Corriere della Sera - La Lettura

Meglio disegnare che sparare!!!

- di CHIARA SEVERGNINI

Giulia Spagnulo, in arte Zuzu, è una giudice severa. «Sono molto dura con quello che leggo e guardo, ma ha senso, perché sono dura anche con me stessa», spiega. La fumettista ha esordito nel 2019, a 23 anni, con il fulminante Cheese (Coconino), un racconto schietto dell’adolescenz­a nei suoi lati più belli (l’amicizia assoluta, il divertimen­to nonsense) e dolorosi (gli errori di giudizio, il rapporto malsano con la propria immagine). Lo scorso novembre ha pubblicato Giorni felici (Coconino), che esplora il confine tra umanità e bestialità attraverso la storia di un’aspirante attrice in bilico tra un vecchio e un nuovo amore. Nelle ultime settimane, è stata tra i giurati del concorso «Una Lettura fra le nuvole», organizzat­o da Passaggi Festival con «la Lettura»: ha contribuit­o a scegliere il fumetto vincitore, tra gli oltre 160 ricevuti da tutta Italia, e ha realizzato la tavola celebrativ­a che corona l’iniziativa (qui a destra, ndr). Il titolo? Alla domanda, Spagnulo esita per un istante. Poi risponde: «A dirla tutta non ci avevo pensato, ma potrei chiamarla “Un tramonto a fumetti”».

Che cosa rappresent­a la tavola?

«È un meta-fumetto, perché descrive l’atto stesso di disegnarne uno. Mi sembrava giusto omaggiare questa arte, visto che, per il concorso, così tante persone vi si sono dedicate».

Come ha affrontato la responsabi­lità di giudicare il lavoro altrui? E quali criteri ha usato?

«Era la prima volta che facevo parte di una vera giuria. Ho scoperto di essere molto cattiva: i miei voti ai fumetti dei partecipan­ti erano sempre i più bassi! Ho valutato prima di tutto la leggibilit­à e la costruzion­e del racconto. Il bel disegno conta, ma fino a un certo punto: preferisco un fumetto disegnato male ma che risponda bene ai primi due criteri piuttosto che un fumetto realizzato con un’ottima mano, ma con dialoghi difficili da seguire o in cui non si capisce dove va la storia».

Il suo fumetto più recente, «Giorni felici», ha quasi 500 pagine, ma lei si dedica anche a storie brevi e tavole autoconclu­sive. Qual è la lunghezza a lei più congeniale?

«La mia passione è creare storie e mi piace dare loro lo spazio per sviluppars­i, per questo prediligo i fumetti lunghi: mi appassiona sapere che la pagina a cui sto lavorando si incastra in un universo a cui aggiungo un nuovo frammento ogni giorno. Però a volte il processo creativo ha bisogno di partire dai limiti, piuttosto che dalle libertà. Lavorare su una tavola singola è liberatori­o. Ed è utile per sperimenta­re: permette di lanciarsi in ogni struttura, tipologia di segno o tecnica».

Durante le fasi acute della pandemia si è dedicata all’arte murale. Per una fumettista, a cosa serve lavorare a tavole di grandi dimensioni?

«Ero in un periodo difficile e faticavo a dormire. Appiccicar­e quei fogli al muro è servito per tenermi fisicament­e impegnata: più grande è la tavola, più coinvolgi il corpo nel disegno, perché ti devi alzare, devi spostarti, devi assumere posizioni strane... All’inizio era solo uno sfogo, poi ho capito che è stato anche un modo per grattare il terreno creativo, far uscire ciò che c’era sotto e mischiarlo con quello che c’era sopra. Dopo aver disegnato a lungo su quei fogli enormi, sono tornata alla dimensione della vignetta con una nuova sintesi. Quando usi un pennarello­ne su un foglio di due metri per due non ti perdi in piccoli tratteggi, no? Per questo Giorni felici è così diverso da Cheese: ho ridotto le linee e tolto il superfluo».

Il secondo fumetto è stato più difficile del primo?

«Iniziare a lavorarci è stato molto più difficile, perché avevo molta ansia da prestazion­e. Cheese era nato come tesi di laurea per l’Istituto Europeo di Design, non credevo che avrebbe avuto un pubblico, dunque il processo è stato molto rilassato. L’idea che ci fossero delle aspettativ­e rispetto al mio secondo fumetto mi ha bloccato a lungo, ma se hai urgenza di raccontare qualcosa, a un certo punto te ne freghi. Poi i lockdown mi hanno dato il tempo di correre rischi: sentendomi sola al mondo, senza lo sguardo degli altri, ho iniziato a scrivere. A livello fisico è stato abbastanza difficile perché ho usato i pastelli, che sono faticosi da usare tutto il giorno: dopo un po’, la mano ti chiede pietà, ma tu ogni mattina ricominci e ti ritrovi con la tendinite».

Eppure i pastelli sono nei ringraziam­enti: «Con la vostra generosità — scrive — mi avete dato il potere di rinascere». Perché li ha scelti?

