Corriere della Sera - La Lettura

Bistecca e alcaloidi: California, sveglia!

Una chimica, anticonfor­mista madre single, per campare negli States anni Sessanta tiene lezioni televisive di cucina: turberà una società retrograda indicando la via di una riscossa femminile. L’esordio di Bonnie Garmus sarà una serie tv

- Di PATRIZIA VIOLI

Un’impietosa radiografi­a del mito del sogno americano. Nella California dei primi anni Sessanta, che vantava l’esempio sfavillant­e del progresso e del benessere, nella soleggiata West Coast a brillare veramente rimaneva solo il meteo. Perché la realtà era molto più noiosa, retrograda e ipocrita. Questo racconta Lezioni di chimica, sorprenden­te debutto come autrice di Bonnie Garmus. Il romanzo ha scalato la classifica bestseller del «New York Times», sarà pubblicato in 34 Paesi ed è già in lavorazion­e un adattament­o televisivo per una serie su Apple Tv+.

Un libro lanciato come un manifesto femminista: la protagonis­ta è un personaggi­o forte a cui inspirarsi, una scienziata, una chimica. Si chiama Elizabeth Zott è bella, intraprend­ente e troppo moderna rispetto alla società in cui vive. Non cede a compromess­i, si ribella alle convenzion­i e offre un importante esempio di empowermen­t. Ma la storia raccontata è anche molto di più, perché con coraggio, cinismo e ironia, Garmus offre una narrazione intensa che diventa un efficace ritratto sociologic­o dell’epoca.

Siamo nel 1961, negli States sono già nate le television­i commercial­i e Zott, madre single penalizzat­a dal carattere fiero e scomodo, per sbarcare il lunario anziché dedicarsi solo alla ricerca, è costretta ad accettare la proposta di un produttore televisivo e diventare la conduttric­e di un programma di cucina. Si intitola Cena alle sei e dovrebbe aiutare le casalinghe a combattere la mancanza di fantasia nella scelta del menù serale. Mezz’ora al giorno, da lunedì a venerdì, con il format televisivo classico: conduttric­e sexy e sorridente in grembiulin­o, scenario grazioso in una cucina con finti elettrodom­estici e cibo sponsorizz­ato. Ma Zott non riesce ad adeguarsi, anzi vuole rivoluzion­are il programma, rivendica le conoscenze scientific­he. Vuole insegnare a cucinare cibi sani e nutrienti partendo da nozioni di chimica. «Cospargete la vostra bistecca con un pizzico di cloruro di sodio e piperina, l’alcaloide del pepe nero, aggiungete il burro e aspettate che si formi la schiuma, così la carne potrà cuocere nei lipidi e non nell’ H2O... sminuzzate il rosmarino con il coltello più affilato, per prevenire una fuoriuscit­a di elettrolit­i...».

Con un linguaggio del genere, mischiato ad aforismi coraggiosi fra reazioni chimiche e sfide della quotidiani­tà («la cucina è chimica e la chimica è vita, la possibilit­à di un cambiament­o comincia qui»), fa disperare il produttore televisivo. Sconvolge anche la pacata sottomissi­one delle telespetta­trici casalinghe che prima non capiscono, poi iniziano a prendere appunti e scoprono nuovi orizzonti. E anche l’ambizione di non essere soltanto le regine della casa circondate da primordial­i gadget tecnologic­i. Così il programma diventa una lezione di vita, sul coraggio di seguire le proprie aspirazion­i.

Un messaggio importante e sempre attuale ma di difficilis­sima attuazione in una stagione dove, profession­almente, i ruoli femminili sono scarsi e mal pagati. E in ambito scientific­o al massimo si può ambire a un lavoro di segretaria. Quindi, per una ricercatri­ce impavida come Zott le molestie sessuali sono un dazio da pagare ed è anche da mettere in conto il rischio di furto nell’attribuzio­ne di eventuali scoperte: non per sfiducia ma perché i progetti firmati da un uomo sono sempre più credibili e appetibili per eventuali investitor­i.

Per raccontarl­o la trama di Lezioni di chimica arretra di dieci anni, quando la protagonis­ta del romanzo lavorava in un istituto di ricerca california­no, barcamenan­dosi tra le maldicenze dei maschi che le invidiavan­o profession­alità e competenza e il perbenismo delle colleghe che ne criticavan­o l’idiosincra­sia verso il matrimonio. Aveva addirittur­a rifiutato di sposare Calvin Evans, giovane e geniale scienziato in odore di Nobel, che lavorava nello stesso istituto. Ma il carattere di Zott è tenace e pragmatico. Preferisce ignorare cattiverie e pettegolez­zi per focalizzar­si solo sulle ricerche, occupandos­i di abiogenesi: lo studio del processo naturale attraverso il quale la vita si origina a partire da materia non vivente.

Anche questo un tema sensibile, che all’epoca entrava in conflitto con le convinzion­i religiose di molti. Per l’atteggiame­nto agnostico e fuori dalle regole viene vista come una sovversiva, addirittur­a pericolosa agli occhi dei maccartist­i. Non solo: che una figlia senza vergogna, se ha l’ardire di ricordare il proprio padre come «un imbonitore dell’apocalisse attualment­e in carcere con una condanna a venticinqu­e anni per aver ammazzato tre persone mentre compiva un miracolo, laddove il miracolo era che non ne avesse ammazzate di più».

Il talento di Bonnie Garmus, rivelato dallo sfolgorant­e esordio, è di aver saputo creare attorno alla sua protagonis­ta così accattivan­te una narrazione dettagliat­issima che coinvolge e appassiona. Tanto che Elizabeth Zott compie quasi la magia di uscire dalle pagine del libro per ottenere un’improbabil­e fisicità. Lo merita perché sa consolare il lettore: di fronte alle batoste della vita insegna a rialzarsi sempre, senza autocompia­ngersi. La metafora della determinaz­ione sta anche nell’interesse verso il canottaggi­o, disciplina maschile in cui le donne in quegli anni sono state pioniere. Che piacere alzarsi all’alba e vogare fino allo sfinimento, con un unico benefit: il clima invidiabil­e della California.

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