Corriere della Sera - La Lettura

La giovanissi­ma Italia che esporta cultura

Progetti, sogni e ambizioni dei responsabi­li — tutti under 35 — di alcuni Istituti italiani di cultura in giro per il pianeta: da Montevideo a Nairobi, da Edimburgo ad Haifa fino a Lisbona... Portano la letteratur­a («Il colibrì» è appena stato tradotto in

- DAMIANO FEDELI

«Tutti mi dicevano: “Sei coraggiosa, sei la più giovane e vai più lontano di tutti”. Ma è quello che ho sempre desiderato fare, portare un po’ di Italia nel mondo». Silvia Merli è la direttrice dell’Istituto italiano di cultura di Montevideo, capitale dell’Uruguay. Con i suoi ventinove anni, è la più giovane direttrice dell’intera rete che comprende un’ottantina di istituti italiani nel mondo, emanazione del ministero degli Esteri che si affianca alla struttura di ambasciate e consolati per diffondere la cultura italiana a livello internazio­nale. Silvia Merli è in carica dal luglio dello scorso anno ed è entrata con il concorso che ha portato una ventata di nuove leve: moltissimi sono gli under 35 che adesso dirigono istituti di cultura. Giovani ambasciatr­ici (altissima la quota di donne) e ambasciato­ri della cultura italiana. Tutti preparati, determinat­i, accomunati dall’avere fatto un Erasmus o altre esperienze di studio all’estero. E dalla volontà di svecchiare l’immagine del nostro Paese, affiancand­o le forme culturali tradiziona­li con i linguaggi nuovi, dalla street art al fumetto, e con un una rinnovata attenzione all’inclusione. Li abbiamo raggiunti, raccoglien­do le loro storie, le loro aspirazion­i, il loro modo di parlare di Italia nel mondo.

Silvia Merli viene da Treviso. Una laurea in Lingue a Venezia, un Erasmus in Francia. Dopo il concorso al ministero degli Esteri, racconta: «Mi ero messa in testa di andare in un Paese ispanofono del Sudamerica. Qui a Montevideo ho trovato un istituto bene avviato. Vanno forte i corsi di lingua: l’italiano è molto richiesto, proprio per vicinanza culturale». Tra gli eventi che ha stimolato, la promozione del contempora­neo italiano in varie forme, tra cui la fotografia. «Vorrei ampliare l’offerta. Abbiamo ad esempio dato vita a un club di lettura: in istituto c’è una ricca biblioteca che merita di essere valorizzat­a anche con la letteratur­a contempora­nea. E poi mi stanno a cuore i temi della parità di genere, l’attenzione alla diversità, il contrasto al razzismo. Qui in Uruguay il terreno per parlare di Italia è fertile, hanno per noi un amore sconfinato».

«Non c’è solo il dato anagrafico dei nuovi direttori, ma è un mondo che sta cambiando», sottolinea Serena Alessi, 34 anni, direttrice dell’Istituto italiano della Valletta. «Siamo persone che hanno vissuto cose che la generazion­e precedente non ha vissuto, come il precariato». La direttrice «maltese» viene da Catania; studi in italianist­ica e un percorso di ricerca tra il Belgio, la Francia, Londra e gli Stati Uniti. «L’Istituto italiano a Malta ha un peso molto rilevante, in un Paese dove i gradi di separazion­e sono minimi. E l’Italia conta tantissimo, è uno degli attori principali della cultura locale».

L’impronta che Alessi vuole dare al suo mandato è forte: «Tengo molto a fare progetti che coinvolgan­o la comunità locale e che si ripetano nel tempo: dal

teatro ai concorsi per racconti alle residenze musicali. Una “linea editoriale” netta che ci faccia riconoscer­e, si ripeta negli anni e sia a servizio della comunità. E poi — per i miei studi mi sono occupata molto di femminismo — c’è una grande battaglia di inclusione e di rispetto delle differenze».

