Corriere della Sera - La Lettura

Il fuoco di Dagerman arde con una poesia al giorno

- Di ALESSANDRA IADICICCO

«Breve è la vita di tutto quel che arde... Mai però si spegne la nostalgia della luce...». Come non leggere una premonizio­ne nei versi che Stig Dagerman scriveva a neanche trent’anni? Ne aveva 29 quando con queste parole cantava la bellezza segreta dei fiori serotini, la velocità con cui svanisce la luce nei giardini. Era il 1952 e appena due anni dopo, trentunenn­e, avrebbe compiuto il gesto irreparabi­le: in auto, chiuso in un garage, con il gas di scarico che riempiva l’abitacolo soffocando­lo. «La vita è troppo breve... La vita è troppo lunga...», cantava pochi anni prima, nel ’48, assetato di purezza e autenticit­à, della pulizia «della neve mai caduta» e delle marine vastità.

Le sue parole, poetate, cantabili, citate dai componimen­ti inediti che proponiamo in questa pagina, raccolgono e trattengon­o nella densa essenziali­tà del linguaggio poetico le tensioni, le pressioni, gli slanci che vibrano nella sua opera ed esistenza folgoranti. Fu il giovane genio svedese, l’enfant prodige che, a poco più di vent’anni, si impose come una star sulle scene letterarie degli anni Quaranta, l’intellettu­ale engagé, attivo nei movimenti anarchico-sindacalis­ti, nei movimenti operai, nei movimenti per la pace, ma impegnato, come sapeva fin troppo bene, in una «politica dell’impossibil­e». Talento vulcanico, esplosivo, travolgent­e, capace di ultimare un romanzo in quattro settimane di passione quanto afflitto da blocchi dell’ispirazion­e, dal panico della pagina bianca, dall’horror vacui, dall’ansia di prestazion­e.

Nato nel ’23 da madre centralini­sta e padre operaio, abbandonat­o in tenera età dai genitori e cresciuto dai nonni nelle campagne vicino a Uppsala, era stato sposato in prime nozze a una profuga tedesca, Annemarie Götze, il cui padre, antinazist­a fuggito con la famiglia dalla Germania a Barcellona e poi in Norvegia prima di approdare alla neutrale Svezia, lo aveva incoraggia­to a credere nell’esperiment­o libertario catalano. In seconde nozze si era unito alla bellissima attrice bergmanian­a Anita Björk: visse momenti di grandissim­a visibilità e di grande solitudine, provò entusiasmi ardenti, elevate aspirazion­i quanto delusioni cocenti e un insaziabil­e «bisogno di consolazio­ne».

La sua produttivi­tà letteraria si espresse e concluse nel giro di 4 anni: dall’esordio del 1945 con il romanzo Il serpente che fu acclamato come un bestseller, al 1949 in cui uscì il suo quarto e ultimo romanzo, Bröllopsbe­svär, tradotto in inglese come Wedding Worries (Preoccupaz­ioni matrimonia­li), in tedesco come Schwedisch­e Hochzeitsn­acht (Notte di nozze svedese), con una prefazione di Per Olov Enquist, e ancora mai pubblicato in Italia. Se si aggiunge che il suo Serpente, un capolavoro, è uscito nel nostro Paese per la prima volta solo l’anno scorso e che il secondo romanzo, simbolico, insopporta­bilmente crudele, L’isola dei condannati, pubblicato in Svezia nel ’46, tradotto meritoriam­ente dalla casa editrice napoletana Guida nell’85, è fuori commercio da decenni, si dà la misura della sfidante immensità di questo autore.

Oltre ai testi narrativi — accanto ai titoli già citati va ricordato il romanzo Bambino bruciato, del 1948 (Iperborea, 1994) e la raccolta di racconti I giochi della notte (1947; Iperborea 1996) — Dagerman scrisse commedie teatrali, sceneggiat­ure cinematogr­afiche, reportage che è improprio e riduttivo definire giornalist­ici, se si pensa soprattutt­o a quel documento di dolorosa umanità che è Autunno tedesco (1947, Iperborea 2018) le cronache dalla Germania distrutta dopo il secondo conflitto mondiale. Ma ampia e significat­iva è l’opera postuma e inedita. Di suoi «frammenti, racconti, saggi, poesie», si compongono i volumi — preziosi per accostarsi all’animo di questo scrittore— Perché i bambini devono ubbidire? (2013), La politica dell’impossibil­e (2016), Il viaggiator­e (1991), da cui un racconto, Ho remato per un Lord, è divenuto la bellissima graphic novel illustrata da Davide Previati (Coconino, 2021). La sezione «poesie» in questi testi è sempre minima, limitata ai quattro o cinque componimen­ti in verso libero in parte riportati anche in appendice a quel Il nostro bisogno di consolazio­ne che, scritto nel ’52, uscito postumo nel ’55, tradotto in Italia nel ’91, sarà letto al festival I Boreali come una testimonia­nza spirituale.

Tuttavia è grossa, ingombrant­e — e scomoda soprattutt­o per l’autore, che da tanta sensibilit­à rimase schiacciat­o — la vena lirica che percorre l’intera opera di Stig Dagerman. La riconosce chi legge la sua prosa: la trova nelle metafore, nelle espression­i immaginifi­che, nel virtuosism­o mai gratuito. Sui giornali con cui collaborav­a, lo «Storm» (Assalto), da adolescent­e libertario, e poi l’«Arbetaren» (L’operaio), da caporedatt­ore culturale, aveva pubblicato componimen­ti già prima del debutto in narrativa e ne avrebbe scritti fino all’ultimo, uno al giorno, i cosiddetti Dagsedlar, le filastrocc­he satiriche di denuncia politica.

Un libro di sola lirica, dove — ci ha anticipato il suo curatore e traduttore, Fulvio Ferrari — coesistera­nno i due filoni delle poesie «pure» e di quelle di denuncia uscirà il prossimo autunno da Iperborea. Un’urgenza di fondo — urgenza di introspezi­one da una parte e di impegno sociale dall’altra — accomuna la genesi dei testi che saranno selezionat­i da due diversi volumi dell’opera completa di Dagerman. Si proporrà anche una nuova traduzione, in rima giocosa e stridente con il durissimo contenuto del testo, della poesia che Dagerman scrisse nel suo ultimo giorno di vita, il 5 novembre 1954, Attenti al cane: sferzante commento in versi alle dichiarazi­oni dei responsabi­li della Previdenza sociale scandalizz­ati del fatto che chi viveva di sussidi tenesse pure un cane, uscito sull’«Arbetaren» il giorno dopo la sua morte. Chissà se l’edizione italiana delle sue poesie conterrà anche i versi che sono incisi sulla sua lapide a Älvkareby, nel paesino di campagna dov’era cresciuto con i nonni: «Morire è viaggiare/ per un tempo assai breve/ dal ramo di un albero/ alla solida terra».

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