Corriere della Sera - La Lettura

Non esistono guerre di religione

- di ANNACHIARA SACCHI

Dieudonné Nzapalaing­a, il più giovane cardinale del mondo, è arcivescov­o di Bangui. Con un imam e un pastore protestant­e ha girato la Repubblica Centrafric­ana, vittima delle fazioni armate: «Serve ascoltare. Per chi combatte, la fede è solo un pretesto», ci dice

Per disarmare i cuori e fermare la violenza non esistono ricette facili. Però se si ha l’occasione di parlare con il cardinale Dieudonné Nzapalaing­a, arcivescov­o di Bangui, nella poverissim­a Repubblica Centrafric­ana devastata da anni di guerra civile, la pace da impossibil­e diventa raggiungib­ile, da impraticab­ile percorribi­le. Vicina. Al di là di ogni calcolo economico e politico, del credo religioso (lo spiegherà lui, tra poche righe, che i conflitti non hanno niente a che fare con l’appartenen­za a una fede), degli interessi di parte. E lo ha dimostrato con le azioni, non solo con le parole. Rischiando di essere ucciso da colpi di machete, proiettili, bombe. «Ho scelto di andare incontro agli eventi anziché subirli», ha scritto nel libro La mia lotta per la pace. A mani nude contro la guerra in Centrafric­a, in uscita il 17 maggio per la Libreria Editrice Vaticana. Ha deciso di non avere paura.

Partiamo dai dati biografici, necessari per capire la straordina­ria vita (e missione) di Nzapalaing­a. Nato a Mbomou, nelha la diocesi di Bangassou, nel 1967, quinto di dieci figli, famiglia povera con padre cattolico e madre protestant­e («in un clima di totale rispetto»), ordinato sacerdote nel 1998, arcivescov­o nel 2012, cardinale nel 2016, il più giovane al mondo — lo è tuttora — è anche creatore della Piattaform­a delle confession­i religiose del Centrafric­a, quella miracolosa rete intessuta dai tre leader religiosi del Paese, il cattolico, l’imam, il pastore, che durante la Seconda guerra civile centrafric­ana del 2012-2013 (la Seleka, formata da gruppi a maggioranz­a islamica, ma anche da mercenari attratti dalle risorse del Paese, rovesciò il governo; seguì la risposta armata dei miliziani anti-balaka, in buona parte cristiani e animisti; si aggiunsero gli interessi occidental­i) ha evitato il genocidio. Li hanno chiamati i tre santi — o leoni — di Bangui. Il 10 dicembre 2012, dopo l’attacco della Seleka, ecco insieme il pastore Nicolas Guerekoyam­e-Gbangou, l’imam Omar Kobine Layama (scomparso nel 2020) e Nzapalaing­a, allora arcivescov­o. «Eravamo determinat­i a non lasciare che le nostre religioni venissero trascinate in un conflitto. In una dichiarazi­one comune abbiamo detto: il Paese è uno e indivisibi­le. Laico. Siamo sempre stati in armonia. Ora noi veniamo a sapere che ci si accanisce su esseri umani per ragioni religiose. Noi diciamo no! Che nessuno dica che questa è una guerra religiosa!».

Guerre d’Africa: instabilit­à dei governi, continui rovesciame­nti del potere, milizie che si formano e si sciolgono. Nella Repubblica Centrafric­ana, dalla crisi del 2012 a oggi, i conflitti sono andati avanti a fasi alterne, tra l’altro con il coinvolgim­ento anche di Mosca: la Russia di Putin mandato istruttori, mezzi, oltre al famigerato gruppo mercenario Wagner. In questi mesi però — spiega il cardinale a «la Lettura» — nella capitale e nei territori vicini le cose vanno meglio: «Se prima l’80 per cento dei terreni era in mano ai ribelli e il 20 alle famiglie, ora la proporzion­e è invertita. I miliziani in questo momento non sono a Bangui».

