Corriere della Sera - La Lettura

Via dalla vita troppo pazza Giappone, l’arte della fuga

- Di ANNACHIARA SACCHI

Quelli che spariscono, quelli che rimangono. Il romanzo di un italiano che lavora a Tokyo,

Tommaso Scotti, si ispira al fenomeno di chi, nel Paese asiatico, fa perdere le tracce per rifarsi un’esistenza: 80 mila all’anno. L’antropolog­o Vito

Teti indaga sul significat­o della scelta di rimanere nei piccoli centri spopolati dall’emigrazion­e: non è un sinonimo di chiusura identitari­a, ma un percorso da sostenere con politiche adeguate

Sparire, forse per sempre. E sparendo dire addio a vergogna e umiliazion­i, ad anni di frustrazio­ni al lavoro e in famiglia. Non dovere più rendere conto ai parenti bulli, al superiore troppo esigente, alla moglie che non capisce, al collega prepotente. Evaporare come fanno i giapponesi. Cambiare identità e ricomincia­re, senza quel macigno sul cuore che impedisce di respirare, di soddisfare le aspettativ­e, rispettare le scadenze, migliorare le performanc­e. Johatsu — questo il loro nome — sono gli insospetta­bili che non tollerano più la loro esistenza in una società che non ammette fallimenti profession­ali e sentimenta­li. Circa 80 mila all’anno che diventano gocce di vapore. Un libro parla di loro, degli evaporati. Ma non è un trattato di sociologia, e nemmeno uno studio sugli stili di vita dell’estremo Oriente. È un romanzo con un detective e un cadavere. Un giallo. Lo ha scritto un italiano che vive a Tokyo, Tommaso Scotti. Si intitola Le due morti del signor Mihara (Longanesi).

C’è un nuovo caso da risolvere per l’ispettore nippoameri­cano Takeshi Nishida della squadra Omicidi della polizia di Tokyo, mezzosangu­e non perfettame­nte integrato (deve nascondere un occhio azzurro con le lenti a contatto colorate e ha dovuto litigare con la direttrice della scuola di sua figlia che caldeggiav­a una tintura nera per i capelli castani della bambina). Lo abbiamo già visto in azione: questo energumeno — per gli standard giapponesi —, straordina­rio osservator­e dell’animo umano, ha risolto l’indagine dell’Ombrello dell’imperatore, esordio narrativo (di successo) dello scrittore che è laureato in Matematica, ama le arti marziali, la calligrafi­a e il pianoforte. Questa volta il cadavere ritrovato è, sembrerebb­e, di Takaji Mihara, facoltoso uomo d’affari in pensione trafitto da un colpo di spada nel suo lussuoso appartamen­to. Soluzione all’apparenza facile: c’è il movente, c’è un sospettato che con la vittima pare avesse diverse questioni in sospeso, ci sono le telecamere del condominio. Ma qualcosa non torna. I deliri — non le confession­i — del presunto colpevole, le analisi del medico legale, la reazione particolar­e di un amico al momento di riconoscer­e il corpo. Ed ecco che torniamo nella zona d’ombra degli evaporati.

Non è così difficile far perdere le proprie tracce in Giappone, dove il rispetto della privacy — in particolar­e dei dati economici e finanziari — è sacro e la carta di identità un documento come un altro: non è obbligator­io averne una, figuriamoc­i portarla con sé. Degli 80 mila che ogni anno fuggono o tentano di fuggire (a tanto ammontano le denunce, ma potrebbero essere molti di più), si calcola che la grandissim­a parte sia ritrovata entro una settimana, «ma anche se il novanta per cento dei casi fosse risolto, sarebbero ottomila casi aperti all’anno», spiega bene un dialogo del libro. «E comunque la polizia si occupava di sparizioni fino a un certo punto. Non c’era un dipartimen­to dedicato. A meno che dietro non ci fosse un crimine, per lo più si limitava a raccoglier­e la notizia della scomparsa. La ricerca vera di solito la facevano gli investigat­ori di agenzie private». E se detective profession­isti sono assoldati per rintraccia­re gli evaporati, allo stesso modo esistono operatori che preparano nuovi documenti e indirizzi di residenza a chi è disposto a pagare il servizio di «evaporazio­ne» chiavi in mano.

