Corriere della Sera - La Lettura
Il poeta-architetto ha imparato che senza cripta non c’è cattedrale
La doppia missione del catalano Joan Margarit: la scrittura come costruzione
«All’alba i muratori fanno un falò/ con i resti delle casseforme./ La mia vita è stato un edificio in costruzione/ con il vento sull’alto dell’impalcatura/ e perennemente sul vuoto, perché, si sa,/ chi mette la rete non ce l’ha per sé»: il poeta catalano Joan Margarit (11 maggio 1938-16 febbraio 2021) è stato uno dei più importanti letterati spagnoli. Nel corso della sua densa attività creativa ha ricevuto premi prestigiosi: il Cervantes (2019), il Premio Nazionale di Letteratura della Generalitat de Catalunya (2008), il Reina Sofía per la Poesia Iberoamericana (2019), il Premio Nazionale di Poesia (2008).
La sua poetica è profondamente segnata da un particolare bilinguismo (alle poesie in lingua materna, il catalano, è affiancata sempre la versione castigliana) e da una doppia «militanza»: il suo amore per l’architettura e per la scrittura. Per Margarit, modellare opere edili o parole implica necessariamente un atto creativo, un’idea, un artificio. Così l’architetto (conosciuto, tra l’altro, per la costruzione dell’Anello Olimpico di Montjuïc a Barcellona) influenza la costruzione delle sua poesie e il poeta, a sua volta, condiziona la concezione delle sue visioni architettoniche: «L’architettura — sostiene Margarit in un suo saggio — è, fondamentalmente, l’arte della distribuzione dei pesi. Anche la poesia lo è. […] Si potrebbe fare un parallelo con la poesia che cerca di portare pesi sentimentali in modo sottile, complesso, intenso, mai volgare».
Senza cogliere il nesso architetturapoesia, come ricorda Marisa Martínez Pérsico, sarebbe impossibile orientarsi nella selva di metafore che caratterizza la sua vasta produzione in versi. L’illustre poeta catalano esplora gli spazi esterni e interni delle case, nelle cui superfici si snodano le esperienze dei protagonisti delle sue opere: la rappresentazione di un giardino, di una cucina, di una camera da letto diventa l’occasione per inda
gare gli intimi interstizi degli esseri umani che vi abitano, vi dialogano, vi scorrono momenti gioiosi e malinconici della loro vita («Perché amare non è innamorarsi./ È ricostruire più volte lo stesso cortile,/ dove ascoltare, quando ancora è notte,/ il canto del merlo in primavera./ L’unico canto di uccello degno di Schubert./ Soli in cucina, come quando avevamo vent’anni,/ tu ed io ci facciamo forza ascoltando questa melodia»).
Anche per descrivere il suo profondo e ancestrale legame con la lingua catalana, Margarit ricorre alla metafora architettonica: «La cultura — aveva dichiarato in un’intervista — è la cattedrale fatta di rosoni, contrafforti, lesene, portali, cori. Tutto è ammirevole in quel mondo enorme della cultura. Ma per un poeta niente di tutto questo ha importanza. L’unica cosa che conta è la cripta. [...] E senza cripta non c’è cattedrale».
Senza la «cripta» — la lingua materna che, durante il franchismo, aveva subito feroci censure: «Era, la mia, una lingua oppressa» — non c’è cattedrale e non ci può essere poesia. L’arte del costruire coinvolge molti aspetti della vita umana: gli affetti («Costruire bene una casa è parlare/ con parole di affetto a certa gente/ che non conoscerai mai./ Come nella passione,/ quando ci sono lesioni in un edificio/ devi sempre considerare/ se è meglio rinforzare o abbattere/ costruire di nuovo./ A volte risanare fa paura, è più difficile»), le relazioni amorose («Amare è rifare,/ sopprimere, attenuare/ e cercare da dove/ e cosa si può recuperare»). L’allegoria morale esprime sempre la non facile scelta tra «demolire» e «riparare». E finanche il rapporto con la sua Barcellona esprime il disagio per una città ormai venduta al turismo, in cui lo spazio architettonico di alcune aree urbane suscita reazioni conflittuali («desolata città che diventi puttana»).
Costruire edifici, costruire vite, costruire versi significa salire in alto alla ricerca di un possibile riparo, di un rifugio, di una difesa per allontanarsi «dal dolore del mondo» («Salendo per il vecchio cammino sul porto/ le barche e le gru rimpiccioliscono/ e il mare invece si espande./ Qui, nel punto più alto, sei al riparo dal dolore del mondo»).
Ora, finalmente, abbiamo a disposizione una ricca antologia trilingue (catalano, castigliano e traduzione italiana) della poesia di Joan Margarit (Amare è un luogo, a cura di Marisa Martínez Pérsico, traduzione di Loretta Frattale, Edizioni dell’Orso). Un primo assaggio in attesa che un editore coraggioso deciderà di pubblicare la sua opera omnia. Una preziosa guida per esplorare la poetica di un poeta-architetto che, come un buon archeologo, «raccoglie resti del passato per farne trofei»: «Mentre passeggio per un mercatino,/ penso che, instillando gelo nei versi,/ l’archeologo che sono raccoglie/ resti del passato per farne trofei».