Corriere della Sera - La Lettura

Le gemelle sciamane del soul Musica e magia: il nostro Dna

- da Parigi MICHELE PRIMI

Sono nate a Parigi da papà cubano (era nel Buena Vista Social Club) e mamma cantante francese di origini venezuelan­e Ora, al loro terzo album, le Ibeyi, e cioè Lisa-Kaindé e Naomi Díaz, spaziano dai suoni africani all’hip hop parlando di dolore e guarigione. A «la Lettura» confessano: «Abbiamo smesso di chiedere scusa per il fatto di essere noi stesse»

Lisa-Kaindé Díaz e Naomi Díaz, in arte Ibeyi (parola che nella lingua yoruba dell’Africa occidental­e significa «gemelle») hanno smesso di chiedere scusa: «Per non essere nere né bianche, né francesi né afro-cubane, per non riconoscer­e confini musicali o di genere, per credere nel potere delle canzoni e per provare a parlare di magia. Abbiamo smesso di chiedere scusa per il fatto di essere noi stesse».

«La Lettura» incontra le Ibeyi nella sede parigina della loro etichetta discografi­ca, la XL Recordings di Richard Russell che le ha scoperte nel 2013. La parola ibeyi nella cultura yoruba si riferisce a uno spirito rappresent­ato da due persone uguali tra loro e le gemelle Díaz sono un’unità di intenti e parole: sorrisi e sguardi intensi, determinaz­ione e dolcezza, amore e rabbia. Senza filtri. Parlano insieme, esprimono la loro visione della musica raccontand­o il terzo album Spell 31 in uscita il 6 maggio in cui mischiano soul, R&B e hip-hop con uno stile ipnotico e armonie vocali cristallin­e: «Che sono sempre al servizio della canzone».

Nate a Parigi il 13 dicembre 1994, figlie della cantante francese di origine venezuelan­a Maya Dagnino (oggi è la loro manager) e del percussion­ista cubano Miguel «Angá» Díaz, vincitore di un Grammy nel 1980 con Irakere, la band latin jazz di Chucho Valdés, e poi membro del Buena Vista Social Club, Lisa-Kaindé e Naomi rivelano di avere iniziato a fare musica a 11 anni dopo la morte del padre. Quando esordiscon­o nel 2015 sono una sorprenden­te anomalia del genere «urban» che incanta parlando di dolore e famiglia (il brano

Yanira è dedicato alla sorella scomparsa nel 2013). Nel 2016 catturano l’attenzione di Beyoncé che le vuole nel suo film-manifesto Lemonade; nel 2017 con l’album Ash parlano non solo di sé ma anche del mondo, del razzismo della polizia (Deathless, scritta da Lisa-Kaindé dopo essere stata perquiunic­ità sita a 16 anni nella metropolit­ana di Parigi) e dell’emancipazi­one femminile( No Man is Bigger Than My Arms, in collaboraz­ione con Kamasi Washington) arrivando a campionare un discorso di Michelle Obama sulla misoginia nell’era di Trump.

Nel 2022 le Ibeyi escono con il terzo album Spell 31, dieci brani registrati a Londra e la partecipaz­ione di nomi interessan­ti della nuova musica britannica, dal rapper di origine gambiana Pa Salieu, alla cantante Jorja Smith fino al produttore di Trinidad Berwyn (compaiono anche le voci del padre e della madre). Spell 31 parla di magia e guarigione. Ispirato alla trentunesi­ma formula del Libro dei Morti dell’Antico Egitto («Il cielo racchiude le stelle/ Io contengo la magia»), inizia con il suono africano di Sangoma (il curatore), chiude con le due gemelle che nella loro lingua madre spagnola ricordano le persone che hanno perso (Los Muertos), passando dalla rivisitazi­one di un pezzo punk-hardcore dei Black Flag, Rise Above, al singolo pop Sister 2 Sister, fino alla rivendicaz­ione di e imperfezio­ne di Creature ,in cui cantano: «Non devo essere perfetta, sono solo una creatura». L’attivista e scrittrice canadese Janaya Future Khan, fondatrice di Black Lives Matter Toronto, ha scritto nel saggio di presentazi­one di Spell 31: «Le Ibeyi sono un antidoto all’apatia in un mondo diviso». Lisa-Kaindé e Naomi dicono: «Abbiamo sempre voluto scrivere canzoni che facessero pensare. Il mondo è pronto per la nostra musica».

Sono passati cinque anni dal vostro album precedente. Come si è evoluto il mondo di Ibeyi?

LISA-KAINDÉ — I primi due dischi erano la continuazi­one l’uno dell’altro, non ci siamo mai fermate. Con Spell 31 abbiamo preso il tempo per capire chi volevamo essere come donne e cosa vogliamo dal progetto Ibeyi.

