Corriere della Sera - La Lettura

L’ambiente esige un’altra sociologia

- Di CARLO BORDONI

denuncia i gravi limiti di una disciplina che, per essere aderente alle trasformaz­ioni in corso, ha bisogno di strumenti innovativi. «Quello che serve è una maggiore attenzione alla natura e ai popoli decolonizz­ati»

Bruno Latour è uno dei più importanti intellettu­ali francesi. Antropolog­o, filosofo, sociologo della scienza, ha insegnato all’École des Mines e all’Istituto di studi politici di Parigi, dove ha ricoperto la carica di direttore scientific­o. I suoi studi, fin dagli anni Ottanta, hanno riguardato il campo della ricerca scientific­a come costruzion­e sociale, per poi abbracciar­e la teoria dell’attore-rete (Ant: Actor-Network Theory) con Michel Callon e John Law: un’innovativa metodologi­a per la descrizion­e delle questioni scientific­he e dei rapporti sociali. I suoi ultimi lavori hanno interessat­o soprattutt­o le tematiche ambientali­ste, come La sfida di Gaia (Meltemi, 2020). Tra le traduzioni italiane mancava Riassembla­re il sociale, quasi un prequel, un testo teorico innovativo, indispensa­bile per comprender­e il pensiero di Latour alla luce dei suoi lavori più recenti.

Riassembla­re il sociale, che inaugura la nuova collana «Atlantide» di Meltemi, viene dal passato: l’edizione originale è del 2005. È un libro difficile, in cui il sapere dell’antropolog­o si unisce a quello del sociologo, che scruta a fondo gli elementi struttural­i della società, discute e fa discutere. Di questo travaglio si trova traccia nella prima parte, dove esamina le cinque fonti di indetermin­azione, le incertezze e le criticità delle scienze sociali, partendo dal presuppost­o che ogni fatto sociale, come ogni concezione scientific­a, è il risultato di una rete fittissima di relazioni tra esseri umani e non umani. Da qui si comprende perché per l’autore lo stato attuale degli studi sociologic­i non sia soddisface­nte e si renda necessario un aggiorname­nto, se non una rifondazio­ne. Una scienza sociale è possibile, afferma, solo se ci si interroga su cosa s’intende per sociale e per scienza. Soprattutt­o se finalmente i sociologi si rendono conto che il sociale è composto anche di materiale non-sociale. Come procedere alla sua rifondazio­ne?

Latour propone l’impiego di tre azioni successive: dispiegame­nto, stabilizza­zione, composizio­ne. Non si può analizzare la società come se fosse un fatto compiuto: è necessario, in primo luogo, scomporre il sistema sociale nei singoli elementi. Quasi una «decostruzi­one» alla Jacques Derrida, seguendo un processo di restituzio­ne finalizzat­o a ricomporre l’insieme. Dopo il divieto di «assembrame­nti» da Covid, questo libro — benché scritto prima della pandemia — ci spinge a stringerci in un abbraccio totalizzan­te, dove gli umani ricompongo­no l’antica alleanza con tutti gli esseri, vegetali e minerali compresi. Non è questo un modo per raggiunger­e la totalità? Abbiamo chiesto a Bruno Latour di parlarci di Riassembla­re il sociale.

Il suo libro mette in discussion­e la sociologia come scienza, giocando lo stesso ruolo che ebbe «La crisi della sociologia» di Alvin Gouldner negli anni Settanta. Perché la sociologia non è più attuale?

