Corriere della Sera - La Lettura
Due realtà? Meglio di una
In un’inquietante Torino, gioca sulla possibilità di crearsi verità parallele grazie alla scrittura
Nella sua casa di Torino, un’acquerellista affetta da una grave malattia della pelle e ossessionata dall’abnegazione delle samurai prova a scagionarsi da un’accusa di omicidio, al cospetto dell’ispettore. Contemporaneamente, in una stanza d’ospedale, un medico registra il racconto di una degente gravemente ustionata, scampata a un incendio appiccato da lei. Le persone in scena sono sempre le stesse, ma i personaggi no: verità, identità e dettagli cambiano a seconda di chi prende la parola.
A sei anni dall’esordio, Il grande animale (Nottetempo), e dopo la parentesi della «terapia letteraria per cuori infranti» Cosa faremo di questo amore (Einaudi), Gabriele Di Fronzo torna alla narrativa con La samurai, confermando uno stile e, soprattutto, un’idea: quella della finzione letteraria come campo in cui ragionare sulla finzione nella vita reale. Delle due versioni poste sul piatto de La samurai, infatti, solo una è quella «vera», e Di Fronzo lo ammette presto e senza ambiguità, perché l’unico mistero su cui gli interessa indagare è questo: come mai ne esiste una falsa? La letteratura, come ogni bugia, è una conseguenza del dolore o del desiderio — e spesso di entrambi. Lo scrittore condivide col disperato, col folle, con chi ha perso tutto, una medesima via di fuga: fantasticare, generare realtà alternative in cui si vive meglio, si ha ragione, si è capaci di motivare i propri errori. La samurai parla di questo, e lo fa con eleganza e consapevolezza: Di Fronzo munisce le sue due prime persone di arcaismi ed espressioni ricercate — la neve «pigola», il vetro è «ragnato d’acqua», la notte «invetriata dal ghiaccio» — senza però rallentare il galoppo verso il finale, a cui si arriva, anche in assenza di grossi colpi di scena, col fiato corto per la curiosità.
Il fatto che le voci dei due personaggi siano pressoché indistinguibili l’una dall’altra è forse l’aspetto meno intonato di un romanzo che mostra, per il resto, molta sicurezza, e un buon equili
€ brio tra profondità dei temi e fruibilità del testo. Ma bisogna riconoscere che l’assenza di marcature, senz’altro consapevole, ha una sua coerenza: La samurai è un romanzo ad acquerello, il cui tratto tenue ma esondante è funzionale all’atmosfera sfocata che, dalla mente della protagonista, s’impone sul mondo circostante. Il gusto per il perturbante e l’ambientazione vintage tutta interni e notturni (Di Fronzo guarda abbastanza chiaramente ad Arthur Schnitzler) contribuiscono, tra le altre cose, a offrire un suggestivo ritratto della città di Torino, «la più profonda» — dice il dottore, citando de Chirico — la «più enigmatica, più inquietante, non d’Italia ma del mondo». Sul perché sia enigmatica e inquietante — e spesso associata all’occultismo — Di Fronzo confeziona le pagine più originali di questo suo incasellabile romanzo. Il resto è sapientemente concentrato sull’intrico «di corrispondenze e associazioni con cui raccontiamo a noi stessi e agli altri la nostra vita». E cioè sullo sforzo immaginifico che, a tutti i livelli, per scelta professionale o necessità, richiede l’esistenza.