NAOMI — Sognavamo di viaggiare e incontrare i nostri amici ma la pandemia ha fermato tutto e ci siamo ritrovate bloccate a Londra. Il lato positivo è stato concentrar­ci sul cambiament­o. Essere artiste vuole dire essere anche piene di dubbi.

«Spell 31» è un album coerente, un discorso in dieci canzoni che trasmette un messaggio. Vi sentite più sicure?

LISA-KAINDÉ — Quando abbiamo iniziato avevamo 18 anni, un’età in cui credi di sapere tutto. Ci sentivamo diverse e non sapevamo spiegare perché. Finisci inevitabil­mente per pensare di doverti giustifica­re per non essere in linea con le aspettativ­e degli altri. Adesso sappiamo che al pubblico piace la nostra autenticit­à.

NAOMI— Lisa era convinta di dover essere complicata per essere interessan­te (ride). Fare tour ci ha aiutato, perché abbiamo sentito la risposta del pubblico: ha capito cosa volevamo comunicare.

Rivendicat­e una dimensione magica della musica. Perché?

LISA-KAINDÉ — Pura connession­e: con noi stesse, con il pubblico, con il nostro essere sorelle e gemelle, con gli antenati e la nostra indefinibi­le cultura, con l’universo.

NAOMI — La magia non è un’esperienza sovrannatu­rale. È la semplicità del vivere ogni momento.

LISA-KAINDÉ — Non è poi così difficile trovare la magia. Oggi per esempio, se pensiamo a tutto quello che è successo, potrebbe essere passare la notte in un club a ballare, perdersi nella musica in mezzo a persone che non conosci ed essere felice.

In «Spell 31» affrontate il tema della guarigione, che è diventata un’esigenza comune. La musica è una cura per tutto?

LISA-KAINDÉ — Scrivere canzoni è come piangere e versare lacrime. Vuole dire dare forma a un sentimento o una sensazione, materializ­zarla e poi lasciarla andare via.

NAOMI — Ognuno ha il suo modo di allontanar­si dalle sofferenze e curare le proprie ferite, per noi è mettere insieme parole e melodie.

Avete preso spesso posizione su temi sociali. Sentite la responsabi­lità di dare un significat­o alla musica?

LISA-KAINDÉ — Parliamo di cose che ci sembrano normali ma in passato ci siamo trovate a dovere rispondere a domande come: perché odiate gli uomini? Ci hanno sempre chiesto di scegliere: siete francesi o cubane? Vi sentite artiste pop o impegnate? Alla fine abbiamo capito che essere a metà è esattament­e il posto dove vogliamo stare. Forse è il nostro destino.

Ricordate il primo momento in cui vi siete rese conto di poter creare musica insieme?

NAOMI — Ci abbiamo provato da piccole e il risultato era orribile. Non eravamo intonate, non avevamo armonia. Credo che i video delle nostre prime esibizioni, a 11 anni, possano essere di aiuto a chiunque voglia iniziare una carriera nella musica: non tutti hanno un talento innato. Noi avevamo un dono, ma è arrivato dopo. Le Ibeyi sono nate quando siamo entrate in studio con Richard Russell.

LISA-KAINDÉ — L’unica cosa che ci siamo dette è: non posso fare questa cosa senza di te. Così abbiamo scoperto le nostre voci.

Come è nato il nuovo album?

NAOMI — In modo diverso dal solito. Io e Richard Russell abbiamo iniziato creando beat diversi tra loro, mettendo insieme influenze dall’afro alla jungle all’hip-hop. L’assenza di generi definiti è sempre stata una forma di libertà. Lisa è arrivata in studio e ha iniziato a scrivere i testi. Abbiamo capito subito di essere salite di livello.

LISA-KAINDÉ — Questo album ha una visione, le canzoni sono piene di storie, definiscon­o un percorso. Il progetto Ibeyi funziona bene quando troviamo un equilibrio. Spell 31 èil migliore che abbiamo mai raggiunto.

Qual è il futuro del progetto Ibeyi?

NAOMI — Rendere sempre più accessibil­e al pubblico ogni forma di sperimenta­zione. Eravamo solo due ragazze che facevano musica in casa con una tastiera Casio piangendo per i ragazzi e la morte di nostro padre. Adesso mentre stiamo per partire in tour negli Stati Uniti, i critici scrivono che abbiamo influenzat­o la cultura pop contempora­nea. Vogliamo esprimerci al massimo, essere personali ma anche condivider­e con gli altri.

LISA-KAINDÉ — Perché le canzoni in fondo non sono niente, eppure sono così importanti per tutti.

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