Corriere della Sera - La Lettura
Bistecca e alcaloidi: California, sveglia!
Una chimica, anticonformista madre single, per campare negli States anni Sessanta tiene lezioni televisive di cucina: turberà una società retrograda indicando la via di una riscossa femminile. L’esordio di Bonnie Garmus sarà una serie tv
Un’impietosa radiografia del mito del sogno americano. Nella California dei primi anni Sessanta, che vantava l’esempio sfavillante del progresso e del benessere, nella soleggiata West Coast a brillare veramente rimaneva solo il meteo. Perché la realtà era molto più noiosa, retrograda e ipocrita. Questo racconta Lezioni di chimica, sorprendente debutto come autrice di Bonnie Garmus. Il romanzo ha scalato la classifica bestseller del «New York Times», sarà pubblicato in 34 Paesi ed è già in lavorazione un adattamento televisivo per una serie su Apple Tv+.
Un libro lanciato come un manifesto femminista: la protagonista è un personaggio forte a cui inspirarsi, una scienziata, una chimica. Si chiama Elizabeth Zott è bella, intraprendente e troppo moderna rispetto alla società in cui vive. Non cede a compromessi, si ribella alle convenzioni e offre un importante esempio di empowerment. Ma la storia raccontata è anche molto di più, perché con coraggio, cinismo e ironia, Garmus offre una narrazione intensa che diventa un efficace ritratto sociologico dell’epoca.
Siamo nel 1961, negli States sono già nate le televisioni commerciali e Zott, madre single penalizzata dal carattere fiero e scomodo, per sbarcare il lunario anziché dedicarsi solo alla ricerca, è costretta ad accettare la proposta di un produttore televisivo e diventare la conduttrice di un programma di cucina. Si intitola Cena alle sei e dovrebbe aiutare le casalinghe a combattere la mancanza di fantasia nella scelta del menù serale. Mezz’ora al giorno, da lunedì a venerdì, con il format televisivo classico: conduttrice sexy e sorridente in grembiulino, scenario grazioso in una cucina con finti elettrodomestici e cibo sponsorizzato. Ma Zott non riesce ad adeguarsi, anzi vuole rivoluzionare il programma, rivendica le conoscenze scientifiche. Vuole insegnare a cucinare cibi sani e nutrienti partendo da nozioni di chimica. «Cospargete la vostra bistecca con un pizzico di cloruro di sodio e piperina, l’alcaloide del pepe nero, aggiungete il burro e aspettate che si formi la schiuma, così la carne potrà cuocere nei lipidi e non nell’ H2O... sminuzzate il rosmarino con il coltello più affilato, per prevenire una fuoriuscita di elettroliti...».
Con un linguaggio del genere, mischiato ad aforismi coraggiosi fra reazioni chimiche e sfide della quotidianità («la cucina è chimica e la chimica è vita, la possibilità di un cambiamento comincia qui»), fa disperare il produttore televisivo. Sconvolge anche la pacata sottomissione delle telespettatrici casalinghe che prima non capiscono, poi iniziano a prendere appunti e scoprono nuovi orizzonti. E anche l’ambizione di non essere soltanto le regine della casa circondate da primordiali gadget tecnologici. Così il programma diventa una lezione di vita, sul coraggio di seguire le proprie aspirazioni.
Un messaggio importante e sempre attuale ma di difficilissima attuazione in una stagione dove, professionalmente, i ruoli femminili sono scarsi e mal pagati. E in ambito scientifico al massimo si può ambire a un lavoro di segretaria. Quindi, per una ricercatrice impavida come Zott le molestie sessuali sono un dazio da pagare ed è anche da mettere in conto il rischio di furto nell’attribuzione di eventuali scoperte: non per sfiducia ma perché i progetti firmati da un uomo sono sempre più credibili e appetibili per eventuali investitori.
Per raccontarlo la trama di Lezioni di chimica arretra di dieci anni, quando la protagonista del romanzo lavorava in un istituto di ricerca californiano, barcamenandosi tra le maldicenze dei maschi che le invidiavano professionalità e competenza e il perbenismo delle colleghe che ne criticavano l’idiosincrasia verso il matrimonio. Aveva addirittura rifiutato di sposare Calvin Evans, giovane e geniale scienziato in odore di Nobel, che lavorava nello stesso istituto. Ma il carattere di Zott è tenace e pragmatico. Preferisce ignorare cattiverie e pettegolezzi per focalizzarsi solo sulle ricerche, occupandosi di abiogenesi: lo studio del processo naturale attraverso il quale la vita si origina a partire da materia non vivente.
Anche questo un tema sensibile, che all’epoca entrava in conflitto con le convinzioni religiose di molti. Per l’atteggiamento agnostico e fuori dalle regole viene vista come una sovversiva, addirittura pericolosa agli occhi dei maccartisti. Non solo: che una figlia senza vergogna, se ha l’ardire di ricordare il proprio padre come «un imbonitore dell’apocalisse attualmente in carcere con una condanna a venticinque anni per aver ammazzato tre persone mentre compiva un miracolo, laddove il miracolo era che non ne avesse ammazzate di più».
Il talento di Bonnie Garmus, rivelato dallo sfolgorante esordio, è di aver saputo creare attorno alla sua protagonista così accattivante una narrazione dettagliatissima che coinvolge e appassiona. Tanto che Elizabeth Zott compie quasi la magia di uscire dalle pagine del libro per ottenere un’improbabile fisicità. Lo merita perché sa consolare il lettore: di fronte alle batoste della vita insegna a rialzarsi sempre, senza autocompiangersi. La metafora della determinazione sta anche nell’interesse verso il canottaggio, disciplina maschile in cui le donne in quegli anni sono state pioniere. Che piacere alzarsi all’alba e vogare fino allo sfinimento, con un unico benefit: il clima invidiabile della California.