Corriere della Sera - La Lettura
Salmo e Micalizzi Il disagio creativo
conversazione tra GABRIELE MICALIZZI e SALMO a cura di CECILIA BRESSANELLI
Nel quartiere è arrivato un gruppo di sudamericani che ha occupato una vecchia palazzina. Non sta bene a Rizzo (Alessio Patricò), boss del Blocco 181, un complesso alla periferia di Milano. Una periferia iperrealista che non corrisponde a un luogo reale ma che nella serie Sky Original Blocco 181 (diretta da Giuseppe Capotondi con Ciro Visco e Matteo Bonifazio) mette insieme, tra gli altri, pezzi di Barona, Forlanini, Calvairate, Corvetto, Giambellino... Nel blocco scoppia una guerra tra italiani e sudamericani. Si consuma una storia di droga e violenza che si dirama anche nel centro della città, dove il giro della cocaina tiene inseme gente comune e potenti... Ma la periferia è anche teatro di una storia d’amore, fra tre ragazzi che provengono da realtà diverse: Bea (Laura Osma) divisa tra la fedeltà alla famiglia e i pandilleros della Misa, la gang a cui appartiene, e la voglia di liberarsi da un mondo in cui le donne non contano; Ludo (Alessandro Piavani) e Mahdi (Andrea Dodero), figlio della «Milano bene» il primo, figlio della periferia il secondo, cresciuti come fratelli. I tre, insieme, proveranno a scalare le gerarchie del sistema criminale.
La serie in otto episodi, la prima italiana concepita da Sky Studios, debutta il 20 maggio su Sky e in streaming su Now. A interpretare Snake, che con un Nokia 3310 gestisce lo spaccio di cocaina tramite delivery, è il rapper Salmo (vero nome Maurizio Pisciottu) che esordisce come attore, oltre a essere supervisore e produttore musicale, e produttore creativo. Le foto di scena sono di Gabriele Micalizzi, fotoreporter di guerra (che con Moreno Pisto si è raccontato nel libro In guerra, Cairo Editore, 2020). «La Lettura» li ha riuniti su Zoom, mentre Micalizzi è a Donetsk, nel Donbass, dove si trova da prima dello scoppio della guerra in Ucraina e da dove ne racconta la distruzione. Rapper e fotografo si sono incontrati qualche anno fa a Milano.
GABRIELE MICALIZZI — A una cena tramite Andrea Ciaudano, dj 2P in arte, Salmo mi ha parlato di questa serie per Sky e mi ha tirato dentro il progetto. Gli ho fatto vedere i miei lavori sulla squadra omicidi, su Malamilano... E inoltre stavo lavorando proprio sulle comunità di latinos. Avendo più volte a livello lavorativo affrontato il mondo della criminalità...
SALMO — Eri il personaggio giusto. Con te abbiamo incontrato anche alcune comunità sudamericane di Milano. La storia della serie però è romanzata.
GABRIELE MICALIZZI — Ma l’ispirazione viene da fatti reali. Ho raccontato i latinos anche in un documentario. Ho raccolto storie, personaggi...
