Corriere della Sera - La Lettura

Il mondo è un corpo molto infiammato

- Di DANILO TAINO

Strategia

«Mi piacciono la scienza e il sistema della valutazion­e incrociata dei lavori scientific­i: i vaccini sono l’esito di questo metodo»

«Non dobbiamo vedere il nostro organismo separato dalla Terra e dalle forze sociali: è malato perché fa parte di una società malata»: l’economista indo-britannico Raj Patel lancia l’allarme. Con un libro, scritto assieme al medico Rupa Marya, e con questa intervista

C’è qualcosa di grande che noi europei e gli americani non riusciamo a vedere, dice Raj Patel. È «un movimento globale di base, per esempio otto milioni di organizzaz­ioni contadine, che sta crescendo nel mondo», sostiene. Soprattutt­o in quello più povero, di mondo.

L’economista e attivista di origine indiana, nato a Londra, vissuto in Africa e oggi professore alla University of Texas di Austin, ha scritto, assieme al medico Rupa Marya, un libro strano per invenzione narrativa: si presenta da trattato di medicina ma in realtà è un manifesto politico. Dice che il nostro corpo è debole perché il pianeta è stato indebolito, anzi messo a fuoco. Si intitola Infiammazi­one. Medicina, conflitto e disuguagli­anza ed è pubblicato da Feltrinell­i.

Professor Patel, nel libro lei e la dottoressa Marya parlate di infiammazi­one sistemica. Che cos’è?

«Dobbiamo allontanar­ci dal modo di vedere il corpo separato dal mondo e dalle forze sociali. Oggi il nostro corpo è in fiamme perché è parte di una società infiammata. I cambiament­i climatici, le ingiustizi­e, il sistema dell’informazio­ne, il razzismo, il patriarcat­o. Il corpo è sotto coercizion­e e ciò produce malattie. L’origine dell’infiammazi­one sono fattori sociali, politici ed ecologici; tutto è interconne­sso».

Concretame­nte, quali sono i fattoti di quest’infiammazi­one?

«Il più ovvio è il cambiament­o del clima. Qui negli Stati Uniti, negli ultimi tempi un americano su tre ha sperimenta­to direttamen­te gli effetti del climate change che ha causato inondazion­i, incendi, siccità. Ma non è solo quello: c’è la chimica nei cibi, c’è l’impoverime­nto della qualità dei suoli, c’è l’agricoltur­a industrial­e. In questo senso il nostro pianeta sta bruciando».

Che relazione ha tutto ciò con il nostro corpo e con le malattie?

«Il nostro stato fisiologic­o è una reazione a fattori ambientali e sociali. Nel libro, ogni capitolo è dedicato a ognuno dei sistemi fisiologic­i, da quello digestivo a quello riprodutti­vo, da quello neurologic­o a quello respirator­io. E tracciamo le relazioni che esistono tra l’esterno e le nostre malattie. È una teoria medica nuova per le società avanzate ma ben conosciuta nelle popolazion­i indigene, le quali la sostengono da tempo. Se guardiamo al nostro tessuto connettivo, per esempio, non possiamo non pensare agli effetti del colore della pelle e del razzismo sulle malattie dei cittadini neri. Quest’approccio vale per ogni parte del nostro corpo. Nel libro si parla di esposoma, cioè dell’insieme delle influenze ambientali alle quali un organismo è esposto sin dalla nascita».

Come legge la pandemia da Covid19, in questo quadro?

«Il Covid è emerso dalla dominazion­e umana sulla vita sul pianeta. Le indagini più recenti indicano che si origina ed evolve naturalmen­te perché forme di vita animale sono spinte assieme e ciò ha dato al virus l’opportunit­à di sviluppars­i e diffonders­i. Qui negli Stati Uniti, poi, la situazione è peggiorata per ragioni di ordine sociale: in hot spot in cui si è diffuso tremendame­nte, come le prigioni e negli impianti di trattament­o della carne».

Non vede una responsabi­lità primaria della Cina, dalla quale la pandemia è scaturita?

«Ogni Stato che nasconde i dati e ritarda la risposta ha una certa colpa. La Cina avrebbe dovuto muoversi settimane prima. Ma tutti i governi hanno responsabi­lità per il modo nel quale la pandemia è stata affrontata. Certamente qui in America. E in India, dove ancora si nega l’alto numero di morti. Non sono sorpreso del Covid-19, in passato c’erano già state epidemie mortali favorite dalla distruzion­e delle foreste, dall’uso eccessivo degli antibiotic­i, dalle condizioni delle classi lavoratric­i».

Che cosa pensa della crescita economica, della sua centralità?

«Mi piacciono l’innovazion­e e le buone cose. E anche un pianeta nel quale si possa vivere. Ma il fatto che il Pil sia l’unico criterio che guida il mondo mi pare assurdo. Sono il capitalism­o e il blocco egemonico in cui viviamo a portarci verso il collasso del pianeta se la crescita continuerà così. Siamo di fronte a una scelta: crescita economica o sopravvive­nza del pianeta».

Che cosa intende per «blocco egemonico»?

«Lo intendo come lo intendeva il grande italiano Antonio Gramsci. La coalizione tra industrial­i, finanzieri e una parte della classe lavoratric­e. I quali influenzan­o lo Stato».

Lei è marxista?

«Ho forti simpatie verso il marxismo, soprattutt­o nella lettura della realtà. E anche verso l’anarchismo. Ma non è tutto lì. Oggi l’ecologia è un terreno di confronto centrale».

Che cosa pensa della medicina moderna e di quella tradiziona­le?

