Corriere della Sera - La Lettura
La cura alternativa e le sue controindicazioni
L’abbaglio di Francesca Violi è un romanzo psicologico misurato e scrupoloso, arricchito da tenui tratti noir, dentro una trama, a prima vista, quasi svelata. La narrazione, tuttavia, si sviluppa insidiosa per come sceglie di evolversi in un crescendo conflittuale, dove il gioco trasformativo della protagonista si fa il romanzo di un enigma improvviso, di un delitto supposto e di una sottilissima vendetta: «Qualunque azione, anche la più cattiva, finché accade solo nel pensiero non fa male a nessuno, giusto? Puoi rigirarti nella mente questo cristallo abnorme e acuminato ma di fatto ancora innocuo. Puoi giocarci, specularci, soppesarlo, modellare nuove punte e prismi».
La storia racconta del cammino metamorfico di Melissa, giovane donna che lavora presso un centro olistico, La Fonte, un casolare nel bosco, assunta dalla carismatica e convincente guida, Veronica. I metodi alternativi insegnati da quest’ultima spingono Melissa a sottoporre a cure meno invasive il padre malato. Nonostante l’assistenza di uno speciale medico consigliato da Veronica — il dottor Campani, il quale si occupa della cura di malattie attraverso una specie di trattamento spirituale anziché puramente farmaceutico — il padre di Melissa muore.
Sarà proprio attraverso la consapevolezza di esser stata, in verità, come ingannata che la protagonista comincerà una metamorfosi psicologica e comportamentale contro la figura di Veronica sorta di capro espiatorio della morte del padre. Soffocata da brutti e crudeli sogni — angosciosi e perciò rivelatori — e sentendosi nel frattempo incompresa dalla sorella Daria, Melissa si farà artefice hitchcockiana di atti vandalici, di tradimenti amorosi con un vecchio amico, di menzogne strategiche e di violenze. Ma questi istinti, assecondati da una razionale brutalità e da una perdita, saranno in grado di esorcizzare, nel bene, il dolore della morte o alimenteranno fatalità pericolose contro Melissa per sua stessa mano e per mano di altri?
Nell’incalzare di una lingua immediata, L’abbaglio insiste, con intelligente e tenace sicurezza, nella sua vocazione filmica, a scapito talvolta di una linearità prosastica purtroppo poco sperimentale, anche se la vocazione del romanzo psicologico alla complessità esigerebbe forse una lingua meno controllata e più sofisticata. Tuttavia, Francesca Violi, grazie a una struttura narrativa che potremmo definire sottile e scrupolosa, ci consegna un’opera magmatica da cui il lettore si sente attratto fino ad accogliere il dilemma funesto sulla vendetta contro il capro espiatorio e contro ciò che ne consegue: dilemma principe che ha investito tanta letteratura senza ancora, per noi — com’è giusto che sia — nessuna risposta: «Melissa visualizzò la negatività che la avvelenava come una patina scura e oleosa che le rivestiva il corpo, e l’acqua piano piano la scioglieva e la lavava via. Dalla pancia le salì uno sfiato al cocco. Rimase sotto il getto a lasciarsi cuocere, abbandonata alla mollezza del bozzolo d’acqua e vapore».