Corriere della Sera - La Lettura

Il dolore di Zanzotto

- Di LAURA ZANGARINI

L’indagine scenica sulla parola poetica che Anagoor, Leone d’argento per il Teatro 2018, uno dei collettivi più radicali e brillanti della scena teatrale contempora­nea, approda giovedì 26 maggio a nuova tappa, Ecloga XI. Lo spettacolo, il cui titolo allude alla raccolta di versi IX Ecloghe che Andrea Zanzotto pubblicò nel 1962, si basa su testi del grande poeta veneto. «La Lettura» ha incontrato il regista Simone Derai per parlare di questo nuovo progetto artistico.

Su quali punti il lavoro di Anagoor incrocia la poesia di Andrea Zanzotto?

«Intanto ci accomuna uno sguardo solo apparentem­ente periferico, che dalla provincia fissa e osserva il centro della storia e il cuore della crisi dell’umano. Da sempre abbiamo a cuore la relazione tra politica, lingua, ambiente naturale e paesaggio: da Tempesta a Orestea il nostro è un discorso continuo sulla devastazio­ne, non in atto ma avvenuta, del territorio locale e dell’intero pianeta. Una mutazione che ha segnato la terra e la gente, attraverso fratture culturali e psichiche che si riflettono sulla lingua. Anche il nostro linguaggio scenico ha qualcosa di barbaro, di balbuzient­e che dice di una lingua inefficace o sofferente e di una politica miserabile che non offre più sostegno».

Una critica aspra.

«La storia politica della nostra regione è la storia di un cambiament­o epocale, la mutazione antropolog­ica di cui parlava Pasolini, che ha avuto inizio con la repentina e drammatica accelerazi­one industrial­e e mercantile in un territorio rurale impreparat­o: la fine della civiltà contadina ha avuto effetti infausti che si riverberan­o ancora oggi. Questa crisi e l’incapacità di una classe dirigente di rivolgere lo sguardo al futuro, di guidare, di pianificar­e per evitare lo scempio urbanistic­o e lo scollament­o delle comunità, hanno favorito la nascita di mostri politici partoriti dal disorienta­mento e dal rancore. Oggi si sono placati certi lemmi del discorso politico pubblico che insistevan­o sulla radice, sulla lingua originaria. In realtà nemmeno tanto sottotracc­ia, nel modo di immaginare la comunità del territorio, questa storia politica — sto parlando certamente della Lega e della sua ideologia — continua a cavalcare la crisi brandenL’orizzonte do i vessilli dell’identità, della protezione dai pericoli dell’estraneità».

Come avete immaginato questo spettacolo?

«Nonostante potesse sembrare la via più congeniale per ribadire la denuncia ecologica di Zanzotto, in Ecloga XI, Anagoor rinuncia completame­nte all’utilizzo delle immagini video che sono state più volte la tessitura dei propri lavori, raccontand­o al di là del testo, aprendo squarci sulla devastazio­ne della terra, sulla cementific­azione e sulla violenza perpetrata sulle altre specie. In questo caso ci è parso che sovrapporr­e le immagini video a una parola poetica e visionaria come quella di Zanzotto fosse un procedere didascalic­o».

L’immagine non è del tutto assente...

«Di fatto lo spettacolo si apre, ancora una volta, sulla visione della Tempesta di Giorgione, a cui Anagoor ha dedicato in passato altri lavori. In questo caso la tela del pittore di Castelfran­co campeggia priva delle tre figure umane: senza l’uomo e senza la donna nuda con il bambino, resta unicamente l’orizzonte della città deserta immersa e sovrastata dalla natura. Puro paesaggio, eppure non pura natura.

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