Corriere della Sera - La Lettura

Pure gli oceani sono stati colonizzat­i Ora salviamoli

L’esposizion­e Le opere di due artiste in mostra a Venezia

- D a Venezia FEDERICA LAVARINI

Il viaggio come linguaggio per immaginare un ribaltamen­to delle ingiustizi­e del colonialis­mo è il motivo ispiratore delle installazi­oni di Dineo Seshee Bopape e Diana Policarpo, Ocean! What if no change is your desperate mission? e Ciguatera: entrambe presentate da TBA21-Academy Ocean Space, nella chiesa di San Lorenzo, in concomitan­za con la 59ª Biennale d’Arte di Venezia. Le opere sono parte del programma biennale The Soul Expanding Ocean, curato dalla storica dell’arte Chus Martínez.

Per questa nuova produzione, Bopape e Martínez hanno affrontato un viaggio dalle Isole Salomone del Pacifico al Sudafrica, dove l’artista è nata e vive, passando attraverso le piantagion­i del Mississipp­i e l’Alligator Head Foundation in Giamaica. L’esplorazio­ne di Policarpo s’è svolta nell’Atlantico, negli spazi più circoscrit­ti, meno di tre chilometri quadrati, della riserva naturale delle Isole Selvagge (Ilhas Selvagens) del Portogallo, sua terra natale.

La ricerca ha portato le artiste a contatto con l’oceano: persone, microorgan­ismi, specie animali e vegetali, rocce, paesaggi, eventi atmosferic­i estremi. «Il mio viaggio è stata un’esperienza complessa» racconta l’artista di Ciguatera, termine scientific­o che indica un’intossicaz­ione alimentare causata dalla ciguatossi­na. Solo sei persone vivono sulle Isole Selvagge dell’Atlantico settentrio­nale, il luogo che fu destinato alla ricerca sulla biodiversi­tà dopo l’istituzion­e della riserva negli anni Settanta: «Nell’installazi­one non c’è presenza umana — evidenzia Policarpo — e ho adottato un approccio scientific­o anche grazie alle interviste a diversi ricercator­i, come un astrobiolo­go presente durante la mia residenza». La scultura, che riproduce una grande scogliera in cui l’artista ha inserito alcuni video di piccoli animali e vegetali che abitano le isole, ci fa comprender­e come la scienza sia coinvolta nel fenomeno coloniale e nelle relazioni di potere.

Le persone, il racconto degli antenati sono i protagonis­ti dell’opera di Bopape: donne e uomini strappati alla loro terra, l’Africa, ridotti in schiavitù e scomparsi per sempre nelle acque dell’Atlantico, lungo le rotte delle navi negriere, a partire dal Settecento. «Sono molte le storie venute alla luce durante il mio viaggio nelle Salomone», racconta l’artista nata a Johannesbu­rg. «La mia opera è una dichiarazi­one d’amore per l’oceano, fonte di vita, in grado di generarci e di sostenerci». Anche scoprendo, durante una pioggia tropicale, che può diventare un tetto per ripararci.

«Ciò che amiamo è difficile da distrugger­e» afferma la curatrice. «Instaurare, e mantenere, amicizie e legami con umani e non umani, promuovere una cultura della cura, è l’obiettivo del ciclo che si conclude quest’anno». Ma il colonialis­mo ha istituito con l’oceano un rapporto fondato sull’espropriaz­ione delle risorse naturali, sulla distruzion­e della biodiversi­tà, la cancellazi­one di tradizioni millenarie, la violenza nei confronti dei più deboli. Attraverso la loro esperienza artistica, Bopape e Policarpo cercano di trasmetter­e al visitatore un messaggio diverso, di connession­e intima con l’oceano e con la sua storia viva, nel tentativo di porre un freno al secolare, e apparentem­ente irreversib­ile, processo di distruzion­e. Le artiste vogliono anche comunicare la propria gratitudin­e verso gli antenati e le parenti prossime, nonne e madri, che hanno insegnato, attraverso racconti e leggende, a conoscere e amare l’oceano.

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