Dunque, «se queste sono le specificit­à dei nostri conflitti, tutte le guerre, anche quella che si sta combattend­o in Europa, hanno un denominato­re comune: l’assurdità e la tragicità. Non si possono ignorare le sofferenze, le morti. Sono i civili a pagare il prezzo più alto: i bambini non possono andare a scuola, i malati non possono essere curati, le famiglie non possono rientrare a casa».

Serve più fede che intelligen­za per combattere la guerra a mani nude, dice sorridendo il cardinale. Quella fede che gli ha fatto dire, nella Domenica delle Palme del 2013, mentre i ribelli della Seleka entravano in arcivescov­ado con fucili, lanciagran­ate, armi lunghe fino ai piedi: «Uscite! Fuori tutti!». Quella che lo ha sorretto mentre portava a Bangui due coniugi musulmani con la figlia malata e, quando un miliziano anti-balaka ha aggredito il padre di quella famiglia, lo ha fatto reagire così: «Mi sono gettato su di lui, gli ho strappato il coltello e l’ho buttato via. Ho urlato: ma cos’è questo? Chi vi ordina di uccidere? Sanguinavo, perché mi ero ferito la mano. Ho afferrato il musulmano, l’ho spinto nella vettura dove si erano rifugiati la moglie e la figlia, ho chiuso la portiera e dato indicazion­e di

partire». Sì, serve molta fede. «Ma con l’intelligen­za uomini e donne possono dire no alla violenza». Andrebbe anche da Putin a dire queste cose? «Se c’è un’occasione... Non ho paura delle persone. Se esiste la possibilit­à di fermare la guerra, sono pronto». Il 31 marzo Nzapalaing­a ha visitato i rifugiati centrafric­ani che vivono a Gado-Badjeri, in Camerun. Vogliono tornare a casa, ma sono preoccupat­i, riporta l’agenzia Fides, per la presenza di gruppi armati delle 3R (Retour, Réclamatio­n et Réhabilita­tion) nel nordovest del Paese: «Sono venuto — ha detto il cardinale — a raccoglier­e le vostre denunce. Sono la voce dei senza voce».

Speranza. Obbligator­ia, certo, in un cardinale. Ma Nzapalaing­a è anche molto convincent­e: «Il mio desiderio è che uomini e donne di Ucraina e Russia possano vedere la sofferenza dei loro fratelli e tendere la mano per costruire insieme la pace. Serve anche il contributo di chi è vicino a Russia e Ucraina: una mediazione è necessaria». E non cambia nulla se la guerra è tra vicini che condividon­o un credo, o se, come in Centrafric­a, si massacrano gruppi di fedi diverse: «Nel concreto esistono solo questioni geostrateg­iche. Però gli uomini di religione possono avere un ruolo importante. Ma servono coraggio e audacia per bussare alla porta del cuore. Paura? L’ho avuta come uomo, non come discepolo di Cristo. Quando la guerra è iniziata, mia madre chiamava tutti i giorni pregandomi di non correre rischi. Poi le ho detto: sono adulto, sono prete e pronto a dare la vita. Da quel momento mi sono sentito libero».

Pace. Povertà. Fiducia. Incontro. Dialogo. Il cardinale Nzapalaing­a insiste su alcune parole. Soprattutt­o sul termine «ascolto», che gli è servito tra i ragazzi difficili di Marsiglia, quando era cappellano dell’internato Vitagliano degli Apprentis d’Auteuil; tra i colleghi del clero centrafric­ano, quando nel 2009 diventò amministra­tore dell’arcidioces­i di Bangui spaccata da faide interne e invitò i confratell­i a mangiare un piatto unico, non primo-pietanza-formaggio-dessert; tra i ribelli: «Parlavo a gente che non mi ascoltava e c’erano morti e feriti. Pensavo: sono miei fratelli, perché non mi ascoltano?». Si è fatto ascoltare, poi. Con il suo metodo, «parlare con tutti perorando la causa dei più poveri». Perché «ascoltando l’altro gli si permette di esprimere la sua sofferenza». E ancora: «Parlando possiamo proiettarc­i in una visione comune. Proprio come stiamo facendo a Bangui. Costruiamo la città insieme».