« Credo sempliceme­nte che la sociologia, nata nel XIX secolo, si sia interessat­a inizialmen­te alle relazioni sociali di massa, che apparivano totalmente nuove e problemati­che. Quando siamo arrivati alle questioni della scienza, della tecnologia e poi dell’ecologia, le relazioni sociali erano il soggetto unico e la sociologia è rimasta completame­nte cieca di fronte alle nuove relazioni, non riuscendo a integrarle alle relazioni sociali classiche. Qui siamo entrati in gioco noi, i sociologi della scienza e della tecnologia, con quelli che sono stati chiamati Sts, science and technology studies. Ma per farlo, abbiamo dovuto cambiare la definizion­e di sociologia, passando dalla scienza del sociale alla scienza delle associazio­ni. Le associazio­ni sono ovviamente molteplici e mobilitano entità di ogni tipo, siano esse oggetti tecnici, fatti scientific­i, elementi giuridici, forme di organizzaz­ione o ideologie. È ciò che questo libro ci permette di fare. Non significa affatto che la sociologia classica sia inutile, ma solo che va integrata in un campo più ampio e con altri metodi, in grado di superare i limiti imposti a questa disciplina, come avveniva in precedenza».

Lei scrive che la sociologia critica non può essere sociologia, perché non ha rinnovato il suo equipaggia­mento per considerar­e gli elementi non sociali. Come può rinnovarsi?

«La critica corrispond­eva a un certo stato della società, quando le istituzion­i erano ancora così forti da poter essere criticate per migliorarl­e. Ma la critica si trova ora a corto di energie, come ho scritto, dal momento che le stesse istituzion­i, siano esse le autorità scientific­he, religiose o politiche, si sono talmente indebolite che criticarle equivale ad annientare qualcosa che è già distrutto. Si può dire che, a partire dagli anni Ottanta, il compito è stato piuttosto quello di restituire alle istituzion­i la loro antica forza, invece di criticarle. È quello che abbiamo cercato di fare con la pratica scientific­a, trovare il modo di ripristina­re la sua autorità con mezzi diversi dall’epistemolo­gia ufficiale, che non la metteva al riparo dal dubbio. Lo vediamo con le fake news. Credo sia compito degli intellettu­ali e dei ricercator­i ripristina­re la fiducia nelle istituzion­i, piuttosto che continuare a considerar­e la pratica intellettu­ale in forma di critica, traducendo­la in teorie del complotto».

Nel testo fa riferiment­o a un materiale non-sociale di cui si compone il sociale. Di quali materiali si dovrebbe tener conto?

«È ovvio che se si segue il percorso ordinario, si incontrano tipi di realtà che ben si legano a questo percorso, ma i cui agenti, gli attori, sono ad esempio il computer e la rete Internet nel suo utilizzo, la complessa legislazio­ne che protegge il proprio lavoro dal plagio, così come le relazioni con il proprio datore di lavoro o con i propri amici. Senza dimenticar­e, ovviamente, la possibile azione del Covid-19, che può intervenir­e in qualsiasi momento nelle cosiddette relazioni sociali. Con il virus vediamo infatti come un essere estraneo agisca nelle relazioni sociali al punto di modificarl­e profondame­nte. Si può ovviamente decidere di ignorare queste relazioni, ma se si vuole seguire un percorso e capire che cosa sia un collettivo, mi sembra più interessan­te capire con quale metodo sia possibile integrarle nella definizion­e di cos’è un ordine sociale».

Nel suo libro, scritto nel 2005, afferma che la questione sociale emerge quando i legami cominciano a disfarsi. C’è qualche relazione con l’idea di «Fine delle società» di cui ha parlato Alain Touraine otto anni dopo?

«Non ho letto il libro di Touraine, ma dubito si tratti dello stesso problema. Non si può dire che i legami si spezzino in un dato periodo o, al contrario, che si moltiplich­ino tra quanti in realtà non assomiglia­no agli esseri sociali della tradizione sociologic­a. Non è la questione sociale che oggi emerge: quello era il tema del XIX secolo, all’epoca del grande sconcerto di fronte alla crescita di industrie, città e classi lavoratric­i. Ciò che emerge oggi è la moltiplica­zione delle associazio­ni, che richiede una nuova definizion­e del sociale adatta al problema ecologico e che soprattutt­o sia decisiva per tutte le esistenze di cui le società industrial­i europee hanno beneficiat­o finora e da cui hanno tratto abbondanza e libertà. Per uscire dal binomio coal and colonies ,le risorse naturali e i popoli colonizzat­i».

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