Corriere della Sera - La Lettura
Falcone & Borsellino Il teatro della verità
Palermo a trent’anni dalle stragi di mafia ricorda i due magistrati e le loro scorte con un’opera-inchiesta scritta da Gery Palazzotto con tre compositori. S’intitola «Cenere»
La violenza è la morte dell’anima e l’arte richiede esattamente il contrario. Lo spiega a «la Lettura» il compositore — e da poco anche sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo — Marco Betta (1964). Lo dice introducendo un concetto che è certamente generale, ma nel caso specifico, riferito a Cenere di Gery Palazzotto, uno spettacolo — «no, anzi un’opera-inchiesta», sottolinea — che proprio di violenza parla. Andrà in scena al Teatro Massimo di Palermo (che ha dedicato la stagione 2022 al trentennale delle stragi di mafia) il 13 e il 14 maggio. È la storia delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, in cui morirono i magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Francesca Morvillo e gli agenti delle scorte Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Rocco Dicillo, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Claudio Traina.
«Cenere — spiega a “la Lettura” Palazzotto — chiude la trilogia prodotta dal Massimo sui misteri di quegli eccidi, che ho iniziato nel 2017 con Le parole rubate e portato poi avanti nel 2019 con I traditori». Qui, oltre al testo, «c’è la musica, scritta ed eseguita da tre compositori con un violoncellista. Ci sono due danzatori, elaborazioni grafiche, artwork, video».
Palazzotto definisce questo lavoro, appunto, un’«opera-inchiesta». Ma è più opera o più inchiesta? Non esita neanche un secondo: «Più opera. Le prime due puntate erano maggiormente legate all’idea di inchiesta. Avevo fatto davvero un’indagine sul palcoscenico: siamo entrati dentro i file del computer violato di Falcone. Abbiamo ricostruito una danza macabra di mani attorno alla borsa di Borsellino, mentre questa viene presa e rimessa nella macchina che sta bruciando...». Cenere è l’atto finale, «una sorta di nemesi. Sono passati trent’anni e la Cenere è quel che resta».
Due i protagonisti in un faccia a faccia, «per il quale uso però un solo attore (Gigi Borruso, ndr), che rappresenta due verità diverse. Il primo protagonista è un uomo che si fa delle domande e che si dà delle risposte, avendo fiducia nella giustizia, leggendo, documentandosi, guardando ai fatti. L’altro, che è la novità, è l’alter ego negativo, il siciliano convinto che la mafia dia lavoro. Non intendo i due protagonisti come il bene e il male a tutti i costi, ma come portatori di due visioni opposte. In questo senso Cenere è la celebrazione della verità del dubbio. La vicenda può essere infatti raccontata con gli occhi dell’uno ma anche con quelli dell’altro: l’espediente narrativo è la trasversalità, il cambio di prospettiva. Finora la storia l’abbiamo spiegata solo da un punto di vista classico. Ora lo faremo anche con gli occhi e il pensiero dell’altro e la finzione teatrale mi serve per raccontare e dimostrare che la verità gioca spesso a nascondino. E aggiungo: il personaggio negativo rappresenta in fondo una realtà assolutamente plausibile, che alla fine, secondo noi, spiazzerà il pubblico». Si parla spesso di negazionismo. «Be’, il negazionismo in Sicilia è di casa. È arrivato prima che altrove. La frase “la mafia non esiste” ne è l’esempio più eclatante. Più negazionismo di questo?».
Marco Betta riallacciandosi a quanto ha detto all’inizio, aggiunge che «per quelli della mia generazione essere artisti a Palermo ha sempre avuto un significato forte. Penso alla possibilità che la musica possiede nel suo codice interno di essere non solo affermazione di libertà, ma soprattutto strumento di denuncia contro la violenza. Per chi vive a Palermo le stragi di mafia sono state traumi che abbiamo vissuto e che comunque ci hanno condizionato. Sono diventate una sostanza impossibile da non trattare, non le si può sfuggire. È materia, un problema enorme che brucia non solo la pelle, ma anche l’anima. In questa città siamo forse i più ustionati».
Gli fa eco Palazzotto: «Con il mio testo vorrei riuscire a portare le persone, il pubblico, a ragionare e a provare lo stesso imbarazzo che ho provato io, da giornalista, sulle carte di questi processi. Che cosa bisogna pensare dopo aver scoperto che l’indagine che hai seguito per 16 anni è stata depistata e governata da due collaboratori di giustizia e che ci sono stati dieci processi, d-i-e-c-i, Borsellino 1, Borsellino 2, Borsellino 3, tutti viziati da falsità? I giudici di Caltanissetta lo hanno definito “il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana”. Nello spettacolo io non devo dimostrare che Vincenzo Scarantino, falso pentito, è un farabutto perché lo sanno tutti già, ma io devo portare lo spettatore a rendersi conto che la verità di Scarantino è stata la verità per 16 anni».
Il lavoro di Betta sulla composizione parte «sempre dalle fascinazioni della letteratura, intesa come parola-suono. Nel corso della lettura tutti noi evochiamo un ritmo interiore che le parole hanno. Non è solo la sequenza delle parole, ma è come queste vengono concatenate. È il ritmo silenzioso della lettura. Mi avvicino alla parola come se fosse una scultura grezza, una specie di cristallo che ha luci che lo attraversano e da queste frequenze poi provo a immaginare i suoni e cerco di trovare le assonanze e le rifrazioni che un testo contiene».
Per Cenere, con Betta, che è di «estrazione classica», hanno lavorato Fabio Lannino, «bassista e chitarrista che si muove in universi sonori incrociati» e Diego Spitaleri, «jazzista e compositore». La cosa più bella — prosegue Betta — è stata «il nostro lavorare insieme, ascoltandoci l’un l’altro. Un segno contro ogni individualismo. La scrittura dei brani, passando da un genere all’altro, è avvenuta in maniera assolutamente naturale e poi ognuno di noi ha migliorato il lavoro dell’altro...». In scena — rivela e conclude Palazzotto — «i due danzatori rappresenteranno le schegge dell’esplosione».