La foto in bianco e nero in queste pagine viene da quel lavoro, il reportage su «Milangeles». Che realtà racconta? GABRIELE MICALIZZI — Ho incontrato membri delle gang Ms13, Barrio 18, Latin Kings. Quello nella foto è il capo dei Latin Kings. Ho raccolto varie storie. Il caso cliché: i ragazzi arrivavano da vari Paesi sudamericani, seguendo le madri. Ragazzini di 12-13 anni che facevano fatica a integrarsi e trovavano una sorta di aggregatore sociale nelle gang di connazionali, che però erano anche acceleratori di violenza: si facevano guerra tra loro. Tra il 2010 e il 2016 c’è stato un exploit di violenza. Nel 2015 un capotreno delle Trenord fu aggredito a colpi di machete da giovani originari di El Salvador della Ms13... Di recente (luglio 2020, ndr )un ragazzo è stato accoltellato su un filobus. Che cosa vi ha portato a partecipare al progetto di «Blocco 181»? SALMO — Il fatto di voler recitare. Il resto è venuto di conseguenza. GABRIELE MICALIZZI — Ero curioso di conoscere il mondo del cinema, questa macchina quasi militare, molto strutturata. Un’esperienza positiva, in un ambiente interessantissimo ma lento. Ci si annoia molto: Maurizio, racconta i lunghi momenti in camerino. SALMO — Una tragedia. «Recito gratis, mi pagano per aspettare», diceva qualcuno. Se mi chiedono che esperienza è stata faccio questo parallelismo: è come quando senti la tua voce registrata per la prima volta; la sensazione è: che voce di merda! Ho fatto molti video per i miei brani in cui provavo a simulare il cinema, ma è diverso. Quelli erano controllati da me. Vedere te stesso dentro una storia dove interpreti una persona che non sei tu è un trauma. Ma ci ho preso gusto: vorrei ripetere subito l’esperienza.
GABRIELE MICALIZZI — Le storie criminali si somigliano tutte, bisogna trovare una chiave nuova. Credo che una cosa interessante della serie, oltre al mettere al centro le bande di sudamericani, sia il ménage à trois dei protagonisti: dimostra attenzione all’evolversi della società.
Lo scontro nella serie è tra mondi che si considerano diversi. In cui però si ripetono dinamiche criminali simili. SALMO — È tutto bilanciato: ci sono tradimenti da entrambi i lati. La storia ricorda quella di Romeo e Giulietta, ma invece di due gli amanti sono tre. I Montecchi e i Capuleti sono gli italiani e i sudamericani. A livello di stile mi piace che la differenza venga sottolineata dai colori: quando ci sono i sudamericani è tutto colorato, per gli italiani tutto è grigio come i palazzoni della periferia. Per entrambi il lavoro per la serie si sgancia da ciò che fate ogni giorno.
SALMO — Tutto ciò che ha a che fare con l’arte, lo inseguiamo. In questo siamo uguali. Facciamo cose diverse, ma in fondo simili. Se lui per comunicare usa le immagini fotografiche, io uso le parole.
GABRIELE MICALIZZI — Di fondo c’è
un’ossessione. Per lui è la musica, la scrittura; per me l’immagine. Siamo alla ricerca di qualcosa e ci facciamo continue domande. Il cinema mette insieme tutto. Che cosa significa rappresentare la realtà?
SALMO — Per me è un discorso particolare, riguarda la differenza tra musica e cinema: a volte, ma non sempre, quando fai musica devi essere te stesso al 100%; nel cinema quando interpreti un altro, sei te stesso al 5%. Poi dipende se vuoi raccontare la realtà o meno. Nella serie non descriviamo il presente: gli autori hanno fatto un puzzle prendendo pezzi di realtà, ma non è un documentario. La domanda è più per Gabriele: nelle sue fo
tografie non c’è finzione, ma la realtà cruda, anche troppo. Traspare il coraggio.
GABRIELE MICALIZZI — Per mostrare la realtà bisogna esserne immersi. Non si può raccontare qualcosa che non si conosce. Io faccio soprattutto reportage di guerra e adesso sono qui, ma già prima stavo seguendo il territorio del Donbass. Essere presenti non basta, serve rispetto ed empatia. Ed essere ricettivi. Anche da piccole storie si possono raccontare i macro argomenti. A Mariupol ho fotografato le famiglie che dissotterravano i loro cari che avevano sepolto nelle aiuole per portarli al cimitero. L’empatia è fondamentale. Da padre empatizzo con i genitori che hanno dovuto seppellire i loro bambini...
rappresentarle La periferia di tutte. «Blocco Ma 181» che potrebbe cos’è la periferia SALMO e — cosa Sono rappresenta nato e cresciuto per voi? in una città piccola vivevo città, in periferia. Olbia, e in La quella periferia piccola è un e l’arte posto viene importante. fuori proprio Perché dal c’è disagio. il disagio GABRIELE cresciuto in MICALIZZI periferia, — quella Anche di io Milano, sono Cascina Gobba, e poi sono andato a vivere a Monza Sobborghi... La periferia va analizzata in vari modi...
