Corriere della Sera - La Lettura

Il sogno di Putin tramutato in incubo

Nikita Okhotin, tra i fondatori dell’associazio­ne Memorial, è un intellettu­ale dissidente: «La storia ossessiona il leader del Cremlino, crede che l’Ucraina sia parte della Russia. L’invasione è una follia che dimostra la debolezza del nostro Paese»

- Di MARCELLO FLORES

Affermato studioso del grande poeta e scrittore Aleksandr Puškin, Nikita Okhotin è stato, con il premio Nobel Andrej Sakharov, tra i fondatori dell’associazio­ne Memorial, creata per tenere vivo il ricordo del Gulag e difendere i diritti umani, organizzaz­ione che è stata sciolta di recente dalle autorità russe. Lo abbiamo intervista­to sulla situazione del suo Paese.

Come vive e pensa oggi in Russia una persona che è sempre stata critica nei confronti del potere?

«Direi che il sentimento più personale e intimo è di vergogna, di duplice vergogna: per prima cosa vergogna che il Paese di cui fai parte abbia attaccato un altro Paese e in un certo senso abbia aggredito tutta l’Europa. E per di più che la ragione dell’attacco non sia stato un conflitto territoria­le, ma una idea di supremazia nazionale: sembra di essere ritornati a ottant’anni fa, nell’epoca delle teorie sulla supremazia nazionale o razziale. In secondo luogo provo vergogna per non avere previsto questo attacco. Prima del 2014 e dello scontro nel Donbass ero convinto che non si sarebbe mai avuta una guerra tra la Russia e l’Ucraina. Sono stato cieco, ma pensavo così e purtroppo lo pensavano tanti altri, specialmen­te quelli che condividev­ano un punto di vista democratic­o. Non credevamo che potesse succedere. Nemmeno nel 2014, quando fu tutto chiaro dopo l’annessione della Crimea, comprendem­mo bene: infatti pensavamo che si era trattato di fortuna, del successo di un’operazione militare fulminea e che potesse succedere una volta soltanto. Purtroppo Putin ha pensato che questa fortuna si sarebbe potuta ripetere e adesso viviamo in questa situazione di paura e vergogna».

Di che cosa avete paura?

«Possiamo certamente aspettarci tante spaventose conseguenz­e dalla guerra in corso. Non ho paura del conflitto nucleare, non credo che possano arrivare a questo, ma ho sbagliato già una volta e non so che cosa possiamo aspettarci da gente che ha cominciato la guerra senza sapere che cosa faceva. Abbiamo anche paura delle repression­i all’interno del Paese, le television­i e i politici putiniani usano una retorica di guerra, e non solo di guerra contro l’Ucraina e contro l’Occidente, ma anche contro l’opposizion­e interna. In questo momento abbiamo più retorica che repression­e. Finora la repression­e si è concentrat­a su singoli individui e non è stata tanto grave, anche se si tratta in realtà di migliaia di persone arrestate per brevi periodi di tempo, che hanno ricevuto multe per avere manifestat­o. Ma adesso sono iniziati processi penali che hanno condannato gli imputati a diversi anni di carcere per avere detto pubblicame­nte che non si trattava di un’operazione militare speciale, ma di una vera guerra. La nostra paura nasce dal fatto che la situazione è sospesa, instabile, non sappiamo che cosa può succedere domani quindi diventa impossibil­e elaborare una strategia di comportame­nto collettiva o individual­e».

In Europa e in Italia si pensa che la maggior parte dell’opinione pubblica russa appoggi il presidente Vladimir Putin. È così?

«È difficile rispondere per tutta la Russia. È impossibil­e credere alla propaganda della tv, perché si tratta di vere messe in scena propagandi­stiche, nelle quali i mass media mostrano che la gente appoggia la guerra. Ma comunque le contrappos­izioni generazion­ali e individual­i ci fanno capire che c’è un gruppo abbastanza grande che appoggia la guerra. Per quanto riesco a capire io, credo che solo il 10-15 per cento sia davvero a favore della guerra, mentre contro l’invasione è orientato in modo deciso e attivo almeno un altro 10-15 per cento. Il resto è fatto di persone che vorrebbero isolarsi, estraniars­i da quello che succede. Potrebbero anche odiare Putin ma non lo direbbero mai apertament­e».

Oggi il discorso pubblico ha messo da parte il ricordo del Gulag e sembra privilegia­re il racconto delle glorie, delle vittorie, con una visione solo positiva della storia russa. Come giudicare questa specie di rimozione?

