Corriere della Sera - La Lettura
Un teatro, tre vite. E l’horror del 1915
Il Dal Verme di Milano nacque nel 1872, venne distrutto durante la guerra, fu ricostruito, chiuse di nuovo, tornò nel 2001. Festeggia i 150 anni con un cartellone di eventi: il primo è un film (ora restaurato) girato nella sua sala e in città
Epensare che iniziò tutto dalle esibizioni di Gaetano Ciniselli, cavallerizzo onorario di sua maestà il re d’Italia, che faceva orgogliosamente i suoi numeri nel ligneo circo equestre di via san Giovanni sul Muro, addì 1864. Sfogliando 150 anni di calendario, la storia del Teatro dal Verme, che visse tre volte in tre Milano diverse e che oggi si omaggia (data fatidica il 14 settembre), parte da qui, perché il successo popolare di quel circo, il cattivo odore degli animali e il chiassoso popolo del quarto stato che accorreva nella zona vip mise in allarme i sonni del conte Francesco Dal Verme che abitava di fronte. Il quale, per risolvere la questione in fretta, acquistò il baraccone, lo distrusse e ci costruì al suo posto il Teatro Dal Verme, che porterà da allora il nobile nome della sua casata.
Sala a ferro di cavallo da 3 mila posti, 56 palchi e un loggione che il 14 settembre 1872 si accende per la prima volta con Gli ugonotti di Giacomo Meyerbeer. E mentre i protestanti francesi vengono sgozzati cantando nella buia notte di San Bartolomeo nel 1562, il pubblico ha modo di apprezzare quel prodigio di scenotecnica che avrebbe mandato in deliquio Luca Ronconi: una platea trasformabile in gradinata, un grande palco per opera e balletti che poteva diventare arena da circo, uno spazio multi mediale ante litteram. I confini tra i generi di spettacolo erano labili: si poteva ospitare il belcanto dei Pagliacci — certo il Dal Verme con Scala e Lirico fu il massimo palco lirico cittadino con le prime di Giacomo Puccini e Ruggero Leoncavallo — ma anche fare il circo, tirare di boxe e scherma, applaudire spettacoli equestri, indire il campionato di lotta greco-romana come accadde nel 1889 e organizzare veglioni di Capodanno, alternando il pubblico popolare a quello raffinato, gli zoccoli alle ghette, dal sapone di Marsiglia ai profumi francesi. Intanto sulle pareti di quella sala dalla facciata neoclassica sormontata da un’enorme cupola si agitavano, come giochi di ombre cinesi, le mani del venticinquenne direttore Arturo Toscanini.
I milanesi bene che affollavano il Dal Verme andarono in romantica estasi nel 1907 per il debutto della Vedova allegra di Franz Lehàr che arrivò a Milano dopo Vienna e Amburgo, ma prima di Londra e New York. E, nel 1914, colpo di scena col primo concerto futurista che finì, come negli avanspettacoli di Fellini, con ortaggi vari lanciati contro il trentottenne Filippo Tommaso Marinetti, incantato dall’idea di progresso. E ci sono serate d’onore col commosso addio alle scene di Ermete Novelli e Virginia Reiter, in platea colleghi come Lyda Borelli ed Emma Gramatica in platea a rendere omaggio.
Ma è un ritrovato film muto horror fantasy, Il Jockey della morte, girato dentro al teatro reso ancora una volta circense, il grande evento e la sua proiezione il 14 giugno, Preludio in bianco e nero, sarà la sorpresa (a cura della Cineteca italiana di Matteo Pavesi, che ne ha organizzato il restauro digitale) del primo dei 15 appuntamenti curati dal direttore Maurizio Salerno, produzione dei Pomeriggi Musicali, per raccontare a capitoli la storia una e trina del teatro di largo Cairoli che sarà nel tempo adiacente ad altre sale storiche come l’Olimpia (fu ideato da Edoardo Ferravilla) e l’Eden (dove debuttò Wanda Osiris), per non dire la Edison dove iniziò la carriera Ermanno Olmi.
