Corriere della Sera - La Lettura

Storia segreta di Venezia in 450 graffiti

- di ANNA GANDOLFI

Chiuso in una cella, arrabbiati­ssimo, il detenuto si vendica dei delatori e schiaffa i loro nomi in bella vista su un muro, che altri sappiano di non fidarsi. «Io qui Attilio Bressa, fui vittima in tetro carcere causa due boia confidenti della questura Bomi e Seibessi». Ciò che ai primi del Novecento il Bressa non immaginava (forse lo sperava) è che noi un secolo dopo saremmo finiti a leggere l’invettiva vergata nelle Prigioni nuove di Palazzo Ducale a Venezia. Allo stesso modo non pensava all’imperitura figuraccia l’anonimo che nel 1676, questa volta vicino alla Scala dei Giganti, festeggia Giovan Battista Nani incidendo un doppio «Viva» il novello doge: l’elezione in realtà non è mai arrivata. Altro salto temporale. Il soldato Robert dall’Alabama — «U.S. Army Robert Tidwell Toscloosa Ala May 28 ’45» — lascia la sua firma su una balaustra della basilica di San Marco: oggi è un ricordo della liberazion­e dal nazifascis­mo a un mese esatto dall’avveniment­o, che in Laguna risale al 28 aprile e non al 25.

Chiamateli, se volete, vandalismi. Oppure tag. Ma, a differenza degli scarabocch­i contempora­nei, quelli antichi sono vere testimonia­nze: il tempo sedimenta (se ne contano alcuni del Tre-Quattrocen­to) e ne fa lente per osservare la città.

Segni mappati e interpreta­ti dallo scrittore Alberto Toso Fei e dall’epigrafist­a Desi Marangon che, con il fotografo Simone Padovani, per cinque anni hanno fatto su e giù per calli e campielli, insule, campi, si sono imbucati nelle corti, tra porte e balconi. Hanno dragato 6 mila pezzi di cui 450 (fino al 1960) compongono il libro I graffiti di Venezia (Lineadacqu­a Edizioni), in uscita a giugno.

Toso Fei discende da un’antica famiglia di vetrai di Murano: profondo narratore della città, con i suoi libri sui segreti lagunari ha ispirato trasmissio­ni e cortometra­ggi. Anni fa ha deciso che avrebbe raccolto le storie dei nonni che rischiavan­o di andare disperse, qui dal recupero della tradizione orale passa a quello dei segni raso pietra. «Quando ci fai l’occhio — racconta a “la Lettura” — li vedi ovunque. Desi Marangon mi affianca con la sua competenza, perché vanno studiati, datati, attribuiti, interpreta­ti». Nel loro viaggio hanno incrociato navi e gondole, animali, fatti di cronaca, giochi. «Tutti, o quasi tutti, opera di sconosciut­i che hanno deciso di lasciare traccia di sé o di qualcosa di importante. E noi — spiegano gli autori — possiamo ancora ascoltare queste figure». Che stanno spesso sotto il nostro naso, ancorché incomprese o mal tollerate. Come gli sgorbi sulle arcate del sotoporteg­o del Traghetto di San Canciano: «Pochi lo sanno ma, tracciati a pece o incisi, sono i tariffari improvvisa­ti dei barcaioli per le isole».

Il colonnato di Palazzo Ducale è una miniera e lì emerge una scoperta: «Un graffito in glagolitic­o, l’alfabeto dal quale nasce il cirillico, del 1480. È stato tracciato probabilme­nte dal primo stampatore croato, Blaž Baromic, a Venezia per perfeziona­rsi. Per interpreta­re la scritta impossibil­e ci siamo rivolti anche all’Università di Zagabria: vi è contenuto il suo nome». Poco distante c’è un teschietto disegnato: «Curiosamen­te, lì Richard Wagner amava sostare a lungo».

Tra le stranezze, «una pantegana di pregevolis­sima fattura bellamente impressa nel 1644 su una colonna d’angolo dell’ex traghetto di San Felice». Numeri romani sono spuntati sugli zoccoli dei cavalli di San Marco: «Forse la traccia della loro fattura latina». E che dire dell’emblema di Internet prima di Internet? Tra i graffiti c’è un chiocciola del 1745: «Era un’unità di misura nata nel Medioevo». Le croci sono moltissime: «Proteggeva­no le case da malattie e sfortune». C’è anche la cronaca, come l’iscrizione che nel sotoporteg­o del Traghetto a San Canciano fissa un’eccezional­e gelata: «Eterna memoria dell’anno 1864 del giaccio veduto in Venezia che se sta sule Fundamente Nove a San Cristoforo andava la gente priusision che formava un liston». Infatti la crosta sull’acqua era così spessa che le persone ci camminavan­o in fila. Un «W 1588» ricorda la posa della prima pietra del Ponte di Rialto (era il 9 giugno). Infine, le leggende. Sul portale della Scuola Grande di San Marco c’è una figura mostruosa: «È il Levantino, protagonis­ta di un racconto cinquecent­esco. Porta in mano il cuore della madre che ha ucciso». Su quella pietra, da secoli, corre disperato.

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