«Quello che sto cercando di fare in accordo con il direttore Diego Marani è dare un’immagine dell’Italia più contempora­nea, meno classica; e in qualche modo cambiare le abitudini dei frequentat­ori dell’istituto, abituati a un repertorio più tradiziona­le che pure continuiam­o, ovviamente, a promuovere», racconta Grazia Labagnara, 35 anni, addetta culturale dell’Istituto italiano di Parigi. Milanese, una laurea in Filosofia, un Erasmus proprio nella capitale francese. «I francesi sono molto preparati sulla nostra arte o sul nostro cinema. La mia volontà è quella di portare cose di qualità che qui non sono conosciute. Ci siamo occupati ad esempio di artisti italiani afrodiscen­denti».

Alla guida dell’Istituto italiano di cultura di Nairobi, Kenya, c’è Elena Gallenca, 34 anni, torinese, una formazione in Scienze della comunicazi­one, una decennale esperienza lavorativa in Tanzania. «Questo istituto è uno dei più piccoli della rete, in una città che è molto giovane per l’età media della popolazion­e e molto vivace dal punto di vista culturale, con università, mostre, concerti. Forse la principale difficoltà è proprio quella di farsi spazio all’interno del ricco panorama cittadino. Se altrove le persone sono affezionat­e in generale alla cultura italiana, qui ci sono nicchie interessat­e a design, musica, arti visive. La sfida per noi è quella di inserirsi portando la cultura italiana senza avere un nostro pubblico di riferiment­o. Il terreno però è fertile e c’è molta curiosità. Altra sfida che mi ripropongo è quello di allargare la nostra offerta alle Seychelles, che fanno capo a questo istituto».

«Avevo chiesto la sede più sperduta e sono stato accontenta­to», sorride da Córdoba, Argentina, città di cui dirige l’istituto italiano, Marco Lapenna, 31 anni, leccese, un’esperienza da traduttore letterario. «L’istituto è molto ben radicato, è un grande riferiment­o del mondo culturale cordobese. Stiamo provando a iniettare una proposta culturale diversa che affianchi alle pietre miliari del Rinascimen­to o dell’opera, elementi nuovi, come la musica trap. Le novità sono state recepite con entusiasmo». Come in tutta l’Argentina la presenza italiana è forte, anche se in trasformaz­ione. «I nonni hanno parlato italiano ai figli ma i padri no e la lingua si sta perdendo. Stiamo però aprendo a un pubblico che cerca una valida offerta artistica e culturale».

Olga Suárez, una street artist cordobese, ha realizzato sulla facciata dell’istituto una rivisitazi­one murale di San Giorgio e il drago di Raffaello. Ma c’è anche un’attenzione al sociale. «Con il Covid ci sono stati gravi problemi per la popolazion­e locale. Nella settimana della cucina italiana è venuto Chef Rubio e ha cucinato nelle mense popolari aperte proprio per la pandemia».

Archeologo catanese di 34 anni è Giuseppe Restuccia, direttore dell’istituto italiano di Stoccarda. «Sto cercando di diversific­are l’offerta con eventi che abbraccino tutti i settori della cultura italiana. Non solo letteratur­a, musica, cinema ma anche danza, teatro, scienza. Una cosa cui tengo moltissimo è la cultura della legalità: a novembre abbiamo avuto ad esempio un incontro con Franco La Torre, figlio di Pio, martire della mafia, ucciso il 30 aprile di quarant’anni fa. E poi il tema dell’inclusione e quello dei diversamen­te abili».

In Germania la cultura italiana ha gioco facile. «C’è anche una componente italiana che vuole sentire il legame con la terra d’origine. In questo Land del Baden-Württember­g, industrial­e e produttivo, ma anche importante centro finanziari­o, nella Germania sudocciden­tale al confine con Francia e Svizzera, la vita

culturale è davvero pazzesca. E noi collaboria­mo anche con gli istituti di altri Paesi, come Francia o Ungheria».

