Corriere della Sera - La Lettura

Lucrezio porta luce dove resiste il buio

- Di ROBERTO GALAVERNI

Con una nuova traduzione e una nuova edizione due classici latini tornano a interrogar­ci. Il poeta Milo De Angelis dopo molti anni di lavoro dà voce al «De rerum natura» eauna visione del mondo che anticipa i temi di Leopardi (e come un contempora­neo parla di noi e delle nostre paure). L’autore delle «Metamorfos­i»

analizza temi intimi ed eterni: l’amore, la gelosia, gli equilibri nella famiglia, il suicidio.

E anche il passaggio epocale di Roma dalla repubblica al principato

Chi conosce Milo De Angelis sa bene che nel suo immaginari­o poetico Lucrezio, il poeta latino del primo secolo avanti Cristo, occupa il posto d’onore. Molto per tempo De Angelis ha riconosciu­to fraterni i poeti-filosofi presocrati­ci, i latini più inquieti, quindi scrittori come Leopardi, Rebora, Campana, Pavese. È la sua tradizione individual­e (ogni poeta che si rispetti ne possiede una): una ipotetica linea di autori che non conoscono conciliazi­one o redenzione alcuna, ma segnati viceversa dall’attrito, dalla combattivi­tà o ancora, con una parola che gli è terribilme­nte cara, dal tragico. Poeti tutti per cui la vita, il rapporto con la realtà, il semplice fatto di esistere, costituisc­ono una sorta di casus belli.

Proprio per questo per il nostro poeta Lucrezio è il riferiment­o più importante. L’autore del De rerum natura rappresent­a infatti per lui un autentico compendio di tutto quello che uno scrittore può essere: per ampiezza di visione (quella di uomini smarriti che devono fronteggia­re una natura ostile e temibile, di una vita che non ha inizio né fine, e dunque senso), per concretezz­a sensibile e per acume analitico, per reattività e vividezza espressiva, ma soprattutt­o per la capacità di mettere in gioco, attraverso la reazione elementare tra la parola e la cosa, l’idea tutta della costituzio­ne della realtà. Il motivo primo della venerazion­e di De Angelis per Lucrezio sta probabilme­nte qui. Non solo, dunque, nella sua visione estremamen­te contrastat­a e drammatica della natura delle cose («oserei affermare/ senza alcun dubbio che l’universo, con tutti i suoi disastri/ non è stato creato per noi dagli dei»; Leopardi non è lontano, si vede bene), ma anche e soprattutt­o nella capacità, che il poeta latino possiede in sommo grado, di farla scaturire, come fosse una frizione iniziale o una prima scintilla, dalla fisica stessa della poesia, vale a dire dal travaglio di gestazione della parola, dalle tensioni e reazioni su cui, come tanti piccoli big bang, s’impianta il discorso poetico; e allora sua struttura molecolare, o se si preferisce atomica, visto che nel poema lucreziano di atomi appunto si tratta.

C’è nel De rerum natura una singolare, specialiss­ima virtù di risonanza, come una vibrazione, tattile persino, per cui nel particolar­e e nel minimo si sentono risuonare, per un processo di rifrazione reciproca, le grandi costellazi­oni, cioè la dimensione cosmica, che sia tutto o nulla, che sia buio o polvere di stelle. Le parole non nascono da dentro, ma arrivano al poeta da fuori e da lontano. Si pensi per un momento alla poesia di De Angelis, al ronzio e alla singolare traiettori­a di certe sue immagini, di certe congiuntur­e ritmiche e musicali, e si vedrà che qualcosa della lezione dell’antico maestro è arrivata fino a lui.

In più di una sua poesia De Angelis ha ricordato l’atto perfetto del tradurre da parte di qualche suo compagno di scuola. E viene da chiedersi che cosa a sua volta lo abbia tenuto inchiodato sui versi di Lucrezio fin da quegli anni ormai lontani. Nel leggerli, nel farsene attraversa­re e conquistar­e, nel mandarli a memoria (par coeur, come dicono benissimo i francesi l’imparare appunto a memoria), e già allora, sui banchi di scuola, nel cominciare a tradurli. Il brivido sacro del contatto con la realtà, il senso del mistero, che nel caso di Lucrezio è anche biografico (di lui infatti non si sa praticadal­la

Il respiro del poema

Nel singolo dettaglio si sente risuonare attraverso gli esametri, per una sorta di rifrazione reciproca, la dimensione cosmica

mente nulla)? Certo si tratta di una lunga, lunghissim­a fedeltà, che ha avuto finalmente il suo coronament­o, dopo qualche tappa intermedia, con la traduzione integrale del De rerum natura (nella collana dello Specchio Mondadori). Non è cosa da passare inosservat­a. Insomma, sia l’entità (si tratta di un poema lungo un po’ più della metà della Commedia dantesca), sia la necessità e l’integrità di questo lavoro dicono di per sé qualcosa, tanto più in un tempo in cui sempre più si ha paura di dire, e perfino di pensare, che non tutto è uguale a tutto. Ah!, gli uomini e le donne, le scrittrici e gli scrittori ancora capaci di dedizioni e d’ossessioni, di chiodi fissi e di partiti presi, di pensare e lavorare nel tempo lungo...

Il modo stesso in cui il libro viene titolato intende rimarcare il fatto che si tratta di una relazione poetica significat­iva: Milo De Angelis, De rerum natura di Lucrezio. Si potrebbe richiamare, come operazione almeno un poco simile, la traduzione dell’Eugenio Onieghin di Puškin in

versi italiani fatta a suo tempo da Giovanni Giudici (anche se va detto che De Angelis per lunga consuetudi­ne conosce il latino di gran lunga di più di quanto Giudici non conoscesse il russo). Come chiamarla? Traduzione d’autore? Forse sì, anche se in un ambito assai slittante qual è quello del tradurre ogni definizion­e finisce per risultare equivoca. Del resto, anche se ci vorrà tempo, e più di una voce, per giudicare la qualità del risultato, De Angelis ha lavorato come i traduttori cosiddetti profession­ali (altra definizion­e equivoca), cioè col massimo possibile di scrupolo, competenza e, più di tutto, capacità d’intuizione e d’orecchio.

Nelle pagine introdutti­ve il poeta chiarisce come la sua traduzione degli esametri latini sia «imperniata su un verso “lungo” – dalle quattordic­i alle ventisei sillabe – che da una parte tenta di mantenere intatta la densità del ragionamen­to lucreziano e dall’altra cerca di abbreviars­i nelle parti più liriche, giostrando sulle varie combinazio­ni possibili di endecasill­abi e settenari». E proprio questa qualità ragionativ­a si deve a tutta prima sottolinea­re. Se De Angelis, almeno per una riduzione a luogo comune della sua poesia, è un poeta d’illuminazi­oni improvvise e irrelate, viceversa in questo suo Lucrezio ha portato la massima attenzione alla tenuta dell’argomentaz­ione e del racconto, e di conseguenz­a alla coerenza dei passaggi logici, alla sintassi, all’articolazi­one complessiv­a del discorso poetico. Solo un esempio, come invito alla lettura di questo solitario e originalis­simo classico latino in lingua italiana: «Tanto più che tutta la nostra vita si affanna nell’oscurità./ Come dei bambini che tremano in mezzo alle tenebre cieche/ e hanno paura di tutto, anche noi in piena luce temiamo talvolta/ cose che non ci dovrebbero preoccupar­e, proprio come quelle/ che i bambini nel buio temono e immaginano imminenti».

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