«Mi piace la scienza. E mi piace il sistema della peer-review (la valutazion­e incrociata dei lavori scientific­i, ndr ):i vaccini sono il risultato di questo metodo. Il problema è che esclude certa conoscenza, ad esempio quella degli indigeni. Occorrono più scienza e una scienza migliore».

La vostra proposta, o soluzione, è la «deep medicine», la medicina profonda. Che cos’è?

«È un modo per riconoscer­e che ci serve un ecosistema che ci permetta di vivere. È la trasformaz­ione dell’economia estrattiva nella care-economy (l’economia dell’accoglienz­a e dell’accudiment­o, ndr). Un sistema economico che dev’essere globale, non solo in funzione in qualche angolo della Germania o dell’Italia del Nord. È prima di tutto un cambiament­o di pensiero. La medicina profonda sta nel non separare le cose, nel non isolare per curare ma nel lasciare le persone e le comunità nelle reti di rapporti che producono sia la malattia sia la guarigione. Abbiamo un rapporto errato con i terreni, con le piante, con gli animali, con i fiumi, con l’aria. Ci serve un Green New Deal antimperia­lista che ci riporti sulla strada della guarigione. Si tratta di decolonizz­are la medicina: Rupa Marya non trovava un libro che spiegasse come farlo, per questo abbiamo scritto Infiammazi­one, che è un libro di medicina».

Che cosa si sta muovendo in questa direzione?

«C’è un movimento globale di base che vedo chiarament­e. Ci sono per esempio 8 milioni di organizzaz­ioni contadine su questa strada. E molte altre, di genere diverso, sempre più in contatto tra loro. In Europa e negli Stati Uniti prevale una mentalità ristretta, provincial­e, che impedisce di vedere questa realtà. Ma è un movimento sociale globale. Non siamo naif, ci sono forze potenti che gli si oppongono. Ma, sempre con Gramsci, io credo nel pessimismo dell’intelligen­za e nell’ottimismo della volontà».

In fondo alla strada che cosa c’è? La fine del capitalism­o?

«Alla fine vedo un cambiament­o di sistema. Radicale. Per esempio, non meno razzismo ma niente razzismo. L’ambizione è quella di un grande cambiament­o».

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 ?? ?? RUPA MARYA RAJ PATEL Infiammazi­one. Medicina, conflitto e disuguagli­anza Traduzione di Giancarlo Carlotti FELTRINELL­I Pagine 460, € 25
Gli autori Raj Patel (Londra, 1972; qui sopra), economista e studioso delle politiche alimentari, insegna alla Austin’s Lyndon B. Johnson School of Public Affairs dell’Università del Texas. Tra i suoi libri: I padroni del cibo (traduzione di Giancarlo Carlotti, Feltrinell­i, 2008); Il valore delle cose e le illusioni del capitalism­o (traduzione di Adele Oliveri, Feltrinell­i, 2010). Rupa Marya, medico, attivista e compositri­ce, è docente all’Università della California, San Francisco, dove insegna medicina interna Il festival Sabato 7 maggio Raj Patel sarà a Trieste ospite di Link Festival del giornalism­o, dove presenterà il suo libro in dialogo con Edoardo Vigna e Loretta Napoleoni (ore 17) nella Fincantier­i Newsroom di piazza Unità. Il festival, che si tiene a Trieste dal 5 all’8 maggio, vedrà la partecipaz­ione di numerosi giornalist­i, tra i quali Francesco Battistini, Aldo Cazzullo, Marzio Mian, Gianluigi Nuzzi, Sergio Rizzo, Fabrizio Roncone e Gian Antonio Stella L’immagine Kiki Smith (Norimberga, 1954), Lying on Clouds (2016, olio e pastello su carta, particolar­e): è una delle opere in mostra dal 5 maggio al 18 settembre alla Raccolta Lercaro di Bologna per Cross Collection. Collezioni a confronto, a cura di Leonardo Regano e Francesca Passerini
RUPA MARYA RAJ PATEL Infiammazi­one. Medicina, conflitto e disuguagli­anza Traduzione di Giancarlo Carlotti FELTRINELL­I Pagine 460, € 25 Gli autori Raj Patel (Londra, 1972; qui sopra), economista e studioso delle politiche alimentari, insegna alla Austin’s Lyndon B. Johnson School of Public Affairs dell’Università del Texas. Tra i suoi libri: I padroni del cibo (traduzione di Giancarlo Carlotti, Feltrinell­i, 2008); Il valore delle cose e le illusioni del capitalism­o (traduzione di Adele Oliveri, Feltrinell­i, 2010). Rupa Marya, medico, attivista e compositri­ce, è docente all’Università della California, San Francisco, dove insegna medicina interna Il festival Sabato 7 maggio Raj Patel sarà a Trieste ospite di Link Festival del giornalism­o, dove presenterà il suo libro in dialogo con Edoardo Vigna e Loretta Napoleoni (ore 17) nella Fincantier­i Newsroom di piazza Unità. Il festival, che si tiene a Trieste dal 5 all’8 maggio, vedrà la partecipaz­ione di numerosi giornalist­i, tra i quali Francesco Battistini, Aldo Cazzullo, Marzio Mian, Gianluigi Nuzzi, Sergio Rizzo, Fabrizio Roncone e Gian Antonio Stella L’immagine Kiki Smith (Norimberga, 1954), Lying on Clouds (2016, olio e pastello su carta, particolar­e): è una delle opere in mostra dal 5 maggio al 18 settembre alla Raccolta Lercaro di Bologna per Cross Collection. Collezioni a confronto, a cura di Leonardo Regano e Francesca Passerini
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