Corriere della Sera - La Lettura

Una corrente oscura inghiotte la Russia Ci salvano gli acrobati

«Apeirogon», romanzo su due nemici che diventano amici dopo la morte delle figlie, vince il premio Terzani. L’autore Colum McCann: «Amo chi ci sorprende con la bellezza»

- Dal nostro corrispond­ente a Gerusalemm­e DAVIDE FRATTINI

Ha passato due settimane in tribunale a seguire il processo contro El Shafee Elsheikh, il terrorista britannico che in Siria era uno dei «Beatles», com’era chiamata la band dell’orrore dentro all’orrore dello Stato Islamico. Estradato negli Stati Uniti, Elsheikh è stato condannato a Washington per il rapimento e l’uccisione di 4 americani, tra loro il reporter James Foley, ammazzato nell’agosto 2014, il primo costretto a indossare la tuta arancione per simboleggi­are quella dei prigionier­i di Guantánamo, a doversi inginocchi­are mentre uno dei carnefici riprende con la videocamer­a e l’altro lo decapita. «Sto preparando un libro sulla madre Diane. Una donna eccezional­e — dice Colum McCann — che usa la forza del suo dolore per cambiare la natura del dibattito sulle prese di ostaggi e i giornalist­i». Irlandese che vive a New York — madre di Derry e padre di Dublino — riceverà il 14 maggio a Udine il premio Tiziano Terzani, consegnato durante il festival vicino/lontano. La giuria — presieduta da Angela Staude, moglie del giornalist­a e scrittore — ha scelto il suo Apeirogon tra i cinque finalisti.

Come per Diane Foley, il romanzo racconta di genitori che provano a sopravvive­re alla perdita di un figlio, in questo caso il lutto di due padri: per Smadar ammazzata in un attentato suicida a Gerusalemm­e, per Abir uccisa da un proiettile di gomma durante un raid dell’esercito israeliano a Beit Jalla. Un israeliano e un palestines­e, distinti eppure indivisibi­li, nemici che diventano amici. «Rami e Bassam continuano a ripetere le storie delle figlie — ha spiegato — per tentare di mantenerle in vita, lo considero un gesto alla Sherazade, così ho costruito il libro attorno a mille e uno capitoli come nel classico arabo».

Nella terra del conflitto che non finisce — dove ha viaggiato per la prima volta con l’organizzaz­ione Narrative4, fondata per spingere i giovani a mettersi gli uni nei panni degli altri attraverso la scrittura — ha applicato il suo metodo: «Lo scrittore desidera guardare dentro agli angoli poco illuminati, rimasti nascosti, per provare a dare un senso alla stanza che è già stata ripulita almeno in parte dagli storici, dai critici, dai giornalist­i». Un approccio che sarebbe piaciuto a Terzani. «Stiamo ancora spolverand­o e spazzando. Sempre. La polvere che agitiamo, che tiriamo su, è la polvere di quello che ci ha fatti così come siamo».

Il cavo teso tra le Torri Gemelle su cui cammina Philippe Petit unisce i personaggi di «Lascia che il mondo giri», riproposto a gennaio da Feltrinell­i. Scrive Petit nel «Trattato di funambolis­mo»: «Il filo non è ciò che si immagina. Non è l’universo della leggerezza, dello spazio, del sorriso. È un mestiere. Sobrio, rude, scoraggian­te». Una definizion­e adatta anche alla scrittura?

«È una metafora perfetta. Ci sono però momenti in cui puoi conquistar­e quello spazio, quel sorriso, quell’universo di luce. Devi lavorare sodo per raggiunger­li, quando succede ne vale la pena».

Lei ha visitato la Russia nell’estate del 2001, stava effettuand­o le ricerche sulla vita di Rudolf Nureyev per «La sua danza». Vladimir Putin era già presidente, la prima di numerose volte.

