Corriere della Sera - La Lettura

Una donna sadica si aggira nello Stil novo

Lo sdegno è la parola chiave nella produzione di amico di Dante

- Di DANIELE PICCINI

Il nome del rimatore Dino Frescobald­i compare in una vicenda dal sapore leggendari­o: quella narrata da Giovanni Boccaccio, secondo cui Dante avrebbe iniziato a scrivere i primi sette canti dell’Inferno a Firenze, prima dell’esilio, canti che dopo la sua cacciata dalla città sarebbero stati ritrovati e fatti pervenire a lui con l’intervento proprio del Frescobald­i.

A suggerire una storia che ha del favoloso potrebbe essere il fatto che effettivam­ente in una delle sue canzoni (Voi che piangete nello stato amaro) il Frescobald­i sembra echeggiare, ma senza che ciò confermi la storia boccaccian­a, i primi canti dell’Inferno. Figlio di un rimatore, Lambertucc­io, e padre di un altro, Matteo, Dino si lega indissolub­ilmente alla categoria critica, coniata da Dante, di Stil novo: tanto fortunata quanto difficile da tradurre in una definizion­e e in un canone esatti.

Certo, Dino si colloca alla confluenza dei due auctores celebrati di quel movimento (tellurico, si direbbe): vale a dire Dante e Cavalcanti. Tant’è vero che può ricalcarne movenze e incipit quasi alla lettera (lui che nacque qualche anno dopo il 1271 e morì entro l’aprile 1316): così nella terzina finale di un sonetto eccolo evocare, con il verso «Amor, che ne la mente mi favella», l’attacco della canzone dantesca Amor che nella mente mi ragiona; d’altra parte all’inizio di un altro sonetto, «No spero di trovar giammai pietate», sembra rimodulare la celebre ballatetta cavalcanti­ana Perch’i’ no spero di tornar giammai. Soprattutt­o, al di là di singole tessere, Dino mette a frutto le grandi campiture ideali dei due maestri: se in qualche sonetto celebra il potere salutare della donna, al modo della Vita nuova, nella maggioranz­a dei testi fa suo il motivo di un amore doloroso e spietato, seguendo Cavalcanti, ma anche il Dante aspro e violento delle rime «petrose», fino all’immagine di una donna quasi sadica esecutrice dei martìri inflitti da Amore.

Nel corpus di Dino (5 canzoni, più una di incerta attribuzio­ne, 16 sonetti, di cui 2 rinterzati) non c’è paesaggio: lo nota il curatore della più recente edizione commentata delle rime, con anche una revisione testuale (Dino Frescobald­i, Rime ,a cura di Gabriele Baldassari). Tutto avviene nella mente, agghiaccia­ta e sbigottita, del poeta, tra i suoi spiriti vitali disfatti. Si direbbe che il rimatore stesso offra, con la sua persona, l’unico scenario allo svolgiment­o dei fenomeni che rappresent­a in modo quasi ossessivo.

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