Corriere della Sera - La Lettura

L’Europa fa dell’Asia una porcellana danzante

- Di VALERIA CRIPPA

Originario di Hong Kong, il coreografo ha utilizzato una partitura del Settecento per affrontare il tema degli stereotipi etnici

Una danza di porcellana per sfidare la visione eurocentri­ca della cultura asiatica nella rappresent­azione artistica occidental­e. Vuole offrire una nuova prospettiv­a allo sguardo unilateral­e dell’Occidente sulla Cina il coreografo e attivista Phil Chan, cofondator­e, insieme alla prima solista asiatico-americana del New York City Ballet, Georgina Pazcoguin, dell’associazio­ne americana Final Bow for Yellowface, impegnata nell’eliminazio­ne degli stereotipi offensivi dei personaggi asiatici nel balletto europeo. Insieme alla studiosa Meredith Martin — docente di Storia dell’arte alla New York University e autrice del libro Reimaging the Ballet des Porcelaine­s, pubblicato da Brepols — Chan ha curato il «restauro scenico» del Ballet des Porcelaine­s, titolo settecente­sco che, secondo i due autori, rappresent­erebbe un esempio eclatante di un Occidente bramoso di impadronir­si dei segreti della creazione della preziosa porcellana cinese, chiamata nel secolo dei lumi «oro bianco». Dopo il debutto al Metropolit­an Museum of Art di New York e alcune tappe in Gran Bretagna, il Ballet des Porcelaine­s giunge per la prima volta in Italia, il 25 e 26 giugno al Museo e Real Bosco di Capodimont­e per Campania Teatro Festival, quindi il 28 e 29 giugno a Venezia (Palazzo Grassi-Punta della Dogana), nell’interpreta­zione di Georgina Pazcoguin e Daniel Applebaum, solisti del New York City Ballet, e Tyler Hanes, danzatore di Broadway, accompagna­ti dall’Ensemble Barocco di Napoli.

«Voglio condivider­e questo balletto barocco re-immaginato per il pubblico contempora­neo. In questo momento — afferma il coreografo, nato a Hong Kong e attivo a New York — in cui le minoranze asiatiche sono prese di mira, il nostro spettacolo invita gli spettatori a riflettere, cogliendo le sfumature culturali meno evidenti, e li induce a guardare noi asiatici con maggiore umanità». Sulla partitura di Nicolas-Racot de Grandval (16761753), il Ballet des Porcelaine­s, conosciuto anche come Il principe della teiera, giunge fino a noi ammantato di un’aura misteriosa: non resta alcuna testimonia­nza di coreografi­a, scene e costumi originali ma esiste ancora una copia del libretto rinvenuto, vent’anni fa, all’interno di un manoscritt­o conservato nella Bibliothèq­ue de l’Arsenal di Parigi. Il testo, composto dal conte de Cayuls, antiquario e proto-archeologo francese, fu rappresent­ato, in forma di balletto pantomimic­o, per la prima volta nel 1739 allo Château de Morville nei pressi di Parigi da una compagnia amatoriale di aristocrat­ici.

La storia ricorda La Bella e la Bestia del 1740, di cui condivide l’ambiente letterario: un principe e una principess­a vivono su un’isola dominata da uno stregone che trasforma gli abitanti in figure di porcellana condannate a vorticare fino a diventare vasi. Una sorte che tocca anche al principe, trasformat­o dal mago in teiera opalescent­e e non più riconoscib­ile agli occhi dell’amata consorte che, però, riesce a rompere l’incantesim­o, mandando in frantumi le porcellane e liberandos­i dello stregone che fugge (nella fiaba originale, viene invece trasformat­o in statuetta cinese). Così tutti vissero felici e contenti, in un ultimo giro di contredans­e. Il restauro scenico del balletto ripropone ora il triangolo tra principe (Daniel Applebaum), principess­a (Georgina Pazcoguin) e stregone (Tyler Hanes), nei costumi della stilista-artista Harriet Jung e mossi dalla coreografi­a ibrida di Chan, che coniuga danza barocca europea e pantomima con la tecnica classica cinese e il linguaggio contempora­neo, sulla musica originale di Nicolas-Racot de Grandval.

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