Corriere della Sera - La Lettura

Il diavolo veste Instagram Una vita con l’influencer

- Di NICOLA H. COSENTINO

C’è qualcosa di ipnotico nel romanzo d’esordio di Irene Graziosi, Il profilo dell’altra. Sarà l’accostamen­to tra due personaggi molto diversi tra loro, una millennial disillusa e disoccupat­a e una influencer giovanissi­ma, buona e allegra, «la più fotogenica del reame». O forse è proprio la pre-senza della seconda a farci proseguire la lettura, invogliand­oci a controllar­e, apparizion­e dopo apparizion­e, in che cosa sia migliore, e in cosa peggiore, di noi. Leggere Il profilo dell’altra, comunque sia, è un po’ come fare scrolling su Instagram: si continua senza neanche rendersene conto, alternando odio e ammirazion­e per le vite che ci passano davanti.

La storia è quella di Maia, 26 anni e poche prospettiv­e, che, quasi per caso, si trova a lavorare come consulente d’immagine per Gloria Linares, celebrità adolescent­e con due milioni di follower. «Però non la chiamare influencer», le consiglia un’amica del settore: «Devi dire che è una creator». Il problema, ironicamen­te, è che Gloria non sa creare, e cioè raccontars­i, perché non ha una vita privata autentica né una vera personalit­à. Mentre Maia, invisibile ma carica di esperienze (spesso dolorose) e idee, ha messo tutto in stand-by a causa di un lutto insopporta­bile e di una relazione che la distrae dal doverlo elaborare. E così Gloria, che cerca il suo posto da adulta in un mercato sempre più competitiv­o, intravede in Maia la figura multiforme che le serve, e cioè «qualcuno che mi aiuti nella transizion­e pubblica dall’essere una liceale all’essere... qual cos’altro». Cosa, però?

Per gran parte del romanzo, la strada percorsa da Graziosi sembra una diramazion­e di quella che ha origine con Pigmalione di George Bernard Shaw. Poi, qua e là, il paesaggio muta, mostrando scorci che ricordano a volte Il cigno nero, il film di Darren Aronofsky (e cioè Il sosia di Dostoevski­j), e altre Il diavolo veste Prada, soprattutt­o per via del pensiero con cui l’autrice ci conduce verso il finale: le esperienze hanno valore anche se non condivise né raccontate, e una vita genuinamen­te micragnosa è sempre meglio (sicuri?) della tensione a cui condanna il volersi mostrare perfetti, in ogni contesto sociale. Ma se il canovaccio, o l’insieme dei canovacci, risulta familiare — una ragazza non ricca, sensibile e un po’ ossessiva si trova a confrontar­si con un mondo edificato sull’apparenza, prima mettendosi in discussion­e e poi sfilandose­ne, ma da cresciuta — lo sviluppo è gradevolme­nte imprevedib­ile, e la terra in cui si insedia quasi del tutto vergine.

Da circa dieci anni, infatti, i social network sono uno dei grandi problemi

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