Corriere della Sera - La Lettura
Un uomo solo in mezzo al deserto
Arriva in libreria una nuova epica avventura di Jack Reacher, la seconda firmata insieme dai fratelli Child prima del prossimo passaggio di consegne da Lee a Andrew. Il sole deforma le ombre, la sabbia bolle, il giustiziere riporta giustizia
Itetti sformati dal sole a picco, il muro ferito dalla sabbia bollente del deserto dell’Arizona e una larga lingua d’asfalto a perdita d’occhio. Siamo al confine tra Stati Uniti e Messico e contro la sfera incandescente in mezzo al cielo compare una figura solitaria. È un uomo. È solo. E disarmato. Quando il furgone si ferma a pochi metri ne scendono in quattro, gli intimano di salire sull’automezzo. Lui non si sposta di un centimetro, chiede di Michael. Seguici, se lo vuoi vedere. Lo sconosciuto non cede, non erano i patti. I quattro lo minacciano, si fanno sotto. Ma quello che si ritrovano di fronte è un colosso di quasi due metri per centodieci chili, il petto come una cassaforte per fucili e due mani come le benne di una escavatrice, trasandato, una massa di capelli crespi e la barba di una settimana, abiti dozzinali, «una via di mezzo tra un vagabondo e un uomo di Neanderthal». In un attimo esplode la furia del gigante e con una velocità insospettabile li ferisce uno dopo l’altro e li disarma. Poi, una voce lo richiama. Una voce di donna. Quando si volta riconosce Michaela Fenton, che una dozzina di pagine prima ha incrociato sulla scena di un finto incidente nel deserto nel quale per poco non ci ha rimesso la pelle. È la sorella gemella dell’uomo scomparso, il Michael che cercano tutti. Lei sì che è armata fino ai denti. E, senza pensarci due volte, fa fuoco contro Jack Reacher.
Nato dalla collaborazione tra Lee Child e il fratello minore Andrew, Meglio morto arriva in libreria dopo L’ultima sentinella (2021) e si aggiunge alla straordinaria saga di romanzi in solitaria su Jack Reacher, maggiore della polizia militare in congedo, che dall’esordio con Zona pericolosa nel 1995 ha inanellato un successo planetario dopo l’altro.
Inglese di Coventry cresciuto a Birmingham, Lee Child (pseudonimo di James Dover Grant) si è trasferito negli States nel 1998 per passare dalla scrittura televisiva alla narrativa di genere. Da allora una trentina tra romanzi e raccolte di racconti che hanno venduto più di cento milioni di copie facendone uno dei brand più riconoscibili dell’editoria mondiale, vincitore tra gli altri del Nero Wolfe, del Barry Award e del British Book Award.
Se la suspense è una questione di tecnica e tempismo, Child è un maestro anche nelle scene d’azione, di combattimento e nelle trame iperintricate e Reacher è l’icona che gli permette di cambiare storia e scenario con la medesima, feroce, efficacia. Ogni volta Jack si ritrova in qualche modo straniero in terra straniera, si muove in solitudine, raggiunge un luogo e su quel luogo accade un evento che lo trascina dentro a una serie infinita di scatole cinesi sempre più grandi e complesse. È lui, insomma, la matrioska da cui principiano tutte le storie e a cui, inesorabilmente, tornano. Certo, perché è un attaccabrighe, e perché i suoi metodi non convenzionali sono davvero molto efficaci. Un cane sciolto che si lascia guidare solo dal proprio istinto e spesso si trova, per il più puro piacere del lettore, nel posto sbagliato al momento sbagliato. Lupo solitario, cavaliere errante, un uomo tutto onore e giustizia, vagabondo tra le maglie del mondo reale. Il suo scopo nella nuova vita che si è scelto dopo l’esercito è di rimettere in equilibrio ciò che il sistema, qualunque cosa sia, ha incrinato.
Gli Stati Uniti sono l’enorme mappa su cui Lee Child muove l’energia ribelle di Reacher, eroe dell’America tragica e solitaria delle highway che spaccano il nulla in due, dei motel fatiscenti, degli autobus sgangherati su cui si muove per non essere rintracciato. Cavaliere errante, vagabondo, Robin Hood, giustiziere della notte, un eroe idealista e generoso, Reacher è un uomo solo sulle strade d’America, un duro dal cuore giusto che ha tagliato i ponti col suo passato ingombrante. Servo di nessun potere forte se non del suo consustanziale senso di giustizia che lo porta a sposare le cause più disperate, non ha un lavoro, non ha una «fissa dimora». È un fantasma. Per scelta. Un eroe errante, un vagabondo senza casa, senza smartphone né carta di credito. Privo di qualunque contatto col sistema. Invisibile, appunto. Tutto ciò che Jack desidera è viaggiare apparentemente senza meta ed evitare il più possibile i guai. Ma, come abbiamo visto, sono i guai a scovarlo perfino in mezzo al deserto.
Attenzione però, quelli di Lee Child non sono solo semplici romanzi d’azione, ma funzionano come tasselli nel grande mosaico che compone lo spaccato sociale americano — Colorado, Virginia, Sud Dakota, Nebraska, Arizona, Mississippi, New York, Chicago in un grande affresco di ribellione agli ordini costituiti.
In quest’ottica Reacher è un personaggio sospeso e liminare che vive tra Rambo e Robin Hood, zeppo di adrenalina, quintali di British wit e del fascino ironico di James Bond. Meno elegante dello 007 britannico, Reacher ha la freddezza, la capacità d’analisi e la calma dell’investigatore privato più celebre di sempre, uno Sherlock Holmes sì, ma con spalle incredibilmente possenti. Tanto che i fedelissimi fan della saga sono rimasti stupiti (delusi?) dalla scelta di Tom Cruise come interprete del gigantesco veterano nel film Jack Reacher. La prova decisiva del 2012 e nel sequel Jack Reacher. Punto di non ritorno. La fortunata serie tv Reacher in onda da febbraio su Amazon Prime — Lee Child tra i produttori — con Alan Ritchson (Hunger Games: La ragazza di fuoco) nei panni del protagonista ha quanto meno rimesso le cose nelle «giuste proporzioni».
In attesa della seconda stagione che voci di corridoio vorrebbero adattata da un altro grande successo di pubblico come Destinazione Inferno (1998), i lettori di Meglio morto ritroveranno lo spirito d’avventura e il fascino selvaggio di un eroe senza bandiera nel pieno della sua epopea on the road. Un giustiziere, abbiamo detto. Meglio, un vendicatore d’ingiustizie. Per cui non si può in nessun modo fare a meno di tifare.