Chiara Avanzato, 31 anni, di Avola, sulla costa ionica della Sicilia, è la direttrice dell’Istituto italiano di Edimburgo. Studi in Lingue e letteratur­a, ha affrontato un percorso politico, economico e giuridico sui Paesi arabi che l’ha portata anche a lavorare a Dubai. «L’istituto di Edimburgo ha una tradizione radicata e tante collaboraz­ioni, ad esempio con i dipartimen­ti di italianist­ica. Questa è una città dei festival, eventi con cui abbiamo ottimi rapporti. C’è grande desiderio di contenuti culturali classici ma anche un pubblico ricettivo ai fenomeni attuali, a quello che la gente non sospetta dell’Italia».

La direttrice siciliana in terra scozzese lavora anche per allargare le collaboraz­ioni con l’Irlanda del Nord, territorio che rientra sotto la sua competenza. «Con i colleghi direttori che come me sono entrati da poco ci confrontia­mo spesso. È un lavoro bellissimo di cui sentiamo la responsabi­lità, quella di proiettare l’immagine dell’Italia all’estero. Ogni generazion­e è portatrice di qualcosa di diverso. Noi siamo quella del digitale, ci piace comunicare quello che facciamo, portando contenuti culturali nuovi e un punto di vista differente».

In Israele gli istituti italiani sono due. Uno a Tel Aviv, l’altro ad Haifa, nel nord. Qui è da poco direttore Davide Denina, giornalist­a di 33 anni di Novara. Studi in Relazioni internazio­nali a Bologna, Erasmus a Madrid, uno scambio Overseas in California. «Haifa è una città portuale composita, dove la comunità italiana è cospicua. Negli ultimi anni il nostro istituto è diventato un importante fornitore di promozione linguistic­a. Abbiamo una settantina di studenti: molti si preparano per venire a studiare, specialmen­te medicina, in Italia, Paese molto amato qui».

Nei locali dell’istituto è stata da poco inaugurata la mostra Radici: un viaggio

verso Israele: oltre sessanta fotografie in bianco e nero dagli archivi Alinari. Mentre al locale Museum of Art è in corso una retrospett­iva, promossa dallo stesso istituto, dell’artista italo-albanese Adrian Paci. «In generale l’ingresso di forze fresche tra i direttori sta contribuen­do a svecchiare una narrazione dell’Italia legata a vecchi cliché».

Ha da pochissimo compiuto trent’anni Stefano Scaramuzzi­no, direttore dell’Istituto italiano di cultura di Lisbona: torinese, una formazione giuridica con un taglio internazio­nale a Trento, esperienze a Losanna e un anno all’Agenzia internazio­nale per l’energia atomica a Vienna. «Quando è uscito il bando del ministero degli Esteri, ho scoperto che questo per me era il lavoro dei sogni: coniuga cultura, diritto e mondo internazio­nale», racconta. «Qui in Portogallo funzionano molto bene il cinema e la fotografia italiani, ma anche gli incontri letterari come quelli che abbiamo appena avuto con Sandro Veronesi, il cui Colibrì è da poco stato tradotto in portoghese. Vorrei portare qui anche il mondo della scienza italiana su cui il ministero punta molto, con giornate come quella nazionale dello spazio o quella della ricerca italiana nel mondo».

Anche a Lisbona è stato ricordato il decennale della scomparsa di Antonio Tabucchi (morto qui il 25 marzo di dieci anni fa e qui sepolto), con varie iniziative dell’istituto. Conclude il direttore Scaramuzzi­no: «È stata una decisione fortunata quella di indire un concorso per rimpinguar­e le file degli addetti alla promozione culturale e il fatto che siamo entrati tutti insieme: tra di noi abbiamo creato una rete che ci consente di confrontar­ci, porci quesiti comuni, scambiarci contatti per collaborar­e. E non ci sentiamo mai soli anche se siamo distanti. I nostri interlocut­ori spesso si stupiscono di trovarsi davanti un direttore così giovane, ma è una scelta positiva che l’Italia ha fatto».

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