SALMO — Ci può essere anche una periferia mentale. GABRIELE MICALIZZI — Sì, fisicamente vivi ai margini e questo ti condiziona: ti rendi conto di essere differente o di essere trattato in modo differente. SALMO — E distante.
GABRIELE MICALIZZI — Perché non sei dove le cose succedono. Questa mentalità rimane. Mi dicono che sono fortunato ad essere nato in periferia, per la voglia di rivalsa che mi è rimasta... È vero. E penso valga anche per Salmo, se è arrivato dov’è, è perché aveva fame. Il motore è l’arte. Sicuramente la periferia è un luogo di disagio dove però l’arte nasce e cresce perché c’è necessità di comunicare.
Si può parlare di periferia in un mondo iperconnesso, dove le distanze sembrano annullarsi? SALMO — Adesso è più facile uscire dalla periferia, anche da quella mentale.
GABRIELE MICALIZZI — Ci sono più opportunità. La periferia strutturale di fatto cade: ovunque puoi arrivare dappertutto. Di questo racconto della periferia Salmo ha curato anche le musiche... SALMO — Ho messo insieme una squadra formata da Riccardo Puddu, Luciano Fenudi e Simone Vallecorsa. Non avevamo mai fatto una colonna sonora: abbiamo sottolineato le emozioni delle immagini. Ho fatto fare soprattutto a loro. Io ero il direttore d’orchestra, il Micalizzi della situazione, nel senso di Franco (autore, tra le altre, delle musiche di Lo
chiamavano Trinità, citato da Salmo in Ricchi e Morti, ndr), zio di Gabriele. Non ho voluto inserire canzoni mie, volevo mettere da parte il personaggio Salmo.
Milano, protagonista di «Blocco 181», è sempre più spesso scelta come ambientazione di film e serie tv, come «I Diavoli», «Monterossi», «Bang Bang Baby», «Fedeltà»... 773 set nel 2021. Che cosa la rende così affascinante?
SALMO — Da 10 anni è la mia seconda casa. Ci ho messo un po’ ad amarla. «Si odia, o si ama», diceva uno spot (per le Superga, ndr). Ma ora è il miglior posto in cui stare. Non in Italia, ma in Europa. È tutto lì, cinema, musica... È la città delle occasioni. In questo momento la amo.
GABRIELE MICALIZZI — Sono di parte, ma è una città funzionale. Combina molte realtà ed è ancora a misura d’uomo. Questo ne fa un set appetibile. Inoltre i servizi sono buoni: il trasporto combina tutto e riduce le distanze. Anche tra centro e periferia. Tutti possono viverla. La città è cambiata tanto ed è cambiato anche il modo di rappresentarla? SALMO — È cambiato il modo di vederla. Chi prima parlava male di Milano adesso si è ricreduto. GABRIELE MICALIZZI — Sì, è cambiato proprio il modo di vederla. Ci sono tanti personaggi di richiamo, icone della musica, del calcio, della moda che vivono la città... Una grande promozione. SALMO — Anche fuori dall’Italia, tutti gli occhi sono puntati verso Milano.
Debutta il 20 maggio la serie «Blocco
181», storia di quartieri milanesi inquinati dalla droga e dalle violenze tra bande di italiani e di sudamericani, ma anche storia d’amore tra due Romeo e una Giulietta. Il
rapper, che interpreta il gestore di uno spaccio di cocaina, è il supervisore delle musiche e il direttore artistico; il fotografo
di guerra, che «la Lettura» ha raggiunto in Ucraina, è autore degli scatti di scena e di un reportage su Milangeles. Si incontrano per parlare di un mondo criminale feroce, di cinema (Milano è la nuova capitale) e di periferie (dalle quali entrambi provengono): «Qui l’arte nasce e cresce»