Il Jockey della morte, dove il protagonista è l’equivalente del Joker, è un curioso incrocio di generi, tra il melò, l’horror e il romantico. Fu girato e interpretato nel 1915 dal regista danese Alfred Lind (che a Milano fonderà nel 1923 una società di produzione) e viene proiettato con le musiche dal vivo di Andrea Valle, eseguite dal gruppo Arto Fantasma. Poi, il 16 novembre, secondo appuntamento col cinema e questa volta è di scena I promessi sposi del 1922 di Mario Bonnard. Tuttavia è il film circense-noir che stuzzica perché realizzato dentro al teatro e ne diventa rara testimonianza storica e architettonica: si vede la sala con la gradinata, la pedana centrale travestita da circo col pubblico in subbuglio, acrobazie, numeri equestri.
I fatti sono questi: il sovrintendente di un conte lo avvelena, lo deruba e ne rapisce la figlia, ceduta a degli ambulanti, finchè 15 anni dopo arriva il cugino visconte vendicatore che scopre la ragazza diventata funambola e per riprendersela si traveste da Jockey della morte. Una storia girata nella Milano liberty, con l’adrenalina dell’epoca, amore e acrobazie, con malfattori e fanciulle, visioni di effetti speciali spielberghiani (la lunga fuga sul filo sospeso nel baratro) e questa nera, lugubre maschera dello spettrale Jockey che vuol salvare la giovane di cui si è innamorato: corse ovunque, dapprima sui tetti del Dal Verme da cui si ammira dall’alto il panorama metropolitano, Duomo compreso, e poi i Navigli milanesi, poi via in treno, in bicicletta a rincorrere dopo 58’ il lieto fine, conquistato dopo un finale di campagnola suspense (e vengono in mente i titoli fantasy che oggi tengono in ostaggio il cinema con i supereroi).
L’ingenuità della sceneggiatura è dichiarata, ma la tecnica era per i tempi davvero futuribile e gli effetti resi appassionanti da didascalie di amorosi palpiti. Il dono magico resta comunque entrare, fantasmatici ospiti, nel Dal Verme di allora, viaggiando nel tempo, quand’era tempio di varie religioni artistiche, dalla lirica all’operetta, dal circo alla rivista, sposando poi il cinema dal 1948-49 al 1984. Gli anni Venti sono Cin Ci Là e Totò in scena in Madama Follia con Marisa Maresca. Ci sono comici famosi al Dal Verme, da Aldo Fabrizi a Renato Rascel, ed ancora dopo la guerra, ricostruito come cinema, ospita, nel ’49, Sotto i ponti del Naviglio con Pina Renzi, Giacomo Rondinella e i milanesissimi Tino Scotti e Fausto Tommei, nel ’50 Addio vecchia periferia con Pina Renzi, Mario Carotenuto e Franco Parenti, l’ultimo fu Macario a fine anni Cinquanta in Non sparate alla cicogna, oltre a storiche serate jazz con Duke Ellington nel 1950 e Louis Armstrong nel ’59.
Distrutto dalla guerra, il Dal Verme risorge e nel 1949 pubblicizza sul «Corriere» I toreador con Stanlio e Ollio, nel ’50 Dies irae, segno di varietà di scelte. E infatti si proiettò di tutto, in tanti anni, da Disney a Federico Fellini, da Vacanze romane a Lawrence d’Arabia, tutti i classici della commedia, un elenco lunghissimo. Cinema fortunato con pubblico variegato (e un loggione birichino, come ricorda Alberto Arbasino in Fratelli d’Italia), poi la lunga chiusura e nel 2001 l’inaugurazione (inizia la terza vita) come Auditorium dei Pomeriggi Musicali con una grande sala da 1.400 posti e due piccole. E quindi musica, soprattutto, ma anche riflessioni, cultura, dialettica, Ambrogini, proposte che in 20 anni hanno totalizzato 4 mila eventi e 4,7 milioni di presenze; oggi, oltre ai 15 incontri, dal 14 settembre una mostra a cura di Paolo Bolpagni ci porterà tutti in flash back.