Corriere della Sera - La Lettura

Nuovo cinema classico (da Hawks a Godard)

- Di PAOLO MEREGHETTI

Alla fine vorresti che non finisse mai, che questo viaggio tra film e registi, storie e aneddoti, dive e comprimari proseguiss­e ancora, aggiungend­o piacere al piacere, quello per un cinema che, nonostante gli anni grami che sembra vivere adesso, contagiato anche lui da qualche forma di Covid-19, continua a rinascere dalle sue ceneri ogni volta che una storia prende forma sullo schermo. Perché quando chiudi le 400 pagine di Short Cuts (Laterza) ti porti dietro l’impression­e, davvero rinfrancan­te, che le storie di cinema che ti hanno accompagna­to fin lì ne nascondano molte altre, quasi innescasse­ro una reazione a catena. Merito della ricchezza inesauribi­le della storia del cinema, certo, ma merito soprattutt­o di Alberto Crespi, che ha abbandonat­o il suo abituale ruolo di critico cinematogr­afico (lo è stato per «l’Unità», prendendo il posto che fu di Ugo Casiraghi, e lo è tutt’ora, dai microfoni di Hollywood Party su RadioTre) per prendere quello, qui davvero azzeccato, di cantastori­e. Come lui stesso si autodefini­sce.

L’idea è semplice e curiosa insieme: prendere un biennio fondamenta­le della storia del cinema — il 1959-1960 — e attraverso dodici film ripercorre­re uno dei momenti nodali della cinematogr­afia, il passaggio dal cinema «classico» al cinema «moderno». Ma non come farebbe un diligente studioso della materia, magari aspirante accademico, che finirebbe per perdersi tra teorie e interpreta­zioni, tra sfoggio di cultura e dimostrazi­oni (magari presunte) di genialità. No, Crespi vuole solo raccontare. Raccontare le tante cose che ha scoperto e imparato in tanti anni di amore per il cinema, fatto di

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