Corriere della Sera - La Lettura
L’urlo di Billie Holiday che sfidò l’America
ragazza, una leader, che sapeva badare bene a sé stessa, ma proprio per questo pagò un prezzo altissimo».
La figura chiave è il suo persecutore, Harry J. Anslinger, capo del Federal Bureau of Narcotics per 32 anni e 5 presidenti, da Hoover a Kennedy, il padre della guerra alla droga che prese di mira molti musicisti jazz.
«Fu lui, come ricostruisce bene Susan Lori-Parks nella sceneggiatura, a infiltrare nel giro di Billie Holiday un agente nero, Jimmy Fletcher, interpretato da Trevante Rhodes. Il suo obiettivo era dimostrare che i neri, attraverso la musica e la droga, volevano corrompere l’America. Quello che Anslinger non poteva prevedere, fu che lui si innamorasse di lei e prendesse coscienza che quello che stava facendo era sbagliato».
Per il suo film ha tenuto in conto il celebre biopic con Diana Ross, «La signora del blues», uscito nel 1972?
«Lo conoscevo, certo; avevo 13 anni quando l’ho visto al cinema e mi colpì tantissimo. Non avevo mai visto prima una storia d’amore tra neri sullo schermo, mai visto prima persone così belle e affascinanti come Diana Ross e Billy Dee Williams. Parlavano la nostra lingua, suonavano la nostra musica, erano parte della nostra cultura. Quel film mi ha segnato, credo che in qualche modo mi abbia spinto verso la regia. Ho scoperto meglio la musica di Billie Holiday dopo i trent’anni. Ma no, non lo abbiamo considerato per il nostro film. Era un’opera perfetta per l’epoca, allora noi neri avevamo bisogno di una love story, ma non era la sua vera storia. E il nostro non è un biopic. È il racconto dell’azione sistematica dell’apparato contro una donna considerata pericolosa».