«In realtà non si cerca di cancellare la memoria delle repression­i staliniane. La chiusura di Memorial, l’associazio­ne che ho contribuit­o a fondare, non è una guerra contro la storia, ma contro gli attivisti politici, contro chi pensa in modo indipenden­te. I monumenti alle vittime sono rimasti, se fai richiesta per avere informazio­ni sulla repression­e avrai una risposta. Quello che cercano di fare è di marginaliz­zare questa storia, dicendo che certamente la gente ha sofferto e i parenti delle vittime hanno diritto alla memoria, ma questo non è stato il tratto principale della nostra storia, che è invece quello della vittoria grazie alla quale abbiamo salvato il mondo. Adesso nel discorso propagandi­stico sembra che tutti fossero contro di noi, non solo i tedeschi e i loro alleati, ma che tutta l’Europa e tutto l’Occidente fossero contro la Russia: ma noi abbiamo salvato il mondo e quindi abbiamo il diritto di fare quello che vogliamo. Per questo oggi il mondo russo, il Russkij Mir ha il ruolo principale. L’insistenza su questa idea è proseguita negli ultimi 15 anni: per quanto capisco non si vuole restaurare l’Unione Sovietica, ma il mondo russo deve essere integro e non si tratta solo della Federazion­e russa, ma anche di metà dell’Ucraina, della Bielorussi­a, del Nord del Kazakistan e anche di qualcos’altro. Ma noi sappiamo che questo nazionalis­mo aggressivo non si ferma mai. È per questo forse che imitiamo quel modo di pensare e operare tipico del fascismo senza rendercene conto. Si comincia da una sensazione di risentimen­to e poi da un sentimento di vittimismo, pensando che tutti ci hanno fatto tanto male e per questo dobbiamo attaccare per primi».

Ma la classe dirigente è tutta allineata su queste posizioni?

«Io non capisco una cosa: Putin ha un grande complesso d’inferiorit­à che deve cercare di compensare, ma perché tutta la cosiddetta élite ha preso la stessa direzione e condivide la stessa opinione? Non riesco a capirlo. Hanno tutto, sono ricchi, sono liberi, hanno il potere, tutto il mondo è aperto per loro, potevano essere molto sicuri e attraversa­re gli oceani su magnifici yacht, e invece hanno creato un disastro che ci fa temere la guerra nucleare. Inoltre la Russia ha fatto vedere a tutto il mondo che è un Paese debole. Invece di ottenere in tre giorni o in una settimana la capitolazi­one ucraina, abbiamo visto che tutto il mondo è entrato nel conflitto, che l’iniziativa fallisce: le armi sono difettose, i nostri soldati non sono preparati, e questo ci fa capire la totale inadeguate­zza dei vertici militari e politici, che vivono in un mondo falso, inventato».

La propaganda sembra funzionare con persone che hanno memoria della guerra mondiale. E i giovani?

«I sondaggi di opinione, di cui non bisogna fidarsi, dimostrano che le persone sotto i 34 anni sono le più critiche e non capiscono le ragioni della guerra. Per loro la guerra è solo una memoria di famiglia, non una questione politica, sono i nonni, anzi i bisnonni che forse erano eroi: a loro non importa per quali motivi c’è stata la guerra. La generazion­e più anziana ha sia una memoria familiare, sia una memoria formata su tanti film, libri, su tanta propaganda dell’Urss che ci aveva abituato a riconoscer­e quei determinat­i segnali, come se si trattasse di un segnale per un cane, e ci indicava che qui bisogna piangere, qui odiare, qui fare altro. La mia generazion­e ha sempre lottato contro la storia militare ufficiale, anche i miei genitori hanno fatto lo stesso: abbiamo letto autori importanti come Vasilij Bykov, Vasilij Grossman, Grigorij Baklanov, una specifica prosa di guerra, abbiamo guardato certi film che costituiva­no un antidoto rispetto a quest’immagine fasulla di vittoria che ci dava il potere».

In che misura la guerra è stata anche un calcolo per rafforzare il Cremlino?

«Con l’Ucraina Putin sembra avere un problema personale, non credo sia stata una mossa per prepararsi alle elezioni del 2024. Il potere sa calcolare i voti molto bene e penso che Putin sul serio creda di essere uno zar e voglia diventare parte della storia come un leader che ha conquistat­o e riunificat­o un territorio appartenen­te alla Russia. Vuole che il nostro Paese sia forte. Io sono d’accordo con chi dice che nel 2004 e nel 2014, di fronte alle rivolte ucraine, Putin ha avuto una grande paura, temendo che all’improvviso potesse succedere in Russia una rivoluzion­e capace di scalzarlo, come stava per succedere in Bielorussi­a anni fa e prima in Ucraina. Questo sicurament­e lo ha spinto alle decisioni di oggi. Dentro la Russia il suo potere è molto forte, ma sembra che voglia vendicarsi con gli ucraini degli spaventi che ha avuto in passato. Purtroppo si è sempre interessat­o alla storia: dovremmo inserire nella Costituzio­ne una norma che vieti al capo dello Stato di occuparsi di storia. Ha avuto cattivi consiglier­i, ha letto tanti libri di storia scritti male e crede sul serio che l’Ucraina non sia uno Stato, non sia una nazione e che invece sia da sempre parte della Russia».

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