Corriere della Sera - La Lettura
StregatidallaLuna (chemeraviglia)
immagina che in una comunità del Connecticut il satellite della Terra riesca misteriosamente, una notte, a cambiare l’esistenza di infelici e sbandati, creando occasioni di letizia e riscatto
«Uscite, uscite, ovunque voi siate, sognatori ed emarginati, indolenti e disgraziati, cercatori d’ombre, orfani di sole. Uscite, uscite, reietti, banditi dalla luce, beniamini delle ombre». Queste parole pronuncia il coro delle tenebre de La notte dell’incanto dell’americano Steven Millhauser (suo Eisenhaim the Illusionist dal quale è stato tratto il film L’illusionista). Siamo in un’afosa notte d’agosto, in una cittadina del Connecticut — dominata dai poteri della Luna, grande protagonista di questo romanzo — che sembra disconnettersi dalla routine del mondo per regalare ai pochi che accoglieranno l’invito a uscire il dono di una rivelazione. Una rivelazione che forse non capiranno del tutto, ma di sicuro segnerà le loro vite. Qui la Luna è una dea che dal cielo, pur restandovi, scende con un carro e si unisce carnalmente ai mortali scegliendoli a suo capriccio. Nel cielo notturno e immobile il suo carro segna geroglifici, si avvita, risale. Lei, la Luna, è onnipotente, compie grandi miracoli indimenticabili, e lo fa per quei pochi che amano più il suo chiarore della luce offensiva del suo nemico: il Sole. Uomini, donne, bambini, adolescenti e anziani, in questa notte fibrillano di attesa, quasi una dolce attesa, perché la tentacolare, ingravidante Luna li riceverà e si farà accogliere per spargere doni che non dimenticheranno, e che domani, forse, riterranno appartenere solo alla sfera nel sogno. O magari ragioneranno così solo per non impazzire, perché il ricordo sarà tanto vivido da scuotere le loro anime come cime degli alberi al vento.
La Luna parla a chi la adora in una lingua siderale capace di formicolare sulle braccia e le gambe di chi sa ascoltare la sua voce oscillante come una ragnatela. La dea vagabonda cercherà di farsi ascoltare da tutti i relitti della vita che quella notte usciranno anche solo per respirare, per tentare ancora una volta la conquista di un ragazzo, l’amore per il pericolo o per un manichino che brilla notturno tra le luci elettriche di una vetrina.
Sono un buon numero coloro che circolano in questa notte, è come se tutti sapessero e uscissero fuori per farsi contagiare, baciare dall’incanto. Tutti sperano in un cambiamento anche di poche ore, purché sia disturbante, ché tanto, nelle loro vite così fuori dall’ordinario, solo l’extra-ordinario può rappresentare la posta in gioco per la quale vale la pena esporsi. C’è la ragazzina Laura Engstrom che non riesce a dormire ed esce scalza a sentire le punture degli aghi di pino sotto i piedi, che si avvia verso un’altalena della quale vede solo le corde illuminate dalla Luna. E sa che deve attendere, per riuscire a respirare, e che lui non tarderà. Questa volta sarà quella definitiva. C’è Haverstraw, 39 anni, scrittore fallito, che vive con la madre, ma all’una di notte ha l’abitudine di andare a trovare una sessantenne che ama da quando era adolescente. Una donna che lo avrebbe ricambiato fin da allora ma che ancora attende, sempre con un bicchiere di vino rosso in mano, l’avance che non arriva mai. Questa notte parleranno in modo più intenso del solito, non accadrà niente di più, ma quando tornerà verso casa, l’uomo avrà la prima opportunità di eroismo della sua vita che lo porterà a credere di più in sé stesso. Forse potrebbe anche terminare il libro che sta scrivendo. E ci sono le ragazzine con la mascherina da ladre sul volto che sono il terrore delle case. Entrano di soppiatto e rubano quel che trovano, il loro capo si chiama Tempesta. Ma stanotte entreranno proprio nella casa giusta, quella della donna che vive sola, così sola che davvero non aspettava altro, è così felice di ritrovarsele nel suo salotto: «Ragazze, vi posso offrire una limonata? Mi farebbe così piacere parlare un po’ con voi». Così, più tardi, quando le seguaci di Tempesta se ne andranno senza aver rubato nulla, la donna che vive sola laverà quei bicchieri come fossero reliquie. E c’è Coop che da tempo è innamorato del manichino di una vetrina. Una donna con le gambe lunghe, il corpo che sembra di vetro, gli occhiali da sole alla moda. Ma stanotte ha il coraggio di incollare le labbra sul vetro per un bacio appassionato e poi scappare lungo i binari della ferrovia, inconsapevole che con quel bacio la Luna ha avuto compassione di lui, e quella donna finta, dentro la vetrina, sta prendendo vita e ora uscirà dalla gabbia per seguirlo. Segue proprio lui, e per una notte sarà viva per il gusto di amarlo fino al primo apparire delle luci del giorno.
Nelle soffitte, l’incanto notturno farà sì che anche i vecchi giocattoli dimenticati prenderanno vita: bambole con un solo occhio, orsacchiotti e un Pierrot innamorato di Colombina. C’è anche una ragazza, alla finestra, che fa un pensiero: «Chissà se attraversando tutti i giardini d’America si potrebbe arrivare al Pacifico?». Lei non lo sa, ma quella notte potrebbe accadere davvero, perché solo per poche ore i giardini si «riempiranno di immobilità».
È un «sussurrato», la lingua di Steven Millhauser. A tratti anche un «fortissimo», e i due toni si equilibrano facendo pensare all’aria di Wolfram del Tannhäuser di Wagner e a chi sapeva cantarla come il musicista aveva scritto. Ascoltando le parole: «Oh tu bell’Astro incantator/ che spandi pace al mondo inter» si entra ne La notte dell’incanto. E il desiderio è quello di non uscirne.