Corriere della Sera - La Lettura
Pure gli oceani sono stati colonizzati Ora salviamoli
L’esposizione Le opere di due artiste in mostra a Venezia
Il viaggio come linguaggio per immaginare un ribaltamento delle ingiustizie del colonialismo è il motivo ispiratore delle installazioni di Dineo Seshee Bopape e Diana Policarpo, Ocean! What if no change is your desperate mission? e Ciguatera: entrambe presentate da TBA21-Academy Ocean Space, nella chiesa di San Lorenzo, in concomitanza con la 59ª Biennale d’Arte di Venezia. Le opere sono parte del programma biennale The Soul Expanding Ocean, curato dalla storica dell’arte Chus Martínez.
Per questa nuova produzione, Bopape e Martínez hanno affrontato un viaggio dalle Isole Salomone del Pacifico al Sudafrica, dove l’artista è nata e vive, passando attraverso le piantagioni del Mississippi e l’Alligator Head Foundation in Giamaica. L’esplorazione di Policarpo s’è svolta nell’Atlantico, negli spazi più circoscritti, meno di tre chilometri quadrati, della riserva naturale delle Isole Selvagge (Ilhas Selvagens) del Portogallo, sua terra natale.
La ricerca ha portato le artiste a contatto con l’oceano: persone, microorganismi, specie animali e vegetali, rocce, paesaggi, eventi atmosferici estremi. «Il mio viaggio è stata un’esperienza complessa» racconta l’artista di Ciguatera, termine scientifico che indica un’intossicazione alimentare causata dalla ciguatossina. Solo sei persone vivono sulle Isole Selvagge dell’Atlantico settentrionale, il luogo che fu destinato alla ricerca sulla biodiversità dopo l’istituzione della riserva negli anni Settanta: «Nell’installazione non c’è presenza umana — evidenzia Policarpo — e ho adottato un approccio scientifico anche grazie alle interviste a diversi ricercatori, come un astrobiologo presente durante la mia residenza». La scultura, che riproduce una grande scogliera in cui l’artista ha inserito alcuni video di piccoli animali e vegetali che abitano le isole, ci fa comprendere come la scienza sia coinvolta nel fenomeno coloniale e nelle relazioni di potere.
Le persone, il racconto degli antenati sono i protagonisti dell’opera di Bopape: donne e uomini strappati alla loro terra, l’Africa, ridotti in schiavitù e scomparsi per sempre nelle acque dell’Atlantico, lungo le rotte delle navi negriere, a partire dal Settecento. «Sono molte le storie venute alla luce durante il mio viaggio nelle Salomone», racconta l’artista nata a Johannesburg. «La mia opera è una dichiarazione d’amore per l’oceano, fonte di vita, in grado di generarci e di sostenerci». Anche scoprendo, durante una pioggia tropicale, che può diventare un tetto per ripararci.
«Ciò che amiamo è difficile da distruggere» afferma la curatrice. «Instaurare, e mantenere, amicizie e legami con umani e non umani, promuovere una cultura della cura, è l’obiettivo del ciclo che si conclude quest’anno». Ma il colonialismo ha istituito con l’oceano un rapporto fondato sull’espropriazione delle risorse naturali, sulla distruzione della biodiversità, la cancellazione di tradizioni millenarie, la violenza nei confronti dei più deboli. Attraverso la loro esperienza artistica, Bopape e Policarpo cercano di trasmettere al visitatore un messaggio diverso, di connessione intima con l’oceano e con la sua storia viva, nel tentativo di porre un freno al secolare, e apparentemente irreversibile, processo di distruzione. Le artiste vogliono anche comunicare la propria gratitudine verso gli antenati e le parenti prossime, nonne e madri, che hanno insegnato, attraverso racconti e leggende, a conoscere e amare l’oceano.