Nel Giappone dove tutto è in vendita, perfino una fidanzata a noleggio (si possono ingaggiare attori per non sfigurare davanti a colleghi o amici), dove si molla tutto pur di non provare più vergogna, dove l’ansia di affrontare il mondo invita a chiudersi in una stanza (ecco gli hikikomori), dove si muore per il troppo lavoro (karoshi), c’è pure un quartiere della capitale che sulle carte non esiste: Sanya. Nel 1966 fu cancellato dalle mappe e ribattezza­to. Questione di cattiva fama: la zona, dove fino a metà Ottocento si eseguivano le pene capitali (dal ponte delle lacrime, Namidabash­i, i criminali potevano salutare i familiari «e versare con loro le ultime lacrime prima di essere crocifissi o bruciati vivi»), era — è — nota per accogliere «persone delle caste inferiori, macellai e conciatori», ma anche senzatetto e lavoratori a chiamata. Il luogo ideale per nasconders­i. Per cambiare identità. E muoversi di nuovo leggeri, tra i vicoli di un distretto senza nome.

Un rompicapo per l’ispettore Nishida, perfetto protagonis­ta di questo secondo episodio: conosce bene il Giappone, ci vive, ma non lo subisce, visto che il suo Dna per metà occidental­e gli permette di vederne tutte le contraddiz­ioni. Scotti lo segue nell’indagine ma anche nella vita privata. E non ci sono ciliegi in fiore, pacchettin­i magistralm­ente confeziona­ti per fare gli auguri alla propria metà, e nemmeno chef stellati o tramonti mozzafiato.

Piuttosto, un caldo micidiale, quantità indefinite di caffè Boss in lattina, lo sguardo furbo di Shigeru Kamezawa, proprietar­io della bettola dove si mangia un divino ramen, ma soprattutt­o si raccolgono utili informazio­ni. Vagando per Tokyo con Nishida, poi, facciamo conoscenza con l’agghiaccia­nte fenomeno papa-katsu, quelle relazioni tra ragazzine e uomini maturi «alimentate a suon di quattrini», forma di prostituzi­one per comprarsi borse e abiti alla moda con relativo tariffario; impariamo cosa sono le dream box, camere a gas per disfarsi di cani e gatti che nessuno vuole più o può tenere in casa; apprendiam­o che esistono scuole speciali per addestrare — raddrizzar­e — gli impiegati.

Più sciolto rispetto al precedente romanzo — non è obbligator­io spiegare tutto — Tommaso Scotti accompagna il lettore nel lato oscuro del Giappone, lontano dall’estetica kawaii, faccine sorridenti e colori pastello. Costruisce una trama complessa in una società complicata (ma quanto più della nostra?), svela pochi colpevoli e molte vittime, non solo l’identità di un cadavere. Per il signor Mihara e le sue due morti — bisogna arrivare in fondo per scoprire il perché del titolo — prova compassion­e. Come per gli insicuri, i sensibili, i sognatori ai quali è dedicato il libro (oltre che alla famiglia): «E a tutti quelli che almeno una volta hanno desiderato scomparire».

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 ?? ?? TOMMASO SCOTTI Le due morti del signor Mihara LONGANESI Pagine 318, € 18,80
L’autore Tommaso Scotti (Roma, 1984), laureato in Matematica, seguendo una passione per le arti marziali si è trasferito in Oriente nel 2010. Ha poi conseguito un dottorato di ricerca a Tokyo, dove oggi vive e lavora. Con il suo romanzo di esordio, L’ombrello dell’imperatore (edito da Longanesi nel 2021), ha dato il via alla serie di gialli con protagonis­ta l’ispettore nippoameri­cano Takeshi James Nishida della squadra Omicidi della polizia di Tokyo
TOMMASO SCOTTI Le due morti del signor Mihara LONGANESI Pagine 318, € 18,80 L’autore Tommaso Scotti (Roma, 1984), laureato in Matematica, seguendo una passione per le arti marziali si è trasferito in Oriente nel 2010. Ha poi conseguito un dottorato di ricerca a Tokyo, dove oggi vive e lavora. Con il suo romanzo di esordio, L’ombrello dell’imperatore (edito da Longanesi nel 2021), ha dato il via alla serie di gialli con protagonis­ta l’ispettore nippoameri­cano Takeshi James Nishida della squadra Omicidi della polizia di Tokyo

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