Corriere della Sera - La Lettura
Una donna sadica si aggira nello Stil novo
Lo sdegno è la parola chiave nella produzione di amico di Dante
Il nome del rimatore Dino Frescobaldi compare in una vicenda dal sapore leggendario: quella narrata da Giovanni Boccaccio, secondo cui Dante avrebbe iniziato a scrivere i primi sette canti dell’Inferno a Firenze, prima dell’esilio, canti che dopo la sua cacciata dalla città sarebbero stati ritrovati e fatti pervenire a lui con l’intervento proprio del Frescobaldi.
A suggerire una storia che ha del favoloso potrebbe essere il fatto che effettivamente in una delle sue canzoni (Voi che piangete nello stato amaro) il Frescobaldi sembra echeggiare, ma senza che ciò confermi la storia boccacciana, i primi canti dell’Inferno. Figlio di un rimatore, Lambertuccio, e padre di un altro, Matteo, Dino si lega indissolubilmente alla categoria critica, coniata da Dante, di Stil novo: tanto fortunata quanto difficile da tradurre in una definizione e in un canone esatti.
Certo, Dino si colloca alla confluenza dei due auctores celebrati di quel movimento (tellurico, si direbbe): vale a dire Dante e Cavalcanti. Tant’è vero che può ricalcarne movenze e incipit quasi alla lettera (lui che nacque qualche anno dopo il 1271 e morì entro l’aprile 1316): così nella terzina finale di un sonetto eccolo evocare, con il verso «Amor, che ne la mente mi favella», l’attacco della canzone dantesca Amor che nella mente mi ragiona; d’altra parte all’inizio di un altro sonetto, «No spero di trovar giammai pietate», sembra rimodulare la celebre ballatetta cavalcantiana Perch’i’ no spero di tornar giammai. Soprattutto, al di là di singole tessere, Dino mette a frutto le grandi campiture ideali dei due maestri: se in qualche sonetto celebra il potere salutare della donna, al modo della Vita nuova, nella maggioranza dei testi fa suo il motivo di un amore doloroso e spietato, seguendo Cavalcanti, ma anche il Dante aspro e violento delle rime «petrose», fino all’immagine di una donna quasi sadica esecutrice dei martìri inflitti da Amore.
Nel corpus di Dino (5 canzoni, più una di incerta attribuzione, 16 sonetti, di cui 2 rinterzati) non c’è paesaggio: lo nota il curatore della più recente edizione commentata delle rime, con anche una revisione testuale (Dino Frescobaldi, Rime ,a cura di Gabriele Baldassari). Tutto avviene nella mente, agghiacciata e sbigottita, del poeta, tra i suoi spiriti vitali disfatti. Si direbbe che il rimatore stesso offra, con la sua persona, l’unico scenario allo svolgimento dei fenomeni che rappresenta in modo quasi ossessivo.