Corriere della Sera - La Lettura
Goethe non ha il monopolio di Faust Qualcun altro vuole dire la sua...
«Ma Goethe non ha il monopolio del Faust», scriveva Nikolaus Lenau all’amico che lo metteva in guardia dall’azzardo di esporsi all’impari confronto. Era il 1833, Goethe, compiuto in extremis il suo capolavoro, era morto due anni prima e il suo Faust, la cui seconda parte era uscita postuma nel ’32, avrebbe proiettato quell’ombra lunghissima che ha oscurato l’intrepido concorrente. La traduzione del Faust di Lenau che esce ora, curata da Alberto Cattoi, non segna certo la rivalsa dell’autore austriaco-ungherese sul suo gigantesco modello. Gli dà però ragione sulla possibilità di rivisitare la leggenda del medico-mago che aveva stretto un patto con il diavolo. Lo stesso Goethe era stato suggestionato da un paio di altre versioni della storia: quella rinascimentale di Christopher Marlowe, che aveva visto ragazzino in un teatro di marionette, e, più tardi, quella illuminista di Lessing, il primo a non condannare Faust per la sua tracotante ricerca della verità. Dopo Goethe ci sarebbe ritornato anche Thomas Mann. E, in forma di lamento di un’anima che canta la vanità della vita e l’impotenza del pensiero, perfino Pessoa. Il languido, romantico
Faust di Lenau, affiancato da un meraviglioso Mefistofele, campione di nichilismo e materialismo, guardando oltre il fratello goethiano, prefigurava senza saperlo i suoi avatar novecenteschi.