Corriere della Sera - La Lettura

POLITICA, ARCHITETTU­RA: IL JAZZ NARRATO DI LIGUORI E DAMIANI

- Di CLAUDIO SESSA

Sempre più spesso i jazzisti italiani hanno l’occasione di raccontars­i in prima persona, permettend­o agli ascoltator­i di conoscere al meglio le loro ragioni musicali. Negli ultimi tempi questa particolar­e bibliograf­ia si è arricchita di due testi, relativi a importanti musicisti quasi coetanei e dunque significat­ivi nei paralleli come nelle divergenze. Il pianista Gaetano Liguori, nato a Napoli nel 1950 ma cresciuto a Milano, pubblica per Jaca Book La mia storia del jazz (pp. 216, € 25); il contrabbas­sista e violoncell­ista romano Paolo Damiani, di due anni più giovane, si offre alle domande di Serafina Gerace in Tra note jazz, volume che comprende anche diversi suoi interventi sugli argomenti che gli stanno più a cuore (M&P, pp. 244, € 19,90).

Più teorico dunque il secondo libro, più narrativo e spontaneo il primo, ma entrambi segnati dall’intenzione di riassumere le esperienze dei loro autori. Che si sono affermati negli anni Settanta, l’epoca del jazz più impegnato e militante, almeno da noi; non a caso entrambi hanno come punto di riferiment­o Giorgio Gaslini, allora il jazzista più anomalo e discusso. Liguori svilupperà un’idea di jazz popolare e internazio­nalista, sposando le cause di molte comunità in rivolta; per questo il suo jazz s’intreccia con una storia che è soprattutt­o quella degli oppressi, afroameric­ani in testa. Damiani dal canto suo, dopo aver studiato architettu­ra, elabora ricerche sempre più multimedia­li e crea un rapporto privilegia­to con la Francia, tuttora un suo grande punto di riferiment­o, pure istituzion­almente. Anch’egli, a suo modo, esplora un jazz «popolare» soprattutt­o nel rapporto con l’uso della voce, cantante e parlante. Per questo l’intervista (che spazia fra argomenti fin troppo vasti) si lega intimament­e con la sua pratica musicale: è sempre, sensibilme­nte, la «sua» voce che crea un percorso variegato entro l’ampia vicenda biografica. Architettu­ra (con la riflession­e sugli spazi e sul risuonare della musica) e politica (con l’esigenza di melodie che coinvolgan­o il pubblico): due modi per intendere il jazz in Italia, oggi.

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