Corriere della Sera - La Lettura
La vita è altrove, la morte anche. Che fare?
Visita l’umanità del Veneto contadino degli anni Cinquanta e Sessanta
Ricerca spasmodica o condanna senza scampo è l’altrove del titolo del romanzo di Barbara Cagni, che attraverso il racconto di una sofferta vicenda familiare tratteggia un affresco della vita di provincia nel Veneto contadino e uno spaccato di storia italiana fra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, condotti attraverso lo sguardo di bambina, adolescente e infine giovane donna di una io narrante destinata a restare anonima.
Nel 1955 sulla sua famiglia (il padre Giovanni, che lavora in città e in paese torna solo nel fine settimana, la madre e altre tre sorelle) si abbatte una disgrazia: Berta, la maggiore, da qualche tempo emigrata in Svizzera, ha dato segni di squilibrio e deve tornare a casa. Ma il futuro della giovane è ormai segnato: reduce da una cocente delusione sentimentale, persa nel suo altrove, non sarà mai più la stessa e ad attenderla ci sono il manicomio, gli elettroshock, perfino una lobotomia.
Intanto da quella piccola realtà di provincia molti partono per lasciarsi alle spalle una vita di povertà e sopraffazioni: gli uomini sulle rotte dell’emigrazione, fra Australia, Germania e Belgio, o verso le fabbriche di Torino e Milano, le giovani perfino nelle risaie, da dove ogni stagione tornano devastate dalle punture degli insetti o vittima della violenza bruta dei padroni. Invano contro quelle fughe inveisce nelle discussioni di politica Giovanni, uomo duro e intransigente, feroce anticlericale, emigrato in Australia negli anni Venti e costretto a rientrare a seguito della Grande depressione, incapace di comprendere le ragioni di chi se ne vuole andare. E così sono le donne a dar vita a un tessuto di relazioni e mutuo soccorso in cui si fanno le prime prove di emancipazione fra chi finalmente riesce a prendere in mano la propria vita, chi legge e si informa, chi trova nello studio e nel lavoro, o perfino nella guida di un motociclo, la tanto desiderata autonomia: in Per sempre, altrove, un romanzo che indaga la distanza, le illusioni, i dolori e i rari successi degli emigranti ma anche i sentimenti di quanti cercano tenacemente la propria strada, trova dunque spazio un’indagine corale sulla condizione femminile di quegli anni, mentre il «lontano» si carica di tragedia (un giovane paesano muore nel disastro di Marcinelle) e il «vicino», per quanto amato, si fa sempre più asfittico.
Tra nascite, amori, amicizie e decessi, si moltiplicano le contraddizioni: il tempo ancora scorre ciclico, si parla dialetto e con l’italiano si rischia l’incomprensione, ma intanto si affacciano la moda, la tv, il progresso e la storia con le loro insidie e il volto orribile della morte, portata a man bassa dall’influenza asiatica e dal disastro del
Vajont, e di fronte al fallimento dei metodi della psichiatria, apertamente denunciati nella loro crudeltà, riaffiorano superstizioni antiche e tocca a una «strega» troncare le speranze di guarigione per Berta. Anche l’io narrante finisce per scegliere l’altrove, ancora di salvezza dalla polvere della fabbrica dove ha trovato lavoro dopo gli studi, perché a volte, come le ha insegnato la madre, «per conoscere le cose bisogna partire».