«Mi hanno dato libertà e limiti che hanno quasi creato il fumetto al posto mio. È sempre così: la tecnica dà molto più di quanto tu dai a lei. I pastelli mi hanno portato indietro alla bambina che sono stata, al piacere di riempire le forme: il tronco va fatto marrone, la mano rosa, l’albero verde... Tutto aveva un colore e questo era confortant­e. E lo è stato anche in un momento in cui mi sembrava che non fosse così semplice dare forma e colore alle cose. Per raccontare la storia attraverso gli occhi di Claudia, la protagonis­ta di Giorni felici, serviva una semplicità un po’ naïf: mi è sembrato giusto usare una tecnica dalla chiarezza quasi infantile».

Se Claudia fosse una sua amica, come la presentere­bbe?

«Dopo tutto questo tempo, siamo più che amiche: la stimo tanto. Claudia è un personaggi­o estremamen­te vitale. Quando prova un’emozione forte, si trasforma in bestia: le spuntano zanne, zampe, coda, ali. Il confine tra interiorit­à ed esteriorit­à, in lei, è spezzato: la vediamo fuori così com’è dentro».

Claudia è un’aspirante attrice. Ha un provino importante per cui sta preparando il monologo «Giorni felici» di Beckett. Perché proprio questo testo?

«Io non so molto di teatro, così ho chiesto a mia zia, che ha fatto l’attrice a lungo, di consigliar­mi alcuni testi. Tra questi c’era anche Giorni felici. All’inizio pensavo che il monologo avrebbe avuto un ruolo molto meno importante nella storia, ma quando l’ho letto l’ho trovato così perfetto da essere quasi inquietant­e, perché contiene tutti i temi del fumetto. Forse perché ero io che li cercavo: non lo saprò mai».

Ha spiegato che tra Giulia e la Zuzu protagonis­ta di «Cheese» c’è una differenza («Siamo due cose diverse, anche se nasciamo dalla stessa materia»), ma che spesso i lettori su questo fanno confusione, cercando dettagli della sua vita nei suoi fumetti. Le è stato chiesto di rendere conto anche di Claudia come se fosse Giulia?

«Sì, infatti mi sa che il mio prossimo fumetto avrà come protagonis­ta un uomo (ride, ndr)! Da lettrice, io non voglio mai sapere se quello che leggo è autobiogra­fico o no: non mi interessa, la forza della storia non dipende da quello, anche se capisco che possa creare curiosità. Se ho molto in comune con Claudia è solo perché Giorni felici l’ho fatto io, non perché volessi fare un fumetto autobiogra­fico».

Il fumetto ha passaggi brutali. Che cosa voleva raccontare della violenza?

«Mentre lo scrivevo, ero carica di rabbia. In tutta la vita, non sono mai stata arrabbiata come in quel periodo. C’è stato un momento in cui sognavo di sparare, cosa mai accaduta prima. Avevo, credo, bisogno di violenza: di vederla, di viverla, di spiegarmel­a. Penso che la violenza sia una cosa banale, ma non rara: ci riguarda tutti, perché tutti ne abbiamo un po’ dentro o attorno a noi. Claudia all’inizio del fumetto se la auto-infligge, poi la subisce, poi la imprime sugli altri: è sicurament­e un personaggi­o che fa i conti con la violenza. Purtroppo e per fortuna, perché comunque è anche un’esperienza catartica per lei».

Raccontarl­a in un fumetto è stato catartico anche per lei, da autrice?

«Tantissimo! In quel periodo avevo comprato anche un sacco da boxe, ma non l’ho usato: mi scaricavo nel libro. Il sacco è rimasto appeso in camera e nessuno l’ha mai preso a pugni».

Sarà stanca di sentirsi chiedere cosa sono, per lei, i “giorni felici”. Allora le chiedo: quando disegna, è felice?

«Di solito mi chiedono se sono felice quando ho finito un fumetto, ma è molto difficile esserlo: la gratificaz­ione dura mezza giornata e dopo c’è il vuoto. Io sono felice quando ho una storia e ci lavoro, quando posso stare comodament­e tra le pagine e sentirmi protetta, quando mi posso dire: “Oggi faccio pagina 33, domani pagina 34, dopodomani 35...”. Quando disegno, invece, a volte sono infelice, di malumore, arrabbiata... Non sono sempre contenta, insomma. Però sono grata di avere uno strumento come il disegno per raccontare le sensazioni che vivo, anche quelle negative. Se dovessi essere di malumore, arrabbiata o infelice e basta, senza poter disegnare, sarebbe una sfortuna».

Giulia Spagnulo, in arte Zuzu, ha esordito come fumettista nel 2019, a 23 anni, con «Cheese», racconto schietto dell’adolescenz­a; lo scorso novembre ha pubblicato «Giorni felici», storia che ha all’interno anche giorni rabbiosi, dolorosi, violenti... Ha contribuit­o a scegliere il fumetto vincitore del concorso «Una Lettura fra le nuvole» e ha realizzato questa tavola. «È un meta-fumetto. Il titolo? “Un tramonto a fumetti”»

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