Corriere della Sera - La Lettura
C’è motivo di essere ottimisti
del resto: c’è un momento, quell’unico momento della nostra vita, quando guardiamo dritti negli occhi l’Essenziale, un attimo in cui vogliamo dire tutto. Ma non ci riusciamo, perché siamo imperfetti».
Lei ha vissuto a lungo a Berlino, dove ha scritto alcune sue opere: si considerava, a suo modo, un esule?
«Ho vissuto tutta la mia vita da adulto in un continuo esilio. Prima in Ungheria, dove ho vagabondato su e giù fino a quando non ho avuto modo di lasciare il Paese a causa del comunismo, poi in tutto il mondo. All’inizio ne soffrivo, ma ero curioso di ciò che mi circondava, adesso sono curioso di cosa mi rendeva tanto curioso. Mi sento a casa nella sensazione di non sentirmi a casa da nessuna parte».
Alla fine, però, se ne è tornato sulle colline di Szentlászló...
«Non direi ancora tornato, non ancora, perché vivo anche a Trieste e a Vienna. Oltretutto non riesco nemmeno a smettere di viaggiare di qua e di là: non resisto in un luogo solo, non ho mai resistito. Aspetto di vedere come ci ambientiamo sulla Luna e poi vado a viverci da eremita i miei ultimi giorni. Venite con me?».
Se si guarda ai nudi fatti, i suoi romanzi sono realistici; e tuttavia non c’è niente di «realistico» nel suo campo immaginario...
«Nei miei romanzi — se tutto va bene — è presente contemporaneamente ciò che lei definisce realistico e ciò che chiama immaginario. Sarebbe un guaio se si percepisse solo una o l’altra cosa. Il realistico stesso ha una sua realtà che chiamiamo quotidiana, che percepiamo senza troppi ragionamenti, ma nello stesso istante include anche un “qualcosa di diverso”, difficile da avvicinare, eppure presagito. Non chiamiamolo trascendente, perché nel realistico nulla è statico e nulla è gerarchico. Chiamiamolo l’attimo eterno, per noi inafferrabile e indefinibile, della realtà. Siamo incapaci di credere che una “cosa” possa essere in due modi diversi allo stesso tempo. Non siamo stati progettati per farlo. Ma sappiamo di essere più di quello per cui siamo stati progettati. Voglio dire che ci siamo ingarbugliati nel concetto della realtà perché ci siamo ingarbugliati anche nella percezione della realtà».