Corriere della Sera - La Lettura
Tempeste tropicali, ma d’inchiostro
Racconti o memorie, diario di navigazione nel burrascoso mondo dell’editoria... Quello di Antonio Franchini è l’atto d’accusa e insieme d’assoluzione verso chi, attraverso il destino di un’opera, tiene tra le mani la «felicità dell’autore»
Libro di racconti o di memorie, reportage dal mondo editoriale, journal intime di un navigante sui mari agitati dell’editoria o ancora atto d’accusa e insieme d’assoluzione verso chi, attraverso il destino di un’opera, tiene tra le mani la «felicità dell’autore»?
Leggere possedere vendere bruciare è in qualche modo ciascuna di queste cose: il primo racconto, autenticamente, dolorosamente autobiografico, pone il tema dell’eredità e della traditio con una pietas che si condensa nell’immagine del cutter usato per aprire gli scatoloni dell’eredità paterna, da cui fuoriescono insieme sangue e libri.
Seguono due racconti-inchiesta sul mestiere di editore, scritti a oltre vent’anni di distanza, in cui emergono alcuni ritratti emblematici (Giuseppe «Peppo» Pontiggia, Ernesto Ferrero, Pietro Cheli, Ferruccio Parazzoli) nel cui specchio Franchini osserva con un misto di affetto e disincanto il mondo editoriale di cui è stato ed è protagonista, esercitando le doti della socratica arte maieutica e subendo gli aridi meccanismi dell’ingranaggio che divora i suoi stessi trionfi («i successi di oggi sono tempeste tropicali che allagano il terreno, lo sbancano e non lo fertilizzano»).
Il tutto è sublimato nelle Memorie di
un venditore di libri (unico vero e proprio passaggio narrativo del libro) dove l’invenzione di un meeting viennese tra funzionari editoriali è l’occasione per illuminare i retroscena del mercato librario: qui emergono alcuni personaggi (il poeta Cattabiani, il direttore Beretta, il venditore Procolo Falanga) dietro al cui schermo si nascondono altrettanti protagonisti della storia di Mondadori. Chiude un racconto-saggio intitolato
Bruciare, che ha il sapore dell’auto da fé
(non a caso Franchini immagina qui di scrivere un libro intitolato Comburantur, la formula usata dal tribunale dell’inquisizione per condannare gli eretici), un capitolo dedicato a ciò che della tradizione libraria va perduto, a ciò che non giunge a compimento e a ciò che montalianamente dura nella cenere, dunque a un’idea di letteratura in cui dissipazione e permanenza, dispersione e continuità vanno di pari passo.
Eppure, il centro di gravità di questo libro non è, come si potrebbe immaginare, la personalità del funzionario editoriale: non siamo di fronte alla narrazione narcisistica di un’avventura professionale fuori dal comune. Il «primo uomo della storia» è piuttosto il manoscritto — il misterioso protagonista della tradizione letteraria occidentale da Miguel de Cervantes ad Alessandro Manzoni, il miraggio che forse diventerà realtà, o forse resterà sepolto tra le maglie della sensibilità del funzionario: per lui allora, il principe Andrej e l’oscuro Vincenzino Chiacchio rispondono alla stessa, dolorosa necessità. Quella di prendere vita.
MaL eggere possedere vendere bruciare è anche un libro che procede per aforismi, con un’energia assiomatica che, scrive Franchini, è «la parte oscura della conoscenza», l’intuizione profonda che dà più amarezza che soddisfazione, e che non sopporta argomentazione alcuna: «Quando un bel libro comincia a vendere delle copie cessa all’istante di essere un bel libro»; «il cinismo è l’approdo inevitabile di ogni attività umana quando sia stata esercitata abbastanza a lungo»; «solo il più vacuo formalismo può averci indotto a credere che su ogni scritto si possa sproloquiare per ore»; «si un libro nun se vende, nun se vende. Si uno tene ’e corna, tene ’e corna».
Una forza aforismatica che si spiega in parte con la natura, a tratti gustosamente aneddotica, del libro, ma che soprattutto deriva da quella «confidenza con la letteratura» il cui esito non è solo il cinismo di cui pure l’editor Franchini è talvolta stato accusato, e in cui lui stesso in parte si riconosce (un «cinico sentimentale», dice di sé): è la confidenza di chi sa intimamente — con Herman Melville e la grande letteratura sapienziale — che è forse inutile «spostare il braccio al remo e al rampone».
La sera incombe sulla navigazione (uno dei topos più ricorrenti in queste pagine) e Franchini offre più di un salvagente per giungere in porto con il sorriso lieve del disincanto.