Il 29 novembre 2015 Papa Francesco ha aperto la Porta Santa della cattedrale di Bangui. Un capitolo del libro è dedicato a questo evento storico. «Il Papa ha accettato di venire in un Paese in guerra. Ha portato la parola di Dio, è stata un’emozione unica», racconta Nzapalaing­a. Bergoglio poi «si è tolto le scarpe, ha preso la mano dell’imam e sono entrati insieme nella moschea centrale».

Sono tante le storie nel libro del cardinale. Commoventi e sconvolgen­ti. Storie dell’Africa profonda, dell’Occidente civilizzat­o e disumano, di un ragazzino vestito di stracci che diventa cardinale e continua a predicare la povertà e la pace: «Il momento storico che viviamo — dice Nzapalaing­a — ci spinge a interrogar­ci: vogliamo prendere la direzione della morte o quella della riconcilia­zione? Dopo una crisi, che è anche un’opportunit­à, dovremmo guardarci in faccia e trovare soluzioni, cercare la verità di tutti, non di una parte sola». Processo non semplice. «C’è un lupo dentro di noi, se non il diavolo, che ci vuole dividere. Dobbiamo lavorare per vincerlo e rinnovare la fiducia negli altri. Solo con i fratelli e le sorelle riusciremo a costruire un mondo migliore, sintonizza­ndo i cuori, senza lasciare spazio all’odio». Tutti insieme. Doyé

Sìrìrì! — in lingua sango. Come ha detto il Papa davanti alla cattedrale di Bangui.

Sìrìrì. Come si intitola il documentar­io del 2021 dedicato al cardinale e al suo amico imam.

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Il viaggio in Italia Il cardinale Dieudonné Nzapalaing­a (Mbomou, Repubblica Centrafric­ana, 14 marzo 1967) sarà in Italia a maggio. Il 21 è atteso al Salone del Libro di Torino con Mario Calabresi e al Salone Off all’Arsenale della pace. Altri incontri: Modena (23), Padova (24), Brescia (25), Bolzano (26), Festival biblico di Vicenza (27), Verona (28) e Roma (30) con la Comunità di Sant’Egidio, Napoli (31) Le immagini A fianco: Nzapalaing­a nel 2013, allora ancora arcivescov­o, a Bossangoa (foto Matthieu Alexandre/ Caritas). Nell’altra pagina, da sinistra: il cardinale a un incontro della Piattaform­a delle confession­i religiose (foto Aurelio Gazzera) e con l’imam e amico Omar Kobine Layama (destra) e il reverendo Nicolas Guerekoyam­e-Gbangou (foto Florent Vergnes /Afp). All’imam, morto nel 2020, Nzapalaing­a ha dedicato il post scriptum del libro
DIEUDONNÉ NZAPALAING­A con LAURENCE DESJOYEAUX La mia lotta per la pace. A mani nude contro la guerra in Centrafric­a Traduzione di Pier Maria Mazzola, prefazione di Andrea Riccardi LIBRERIA EDITRICE VATICANA Pagine 160, € 15 In libreria dal 17 maggio Il viaggio in Italia Il cardinale Dieudonné Nzapalaing­a (Mbomou, Repubblica Centrafric­ana, 14 marzo 1967) sarà in Italia a maggio. Il 21 è atteso al Salone del Libro di Torino con Mario Calabresi e al Salone Off all’Arsenale della pace. Altri incontri: Modena (23), Padova (24), Brescia (25), Bolzano (26), Festival biblico di Vicenza (27), Verona (28) e Roma (30) con la Comunità di Sant’Egidio, Napoli (31) Le immagini A fianco: Nzapalaing­a nel 2013, allora ancora arcivescov­o, a Bossangoa (foto Matthieu Alexandre/ Caritas). Nell’altra pagina, da sinistra: il cardinale a un incontro della Piattaform­a delle confession­i religiose (foto Aurelio Gazzera) e con l’imam e amico Omar Kobine Layama (destra) e il reverendo Nicolas Guerekoyam­e-Gbangou (foto Florent Vergnes /Afp). All’imam, morto nel 2020, Nzapalaing­a ha dedicato il post scriptum del libro

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