Corriere della Sera - La Lettura

L’urlo di Billie Holiday che sfidò l’America

- Di STEFANIA ULIVI

ragazza, una leader, che sapeva badare bene a sé stessa, ma proprio per questo pagò un prezzo altissimo».

La figura chiave è il suo persecutor­e, Harry J. Anslinger, capo del Federal Bureau of Narcotics per 32 anni e 5 presidenti, da Hoover a Kennedy, il padre della guerra alla droga che prese di mira molti musicisti jazz.

«Fu lui, come ricostruis­ce bene Susan Lori-Parks nella sceneggiat­ura, a infiltrare nel giro di Billie Holiday un agente nero, Jimmy Fletcher, interpreta­to da Trevante Rhodes. Il suo obiettivo era dimostrare che i neri, attraverso la musica e la droga, volevano corrompere l’America. Quello che Anslinger non poteva prevedere, fu che lui si innamorass­e di lei e prendesse coscienza che quello che stava facendo era sbagliato».

Per il suo film ha tenuto in conto il celebre biopic con Diana Ross, «La signora del blues», uscito nel 1972?

«Lo conoscevo, certo; avevo 13 anni quando l’ho visto al cinema e mi colpì tantissimo. Non avevo mai visto prima una storia d’amore tra neri sullo schermo, mai visto prima persone così belle e affascinan­ti come Diana Ross e Billy Dee Williams. Parlavano la nostra lingua, suonavano la nostra musica, erano parte della nostra cultura. Quel film mi ha segnato, credo che in qualche modo mi abbia spinto verso la regia. Ho scoperto meglio la musica di Billie Holiday dopo i trent’anni. Ma no, non lo abbiamo considerat­o per il nostro film. Era un’opera perfetta per l’epoca, allora noi neri avevamo bisogno di una love story, ma non era la sua vera storia. E il nostro non è un biopic. È il racconto dell’azione sistematic­a dell’apparato contro una donna considerat­a pericolosa».

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