Corriere della Sera - La Lettura
Una corrente oscura inghiotte la Russia Ci salvano gli acrobati
«Apeirogon», romanzo su due nemici che diventano amici dopo la morte delle figlie, vince il premio Terzani. L’autore Colum McCann: «Amo chi ci sorprende con la bellezza»
Ha passato due settimane in tribunale a seguire il processo contro El Shafee Elsheikh, il terrorista britannico che in Siria era uno dei «Beatles», com’era chiamata la band dell’orrore dentro all’orrore dello Stato Islamico. Estradato negli Stati Uniti, Elsheikh è stato condannato a Washington per il rapimento e l’uccisione di 4 americani, tra loro il reporter James Foley, ammazzato nell’agosto 2014, il primo costretto a indossare la tuta arancione per simboleggiare quella dei prigionieri di Guantánamo, a doversi inginocchiare mentre uno dei carnefici riprende con la videocamera e l’altro lo decapita. «Sto preparando un libro sulla madre Diane. Una donna eccezionale — dice Colum McCann — che usa la forza del suo dolore per cambiare la natura del dibattito sulle prese di ostaggi e i giornalisti». Irlandese che vive a New York — madre di Derry e padre di Dublino — riceverà il 14 maggio a Udine il premio Tiziano Terzani, consegnato durante il festival vicino/lontano. La giuria — presieduta da Angela Staude, moglie del giornalista e scrittore — ha scelto il suo Apeirogon tra i cinque finalisti.
Come per Diane Foley, il romanzo racconta di genitori che provano a sopravvivere alla perdita di un figlio, in questo caso il lutto di due padri: per Smadar ammazzata in un attentato suicida a Gerusalemme, per Abir uccisa da un proiettile di gomma durante un raid dell’esercito israeliano a Beit Jalla. Un israeliano e un palestinese, distinti eppure indivisibili, nemici che diventano amici. «Rami e Bassam continuano a ripetere le storie delle figlie — ha spiegato — per tentare di mantenerle in vita, lo considero un gesto alla Sherazade, così ho costruito il libro attorno a mille e uno capitoli come nel classico arabo».
Nella terra del conflitto che non finisce — dove ha viaggiato per la prima volta con l’organizzazione Narrative4, fondata per spingere i giovani a mettersi gli uni nei panni degli altri attraverso la scrittura — ha applicato il suo metodo: «Lo scrittore desidera guardare dentro agli angoli poco illuminati, rimasti nascosti, per provare a dare un senso alla stanza che è già stata ripulita almeno in parte dagli storici, dai critici, dai giornalisti». Un approccio che sarebbe piaciuto a Terzani. «Stiamo ancora spolverando e spazzando. Sempre. La polvere che agitiamo, che tiriamo su, è la polvere di quello che ci ha fatti così come siamo».
Il cavo teso tra le Torri Gemelle su cui cammina Philippe Petit unisce i personaggi di «Lascia che il mondo giri», riproposto a gennaio da Feltrinelli. Scrive Petit nel «Trattato di funambolismo»: «Il filo non è ciò che si immagina. Non è l’universo della leggerezza, dello spazio, del sorriso. È un mestiere. Sobrio, rude, scoraggiante». Una definizione adatta anche alla scrittura?
«È una metafora perfetta. Ci sono però momenti in cui puoi conquistare quello spazio, quel sorriso, quell’universo di luce. Devi lavorare sodo per raggiungerli, quando succede ne vale la pena».
Lei ha visitato la Russia nell’estate del 2001, stava effettuando le ricerche sulla vita di Rudolf Nureyev per «La sua danza». Vladimir Putin era già presidente, la prima di numerose volte.
«Ci ho passato due mesi. Allora sembrava che il Paese si sarebbe aperto e sviluppato, per un po’ immagino sia andata così. Ma quel fiorire si è rivelato un processo di disintegrazione e distruzione, spinto dall’egotismo maniacale di Putin e dall’evidente narcisismo di Donald Trump e altri. Sono molto amareggiato, non sorpreso. Nell’atmosfera in Russia ho sempre percepito una corrente sotterranea oscura. Allo stesso tempo ho adorato le persone che ho incontrato, ci ho trovato elementi di speranza. È complicato. Spero che la situazione cambi, deve cambiare. Il cinismo non mi interessa. Come Antonio Gramsci sono convinto che si debba essere pessimisti con la ragione, ottimisti con la volontà».
In passato ha spiegato: «La vita di Nureyev può essere presa e interpretata come una metafora per l’esistenza dell’Urss. Potremmo dire che abbia anticipato il destino della sua nazione — giù verso il fondo fino alla disintegrazione fisica del corpo — e poi la sorprendente resurrezione». Questa rinascita forse vale ancora per il ballerino, riabilitato in patria. Non per la Russia.
«In un altro libro, I figli del buio, scrivo: “Le resurrezioni non sono più come una volta”. C’è una tenebra diffusa per il mondo ed è difficile riuscire ad emergerne, a tirarsene fuori. Dobbiamo provare. O morire provando. Le uniche iniziative importanti da prendere sono quelle che potrebbero spezzare i nostri cuori».
A un certo punto i personaggi si dicono che in russo non esiste una parola per «privacy», almeno negli anni Quaranta-Cinquanta. Putin ha reso lo Stato ancora più intrusivo.
«È sempre più difficile trovare un angolo del mondo tranquillo e protetto dove esista la privacy. Credo che la vera liberazione arrivi quando siamo pronti a riconoscere che il mondo è un posto complicato e oscuro. Non una grande rivelazione in sé, immagino. La rivelazione e rivoluzione, potente si compie quando abbiamo anche la capacità di scovare la luce. La privacy autentica cammina assieme all’accettare le nostre mancanze».
L’«Apeirogon» del titolo è un poligono dal numero infinitamente numerabile di lati. Nel libro lei spinge i lettori ad aprirsi a un numero illimitato di punti vista. Allo stesso tempo Jorge Luis Borges è citato più volte: nei suoi labirinti ci si può perdere. A volte il dibattito sull’invasione dell’Ucraina, con chi invoca la complessità per evitare prese di posizione nette, sembra finire nello stesso garbuglio: la nebbia della guerra è il peggiore dei labirinti. Eppure c’è un Paese aggressore e uno aggredito.
«La complessità c’è sempre. Ma anche la semplicità: quello che sta avvenendo è sbagliato su molti livelli».
Durante la guerra di Spagna migliaia di giovani europei, anche irlandesi, lasciarono casa per andare a combattere contro i fascisti. Adesso altri scelgono di arruolarsi nella legione internazionale in difesa dell’Ucraina.
«Hanno molto coraggio. Soprattutto quelli che guidano le ambulanze, curano i feriti, danno da mangiare agli affamati. Devono essere aiutati da tutti noi, anche raccontando le loro storie».
Il filosofo tedesco Peter Sloterdijk scrive: «Chi cerca esseri umani troverà acrobati». E prosegue: «L’esistenza acrobatica toglie banalità alla vita, ponendo la ripetizione al servizio dell’irripetibile. Essa trasforma tutti i passi in primi passi, perché ciascuno può essere l’ultimo». Petit, Nureyev: gli acrobati le piacciono molto.
«Amo gli acrobati del mondo, quelli che ci meravigliano con la bellezza, che creano qualcosa di complesso dalla semplice aria e allo stesso tempo producono qualcosa di semplice dalla complessa terra. Tiziano Terzani mi sembra uno di loro».