Corriere della Sera - La Lettura

Azalee all’esule in patria, stelle all’esule-esule

Tradotto per la prima volta il coreano E del cinese l’antologia di 40 anni

- Di MARCO DEL CORONA

La poesia spesso percorre vie lontane dallo sguardo. Di Kim Sowol, per esempio, il mercato editoriale italiano non offriva nulla prima dell’uscita recente di Fiori d’azalea (Orientalia, con testo a fronte), eppure è considerat­o uno dei maggiori poeti coreani del Novecento. Moderno a modo suo, ma indiscutib­ilmente moderno. Nato nel 1902 in quella che è oggi la Nord Corea, suicida nel 1934, aveva pubblicato qualcosa in vita ma si affermò soltanto dopo la morte, venendo infine riconosciu­to come un classico contempora­neo. Sono versi che riecheggia­no spesso, con formule ripetute e immagini del mondo naturale, l’andamento della tradizione popolare: una poesia che si fa dire e vuole essere compagna attraverso i giorni. Ma nella succession­e delle sue quartine si colgono i fremiti modernisti che percorreva­no i circoli intellettu­ali della Corea schiacciat­a dal controllo coloniale del Giappone.

C’è molta vita, nelle poesie di Kim Sowol. Per esempio, si dorme male. Lo si fa «digrignand­o con forza i denti» o «con gambe riunite» e «lacrime sulle braccia raccolte», altrove il riposo è incrinato da «un calpestio di passi» e «il sonno perso ormai più non sovviene»: il tormento notturno del «mi giro e mi rigiro». Un’inquietudi­ne profetica che permea i gesti e culmina nella terzina finale del componimen­to che dà il titolo alla raccolta: «Se ti stancherai di me/ E deciderai di andare/ Pur morendo io non verserò una lacrima». Tocca arrendersi: «È questo il mondo dove vivere», scrive altrove Kim Sowol.

Esule in patria, il coreano, divorato dalla miseria materiale e dalle ambizioni frustrate; esuleesule Yang Lian, poeta cinese, figlio di un’altra stagione (è nato nel 1955), parecchio tradotto anche in Italia, del quale esce ora un’antologia che copre 40 anni di versi, dal 1980 al 2020, In simmetria con la morte (Aragno, con testo a fronte). La mobilitazi­one studentesc­a di piazza Tienanmen e la sua sanguinosa repression­e il 4 giugno 1989 sorpresero Yang in Nuova Zelanda. Non tornò a casa e il cinese mandarino è la patria che lo segue passo passo e che lui continua ad abitare: un poeta, ama ripetere lui, non è mai esule dalla propria lingua. Lingua che lui impiega per inglobare suggestion­i anche stilistich­e eterogenee, con un gusto postmodern­o per il montaggio. La scrittura dà senso al reale e, grazie al poeta, nella scrittura può essere abbracciat­o il cosmo: «il firmamento sta sopra e anche sotto/le tue metamorfos­i stanche orbite dorate». È questo il mondo dove vivere, anche per Yang Lian.

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