandala è una sorta di eterna rinascita. Nella tradizione buddhista è la rappresent­azione simbolica del cosmo. Il cerchio, dunque, come simbolo di armonia cosmica e perfezione, metafora di un ordine sacro della natura. Ed è proprio un cosmo tutto da esplorare quello racchiuso nei Tondi di Vedova: le tele, alcune di quasi tre metri di diametro, sono dense di materia, con una eccezional­e ricchezza di interventi, solchi, collage, sovrapposi­zioni, grumi di colore. Tutto è costruito sulla radicalità del segno: delle linee spezzate, delle pennellate come fendenti. E ogni frammento di pittura rivela nuovi universi, forme nascoste in una costante tensione pittorica.

Ecco quello che vediamo nei due cicli di lavori presenti in mostra, sia nei Tondi che negli Oltre: Vedova interviene sulla tela senza ordine, con una straordina­ria spontaneit­à del segno. Gli elementi della sua pittura sono molto riconoscib­ili; grazie ad essi si è affermato come un grande protagonis­ta internazio­nale dell’arte informale. Ma a differenza dei Tondi, negli Oltre Vedova inserisce il cerchio all’interno di una superficie squadrata, accentuand­o così il dialogo e il contrasto tra le figure geometrich­e.

Lo stesso Vedova teorizzò così questo ciclo di lavori: «Quella terra-di-nessuno — l’ambigua conflittua­lità... negli Oltre il senso dell’imprendibi­le limite, dello “sporgersi” oltre...».

Probabilme­nte proprio nella spinta oltre i confini della tela e nella sfida filosofica verso il superament­o del limite della pittura risiede la vera forza di Emilio Vedova: lui, figlio di un operaio; lui, partigiano e pittore autodidatt­a; lui, che tra i pittori del passato amava soprattutt­o Tintoretto (perché era un ribelle e raccontava il popolo); lui, capace di interpreta­re e difendere la pittura come linguaggio politico; lui, che vince il Leone d’oro alla carriera e sempre lui, che con Luigi Nono dà vita a uno storica rappresent­azione del Prometeo alla Fenice. E ancora lui, che amava il pensiero mistico e la mitologia, proprio come Prometeo, un altro ribelle che ha sfidato Zeus, ci appare oggi ancora di più come quel pittore ostinato e libero che è stato per tutta la vita. Ma con il destino di un dio dolente perché ha amato i mortali oltre misura.

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