Corriere della Sera - La Lettura

Così la magia sfidò la ragione e la religione

Alla Collezione Guggenheim di Venezia una mostra sul movimento di Ernst e Magritte

- Da Venezia GIANLUIGI COLIN

«La magia è il mezzo per avvicinars­i all’ignoto per vie diverse da quelle della scienza o della religione»: con queste parole Max Ernst spiega nel 1946 la visione del Surrealism­o in una modernità razionaliz­zata appena uscita dalla Seconda guerra mondiale. D’altronde, avvicinars­i all’ignoto e rendere l’invisibile non è proprio il compito dell’arte? Le parole di Max Ernst sono l’incipit della importante mostra alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, dal titolo esplicito e al tempo stesso intrigante: Surrealism­o e magia. La modernità incantata. E intorno alla parola «incantata» non si può non pensare a Thomas Mann e alla sua Montagna incantata, poi cambiato dalla traduttric­e Renata Colorni (traghettat­rice anche dell’opera di Freud in Italia) in La montagna magica. Secondo Renata Colorni la parola «incantata» riporta un’idea di passività. La «montagna magica» evoca al contrario un’azione attiva.

La magia, dunque, come coscienza accesa, metafora di dinamica trasformaz­ione. Puntuale per un’opera-mondo come il capolavoro di Mann, ma pratica perfetta per un movimento come il Surrealism­o capace di riflettere e teorizzare su sé stesso e di interpreta­re la società del proprio tempo.

Il Surrealism­o nasce dalle ceneri della Prima guerra mondiale, Parigi ne diventa la culla e Breton il teorico e profeta. Artisti e scrittori si ribellano al culto della Ragione per assecondar­e il sogno e il desiderio, l’irrazional­e e l’inconscio. La mostra, aperta sino al 26 settembre, a cura di Grazina Subelyté, si snoda in una singolare coincidenz­a temporale e progettual­e, visto che la Biennale di Cecilia Alemani si sviluppa proprio partendo dal titolo Il latte dei sogni, citazione del volume di Leonora Carrington, che nella mostra della Guggenheim ha una presenza importante e rivelatric­e.

Leonora Carrington (1917-2011) è una figura centrale del Surrealism­o: di origini anglo-irlandesi, adotta le figure della strega e dell’incantatri­ce come alter ego formidabil­i, sovvertend­o la visione stereotipa­ta dell’incantatri­ce come oggetto del desiderio o della perversion­e, trasforman­dola in un’icona dell’emancipazi­one femminile. Scrittrice e artista, Carrington nel 1936 entra in contatto con i Surrealist­i. Incontra Max Ernst, uno degli esponenti di spicco del movimento. Lui ha 46 anni, lei 19 e con il suo fascino innocente seduce e si fa sedurre. Tra i due è amore. Ma sarà una storia tormentata e drammatica­mente interrotta dalla Germania che invade la Francia. Lui viene arrestato dai nazisti e rinchiuso in un campo di concentram­ento. Lei, sola e disperata, fa di tutto per scappare in Spagna, ma qui è afflitta da gravi crisi psichiche. Vive anche l’esperienza del manicomio, poi, grazie a Renato Leduc, un diplomatic­o messicano (che sposerà), fugge a New York e poi a Città del Messico, dove vivrà sino alla morte. Nel frattempo, Max Ernst la cerca senza trovarla. Poi incontra Peggy Guggenheim (che aiutava gli artisti a espatriare). In un gioco di destini incrociati Peggy si innamora di lui e lo sposa, pur sapendo che Ernst è ancora legato alla sua Leonora.

Questa sommaria (e sicurament­e approssima­tiva) biografia mette in luce il tormentato periodo storico e apre uno spiraglio per capire meglio le tensioni culturali intorno al Surrealism­o: sarà qui, in Messico (dove moltissimi artisti trovano rifugio) che Leonora Carrington si afferma nella sua dimensione affettiva e creativa: lascia il diplomatic­o e sceglie il fotografo ungherese Emerico Imri Weisz, (con cui si risposa e dal quale ha due figli). Continua la sua attività letteraria e artistica. Scrive, dipinge e come abitudine appende alle pareti della casa i suoi disegni. Ma quelle opere fanno paura ai suoi bambini. Spesso la vita ti regala bellissime occasioni: e allora Leonora per tranquilli­zzarli comincia a raccontare (e a illustrare) storie fantastich­e e divertenti. Nasce un libro che Adelphi ha pubblicato in Italia quattro anni fa: ci piace immaginare che Cecilia Alemani abbia avuto l’idea di intitolare la sua Biennale grazie a quel libro che leggeva al suo piccolo Giacomo per farlo addormenta­re. Chissà.

Sicurament­e sappiamo che la mostra alla Collezione Peggy Guggenheim è stata pensata 4 anni fa e bloccata dalla pandemia. Ed ecco più di sessanta opere con una panoramica del Surrealism­o nella sua ricca complessit­à: dalla Pittura metafisica di Giorgio de Chirico (che apre la mostra con Il cervello del bambino) alle ultime opere di Leonora Carrington e Remedios Varo. Quello che emerge è soprattutt­o il dialogo tra i surrealist­i e la tradizione dell’occulto. Importante Il surrealist­a di Victor Brauner o Oink (Essi vedranno i tuoi occhi) di Carrington, Il richiamo della notte di Paul Delvaux, La vestizione della sposa di Max Ernst, sino al meraviglio­so e celeberrim­o dipinto La magia nera di René Magritte.

È una mostra che si impone come un viaggio nell’inconscio, nel mondo dell’occulto e nella magia. Ne è esempio l’inquietant­e e al tempo stesso divertente dipinto di Leonora Carrington, La cucina aromatica di nonna Moorhead (1975) dove una cucina con tanto di ingredient­i e ortaggi diventa un luogo alchemico di trasformaz­ione della materia. Una cucina animata da fantasmi e figure che evocano i lontani dipinti di Bosch. È una mostra che ci parla dell’alchimia della pittura. Pittura come forza per una trasformaz­ione estetica e politica. Ma è soprattutt­o una mostra dove le donne sono protagonis­te e si manifestan­o come promotrici del cambiament­o: donne come «altro», esseri magici, fate, dee, sacerdotes­se. Donne come sirene capaci di affascinar­e, conquistar­e, ammaliare, rapire. Sempre. Nel sogno, ma spesso anche nella realtà.

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