Corriere della Sera - La Lettura
Una band e Paladino con 15 voci per Napoli
Rock sociale «Jastemma» è il nuovo album degli ’A67. Copertina d’artista, testi d’autore ispirati alle canzoni del disco: (anche) per riscattare Scampia
Nicola Lagioia si è espresso in versi («Quando ritornerò alla vita/ (...) inizierò a pensare/ che una profondità sussiste/ un minimo crepaccio un dislivello/ tra ciò che vive/ ed un romanzo d’appendice, un porno, il notiziario della sera»). Così come Marco Ciriello («Un uomo bestemmiava/ contro sé stesso,/ la sua donna, la sua casa, la sua città,/ il mare, il cielo, il vulcano,/ contro angeli, santi e madonne»). O, ancora, Giuseppe Catozzella («la tara è il nostro resto al desco che ci affama/ spoglie lasciate a lutto al pranzo della festa»). Carmen Pellegrino ha scritto una piccola storia, tratteggiandola in pennellate rapide e dirette. Il testo di autrici come Viola Ardone e Loredana Lipperini è sotto forma di lettera.
Sono i racconti e le poesie che accompagnano Jastemma, il nuovo disco degli ’A67, storica band di Scampia, dal 2004 voce e suono del riscatto di un quartiere (il nome del gruppo si rifà alla legge 167 del ’62 sull’edilizia popolare).
Ad affiancare le dieci canzoni del nuovo cd-book in uscita il 6 maggio edito da Squilibri, ci sono i testi di 15 autori: Viola Ardone, Alessio Arena, Luigi Romolo Carrino, Giuseppe Catozzella, Marco Ciriello, Amleto De Silva, Luca Delgado, Gennaro Della Volpe (Raiz), Raffaella R. Ferré, Nicola Lagioia, Loredana Lipperini, Carmen Pellegrino, Angelo Petrella, Alberto Rollo e Gianni Solla. Ciascuno di loro si è ispirato a una canzone dell’album per scrivere un racconto o dei versi. Completando così un affresco collettivo per il quale un artista come Mimmo Paladino ha realizzato la copertina: l’immagine potente di un volto a occhi chiusi, la tavolozza nei toni del bruno e del rosso, le scritte con il titolo dell’album e il nome della band campana, nello stile unico dell’artista di Paduli, Benevento.
«Con Paladino siamo amici da anni: ha già realizzato un’altra copertina per noi», racconta Daniele Sanzone, voce e anima del gruppo, regista dell’intera operazione. «Gli ho spiegato il progetto, ha letto i testi e se ne è innamorato. Il disco parla di dolore, di vita. E Paladino ci ha regalato una copertina materica, dalle pennellate importanti». Il gruppo non è nuovo a questo tipo di progetto. Nel 2010 uscì ad esempio l’antologia di racconti Scampia Trip, con le opere del muralista Felice Pignataro: «L’idea, lì, era di narrare per la prima volta dall’interno il quartiere più raccontato d’Europa. Dando voce alle associazioni e unendo un documentario con i pezzi nostri nati come riflesso», racconta Sanzone. Nel 2012, invece, con Naples Power gli ’A67 hanno reso omaggio alla scena musicale napoletana con un disco di cover e collaborazioni di peso, omaggio seguito dai testi, fra gli altri, di Roberto Saviano, Carlo Lucarelli, Peppe Lanzetta, Valeria Parrella e Sandro Ruotolo.
«Dopo dieci anni, abbiamo sentito l’esigenza di ripetere quell’operazione, ma partendo stavolta da inediti nostri», spiega il leader della band. «Nel 2020 avevamo appena chiuso l’album precedente, Naples Calling’, giusto pochi giorni prima del lockdown. Eravamo un po’ depressi ma il nuovo batterista, Mirko Del Gaudio, ci ha dato una ventata di entusiasmo. Ecco così che si siamo messi a lavorare a questo disco».
Dopo il precedente album elettronico — collaborazioni con Caparezza e Frankie hi-nrg — Jastemma segna un ritorno a suoni «veri»: chitarra, basso, batteria. «Il nuovo disco ha un forte sapore blues e risente di tutto il dolore di questa pandemia che, però, volutamente, non è mai citata, per non localizzare il disco in un periodo».
Per Sanzone è stata «l’urgenza di raccontarci e di raccontare» a spingere il progetto di coinvolgere gli autori dei testi: «L’idea è stata quella di fondere in modo organico le canzoni e le opere di scrittrici e scrittori. Le ho assegnate io: 10 canzoni per 15 autori. Hanno lavorato in totale libertà: ho mandato loro i testi delle canzoni e le registrazioni provvisorie, fatte con il cellulare. Qualcuno s’è cimentato con la poesia, sperimentando. Tutti hanno accolto la cosa come una sfida».
Jastemma — in napoletano, come tutto l’album — vuol dire «bestemmia» ma anche «maledizione». È un disco che parla d’amore, in tutte le declinazioni. «In passato l’ho considerato come un tema troppo alto, in cui è facile scadere nella retorica. Qui, invece, mi è venuto naturale. In un paio di brani, Sape ’e niente e Tutto finisce, il punto di vista è quello femminile. Ma il concetto è molto largo: la canzone che dà il titolo al disco, Jastemma, è dedicata a Napoli, è l’amore per la propria terra». Una città che è «’na cundanna ca me ’nchiova, paraviso senza porte», condanna che inchioda, paradiso che diventa prigione. «Un eterno conflitto di amore e odio verso una terra che è insieme luce e paura. Vivere quotidianamente queste contraddizioni non è semplice. Gli artisti sentono una responsabilità: lasciare Napoli ti fa sentire in colpa, è come se ti fossi arreso».
La Scampia degli ’A67 è presente, anche se in maniera meno diretta rispetto ad altri dischi. «Nella canzone I colori del precedente album cantavo: “Del mio quartiere sono l’ombra che mi precede in ogni dove”. E così è: sarò sempre di Scampia, è il contesto da cui non può prescindere la nostra storia: il mio sguardo sarà sempre condizionato da questa realtà complessa. Però sarebbe assurdo fermarsi qui: partiamo da questo luogo per parlare al mondo. Oggi Scampia è sinonimo di Gomorra: si è sostituita nella nuova oleografia a sole, pizza e mandolino. Si esce da questa retorica cercando di offrire quanti più punti di vista possibile, cercando di problematizzare, facendo emergere altro. Ma è come Davide contro Golia: ci troviamo a lottare con narrazioni potentissime, le serie tv, i tg, i media. Non neghiamo la complessità e le difficoltà del luogo, ma c’è tanto altro e c’è bisogno di tanto altro. Oggi il quartiere vive una riqualificazione importante, attesa da anni. L’unico cambiamento sarà quando ci sarà un’alternativa reale per chi vive ai margini dell’impero. Ovvero un lavoro dignitoso».