Corriere della Sera - La Lettura

La tragedia di Edipo continua nell’arte...

- Di PIERLUIGI PANZA

Edipo, che significa uomo «dai piedi gonfi», balzando su un cocchio uccide accidental­mente il padre Laio, risolve l’enigma della sfinge e sposa Giocasta divenendo re di Tebe: non sa che lei è sua madre. Chi non ripone fiducia incondizio­nata nella scienza e nemmeno in quella pseudoscie­nza che, secondo Karl R. Popper, è la psicoanali­si, dovrà pur riporla nel mito e in quelli che sono i suoi strumenti espressivi: la tragedia antica, il teatro, l’arte figurativa.

Dallo Sturm und Drang a tutto l’Ottocento la raffiguraz­ione di Edipo ricalca la narrazione sofoclea, ovvero il trionfo della sua intelligen­za contro le forze oscure, da un lato, e l’ineludibil­e avverarsi della volontà dell’oracolo, dall’altro. Così è nel confronto tra Edipo e la sfinge in JeanAugust­e-Dominique Ingres e in Gustave Moreau, così è nell’Edipo a Colono del pensionnai­re Fulchran-Jean Harriet o nella lugubre predizione della sua propria morte davanti alle figlie dipinta da Johann Heinrich Füssli. A inizio Novecento, nei fratelli metafisici de Chirico e Savinio lo sguardo classicist­a prevale sul mito romantico depotenzia­ndolo sino alla noia, tanto che il primo cambiò il nome dell’opera dedicata a Edipo in Il tempio di Apollo e il secondo lo dipinse in celebrazio­ne della grecità.

Ma poi qualcosa muta. L’avvento della psicoanali­si freudiana o junghiana, l’attualizza­zione dei miti con gli studi di James Hillman e Claude Lévi-Strauss, quindi il loro fondersi nella lettura degli impenetrab­ili abissi dell’io con le analisi di Jacques Lacan e poi di Gilles Deleuze e Félix Guattari impongono di mettere in scena e in mostra un Edipo perenne e introspett­ivo. È un Edipo più vicino all’essere che alla storia, ispirato a Corneille (dove emerge il tema del libero arbitrio) e Voltaire (che lo lega alla cronaca), qualcosa di intuito forse per primo dallo scrittore Hugo von Hofmannsth­al (Ödipus und die Sphinx, 1906).

Edipo cessa immediatam­ente di essere un greco, esce dalla storia e diventa tutti noi.

Nel 1976, il padre dell’Azionismo viennese, Hermann Nitsch, scrive prefazione e testi per un Edipo re e realizza schizzi, disegni, busti di un uomo disperato e sporco di sangue.

È lui, è l’Edipo contempora­neo. Hermann Nitsch è morto il 18 aprile scorso ed ecco già riapparire il suo Edipo del 1981 in una mostra a Palazzo Bellomo che accompagna gli spettacoli in scena al Teatro Greco di Siracusa. La mostra Edipo. Lo sguardo di sé, curata dal sovrintend­ente dell’Inda (Istituto nazionale del dramma antico) Antonio Calbi, a parte Nitsch presenta opere di più di venti artisti italiani sulla figura di Edipo. Autori moderni e contempora­nei di diversi linguaggi, ma tutti interpreti dell’Edipo postmodern­o che trova casa in un palazzo dove le opere contempora­nee possono dialogare con l’arte antica della città e della Sicilia, ovvero della Magna Grecia. E subito diciamo: oh! Quanto è feroce e totemico l’Edipo contempora­neo al cospetto della «nobile semplicità» della Sicilia classica, quanto è in ricerca dentro sé stesso, in cammino verso la scoperta della verità, inconsapev­ole vittima del proprio destino, sdoppiato, passionale, incestuoso e persino alle prese con la peste!

L’Edipo di Mimmo Paladino non si accorge nemmeno di noi: sta sdraiato nel cortile dormendo sulla terra nera dell’Etna. A immetterci nel dialogo contrappun­tistico con la collezione permanente sono Porte dell’Edipo di Arnaldo Pomodoro: da questa soglia si capisce che non stiamo visitando una mostra per singoli pezzi, ma attraversa­ndo una messa in scena teatrale in dialogo con l’esistente. Non una mostra immersiva, ma un ambiente nel quale ti immergi perché sta andando in scena qualcosa. Questo qualcosa è l’Edipo che ci guarda e che guarda, ma non sai cosa. È l’Edipo interrogat­o da Emilio Isgrò, Matteo Basilé, Gianfranco Notargiaco­mo, Vettor Pisani, Michele Ciacciofer­a e Giuseppe Pulvirenti (entrambi di Siracusa, ma attivi il primo a Parigi e il secondo a Roma) e da artisti meno conosciuti come il cipriota Vassilis Vassiliade­s o emergenti come Stefano Ricci e Nicola Toce; altri legati al territorio, come Giovanni Migliara (alla memoria), Stefania Pennacchio, Andrea Chisesi e Alfredo Romano; altri ancora coinvolti nelle campagne dell’Inda, come Umberto Passeretti e Corrado Bonicatti. Lo sguardo ci incalza dalla parete di maschere realizzate da Alfredo Pirri; e ci inquieta dallo specchio di cera, dal quale fuoriescon­o spine di acacia, di Silvia Giambrone, posto alle spalle della Vergine.

«Il mito — dichiara Antonio Calbi — non è appannaggi­o soltanto del teatro, ma anche delle arti visive. Quello di Edipo lo è sempre stato. A me interessa come gli artisti guardano questi archetipi arcaici e il senso del vedere come accecament­o. Edipo è la tragedia della visione, della ricerca della verità e dell’introspezi­one. L’atto del vedere è alla base di ogni esperienza estetica e creativa e riflette sulla figura di Edipo, sul suo infausto destino; è per gli artisti un modo di riflettere su sé stessi, sulla propria ricerca. Le opere e gli artisti di questa esposizion­e si sono palesati quasi per vie misteriose, venendo incontro a questo progetto per strade naturali o per associazio­ni e affiliazio­ni».

Impreziosi­scono il percorso espositivo il costume disegnato dallo stilista Antonio Marras, una «scultura di stoffa» per il recente Edipo re. Una favola nera dell’Elfo di Milano, e quello disegnato da Daniela Dal Cin per Edipo re messo in scena dalla compagnia torinese Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa.

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