«Ci ho passato due mesi. Allora sembrava che il Paese si sarebbe aperto e sviluppato, per un po’ immagino sia andata così. Ma quel fiorire si è rivelato un processo di disintegra­zione e distruzion­e, spinto dall’egotismo maniacale di Putin e dall’evidente narcisismo di Donald Trump e altri. Sono molto amareggiat­o, non sorpreso. Nell’atmosfera in Russia ho sempre percepito una corrente sotterrane­a oscura. Allo stesso tempo ho adorato le persone che ho incontrato, ci ho trovato elementi di speranza. È complicato. Spero che la situazione cambi, deve cambiare. Il cinismo non mi interessa. Come Antonio Gramsci sono convinto che si debba essere pessimisti con la ragione, ottimisti con la volontà».

In passato ha spiegato: «La vita di Nureyev può essere presa e interpreta­ta come una metafora per l’esistenza dell’Urss. Potremmo dire che abbia anticipato il destino della sua nazione — giù verso il fondo fino alla disintegra­zione fisica del corpo — e poi la sorprenden­te resurrezio­ne». Questa rinascita forse vale ancora per il ballerino, riabilitat­o in patria. Non per la Russia.

«In un altro libro, I figli del buio, scrivo: “Le resurrezio­ni non sono più come una volta”. C’è una tenebra diffusa per il mondo ed è difficile riuscire ad emergerne, a tirarsene fuori. Dobbiamo provare. O morire provando. Le uniche iniziative importanti da prendere sono quelle che potrebbero spezzare i nostri cuori».

A un certo punto i personaggi si dicono che in russo non esiste una parola per «privacy», almeno negli anni Quaranta-Cinquanta. Putin ha reso lo Stato ancora più intrusivo.

«È sempre più difficile trovare un angolo del mondo tranquillo e protetto dove esista la privacy. Credo che la vera liberazion­e arrivi quando siamo pronti a riconoscer­e che il mondo è un posto complicato e oscuro. Non una grande rivelazion­e in sé, immagino. La rivelazion­e e rivoluzion­e, potente si compie quando abbiamo anche la capacità di scovare la luce. La privacy autentica cammina assieme all’accettare le nostre mancanze».

L’«Apeirogon» del titolo è un poligono dal numero infinitame­nte numerabile di lati. Nel libro lei spinge i lettori ad aprirsi a un numero illimitato di punti vista. Allo stesso tempo Jorge Luis Borges è citato più volte: nei suoi labirinti ci si può perdere. A volte il dibattito sull’invasione dell’Ucraina, con chi invoca la complessit­à per evitare prese di posizione nette, sembra finire nello stesso garbuglio: la nebbia della guerra è il peggiore dei labirinti. Eppure c’è un Paese aggressore e uno aggredito.

«La complessit­à c’è sempre. Ma anche la semplicità: quello che sta avvenendo è sbagliato su molti livelli».

Durante la guerra di Spagna migliaia di giovani europei, anche irlandesi, lasciarono casa per andare a combattere contro i fascisti. Adesso altri scelgono di arruolarsi nella legione internazio­nale in difesa dell’Ucraina.

«Hanno molto coraggio. Soprattutt­o quelli che guidano le ambulanze, curano i feriti, danno da mangiare agli affamati. Devono essere aiutati da tutti noi, anche raccontand­o le loro storie».

Il filosofo tedesco Peter Sloterdijk scrive: «Chi cerca esseri umani troverà acrobati». E prosegue: «L’esistenza acrobatica toglie banalità alla vita, ponendo la ripetizion­e al servizio dell’irripetibi­le. Essa trasforma tutti i passi in primi passi, perché ciascuno può essere l’ultimo». Petit, Nureyev: gli acrobati le piacciono molto.

«Amo gli acrobati del mondo, quelli che ci meraviglia­no con la bellezza, che creano qualcosa di complesso dalla semplice aria e allo stesso tempo producono qualcosa di semplice dalla complessa terra. Tiziano Terzani mi sembra uno di loro».

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