Corriere della Sera - La Lettura
Ma il popolo di Dio non ha il male nel cuore
Il presidente della conferenza episcopale Raymond Poisson: si voleva cancellare «l’indiano» dai bambini
Che lezione deve trarre la Chiesa dal dramma degli indigeni? «La Chiesa deve mantenersi indipendente da ogni influenza pubblica. In quanto guardiana del Vangelo e davanti al pericolo che si impongano interessi altri, solo il Vangelo di Cristo può essere la colonna vertebrale della sua indipendenza», dice il vescovo Raymond Poisson. Che cosa c’entra questo con le scuole residenziali?
«Nelle scuole residenziali… con la mentalità del tempo… perché dobbiamo assolutamente adottare questa ermeneutica: i nostri occhi di oggi non vedono il mondo come lo si vedeva allora. La pedagogia era diversa. Ma ciò non scusa nulla. Parlo del sistema, non degli abusi». Torniamo all’indipendenza della Chiesa.
«Al tempo la Chiesa si fece partner dello Stato, svolse funzioni pubbliche. È una tentazione sempre presente. Ogni istituzione cerca mezzi, anche materiali. La mano tesa dello Stato è stata per certe comunità cattoliche un’occasione per sistemarsi. Accadde questo con le scuole residenziali». Dunque la lezione?
«Non c’è nulla da perdere con la laicità. Se ben intesa può garantire l’indipendenza della Chiesa al servizio dell’umanità». Che cosa significa l’incontro di Roma con le delegazioni indigene?
«Mi viene in mente il passaggio dal latino alle diverse lingue nella liturgia. Prima l’unità richiedeva l’uniformità. Oggi vogliamo fare corpo con le comunità locali: ci vuole equilibrio tra apertura e attaccamento a una tradizione». È una sfida organizzativa.
«Stiamo vivendo la traversata sinodale. Penso ai miei contatti con i vescovi latinoamericani. La loro vita di Chiesa è del tutto diversa dalla nostra. Va lasciato spazio perché la Chiesa respiri con le popolazioni locali e la loro cultura». Le spiritualità degl’indigeni sembrano più adatte alle nuove generazioni.
«Non c’è competizione tra spiritualità autoctone e spiritualità cristiana. Ci sono solo differenze d’espressione».
Il Papa ha chiesto scusa per gli abusi di membri della Chiesa cattolica. Non dovrebbe chiedere scusa per le colpe della Chiesa in quanto tale?
«Non sono disposto a dire che l’istituzione Chiesa sia responsabile, nel senso che il popolo di Dio ha nel proprio cuore l’infedeltà a Cristo, il male. Gli abusi riguardarono comunità religiose precise. Furono commessi da membri di queste comunità». Torniamo alla sua premessa sul contesto?
«C’erano membri delle comunità religiose che non avevano una qualità di vita superiore a quella dei pensionanti. Non era un’esistenza facile. Intendiamoci, ciò non scusa gli abusi, l’idea del sistema. Ma concentriamoci sui fatti. Cerchiamo di camminare insieme e di riconciliarci». Gli indigeni vogliono giustizia.
«Ciò che ferisce le comunità indigene è anzitutto l’idea dietro il sistema: fare scomparire “l’indiano” dal bambino». Ora tocca al Papa restituire la visita.
«Il Papa ama molto Sant’Anna. L’amano molto anche le comunità indigene».
Cioè il Papa potrebbe venire in Canada per Sant’Anna, nel luglio prossimo?
Sorride.