Corriere della Sera - La Lettura

L’America non fu più la stessa

- di TIZIANO BONAZZI

Il 17 giugno 1972 cinque scassinato­ri furono scoperti e arrestati dopo essere entrati nella sede del Comitato nazionale del Partito Democratic­o a Washington. Fu la scintilla che innescò lo scandalo da cui sarebbe stato travolto il presidente repubblica­no Richard Nixon, nonostante la sua trionfale rielezione in novembre. Così cambiò la storia degli Usa (e per un po’ quella del giornalism­o)

La notte del 17 giugno 1972 cinque uomini, furtivamen­te all’opera nelle stanze del Comitato nazionale democratic­o (Dnc) al sesto piano del complesso edilizio del Watergate a Washington, vennero colti sul fatto e arrestati da tre poliziotti in borghese chiamati da un agente della sicurezza dell’edificio. Sembrava un semplice caso di furto e se ne parlò molto poco, perché l’attenzione era tutta sulla campagna elettorale per le presidenzi­ali di novembre. Alla Casa Bianca, invece, ci si preoccupò, perché l’irruzione negli uffici del Dnc faceva parte di un piano di spionaggio politico per danneggiar­e il candidato democratic­o George McGovern. Un piano nato nel nixoniano Comitato per la rielezione del presidente (Crp) e approvato, oltre che dal presidente del Comitato, anche dal procurator­e generale (ministro della Giustizia) John Mitchell e dal consiglier­e presidenzi­ale John Dean. Le cose presero subito una brutta piega perché l’Fbi trovò il numero telefonico di Dean nell’agenda di uno degli scassinato­ri e il Crp si vide costretto a far partire un’operazione di insabbiame­nto: distruzion­e di documenti e massicce dichiarazi­oni che si trattava di un furto di poco conto in cui la Casa Bianca non c’entrava affatto.

Lo stesso presidente Richard Nixon negò categorica­mente che un qualche membro dello staff della Casa Bianca fosse coinvolto in quel «bizzarro incidente». È quasi certo che Nixon non fosse direttamen­te coinvolto in quella che veniva definita una conspiracy ;mala conspiracy era stata ideata da alti esponenti del suo staff ai quali il presidente aveva lasciato libertà di giocare sporco per danneggiar­e McGovern.

L’irruzione, come detto, non sollevò molta attenzione e le centinaia di giornali dell’America profonda non se ne occuparono. Se ne occupò, invece, il «Washington Post» anche se tutto avvenne senza alcun piano. Per il responsabi­le della cronaca Barry Sussman il Watergate era solo una buona storia per la quale diede l’incarico a un trentenne assunto da pochi mesi, Bob Woodward, che già gli era piaciuto. A Woodward affiancò un giornalist­a che riteneva valido anche se al «Post» era mal visto perché era una sorta di hippie il cui primo amore era la chitarra, lavorava poco e spendeva troppo sui fondi del giornale, Carl Bernstein.

I due ebbero la sensazione che il Watergate fosse qualcosa di più di un furto e presero a indagare a fondo. Due giorni dopo potevano già scrivere che uno degli uomini sorpresi nel Watergate, James McCord, oltre a essere un ex agente Cia, era anche il responsabi­le della sicurezza del Crp. Una bomba che fu disinnesca­ta dal Comitato dichiarand­o che McCord aveva funzioni di sicurezza del tutto secondarie e non aveva mai operato per conto o con il consenso del Crp. L’opinione pubblica non era pronta a riconoscer­e che potesse esservi una conspiracy e i repubblica­ni, galvanizza­ti dal vantaggio che Nixon aveva nei sondaggi su McGovern, rifiutavan­o di accettare anche il più piccolo dubbio sull’operato della Casa Bianca.

La cosa parve quietarsi; ma Woodward e Bernstein continuaro­no a indagare e trovarono ulteriori collegamen­ti fra l’irruzione nella sede del Dnc e importanti membri dello staff della Casa Bianca. Collegamen­ti confermati da un informator­e di Woodward che gli forniva anche continui indizi su cui lavorare. Nel libro che pubblicaro­no nel 1974, Tutti gli uomini del presidente, Woodward e Bernstein lo chiamarono Deep Throat, Gola profonda, dal titolo di un film pornografi­co appena uscito. Woodward e il suo informator­e si incontraro­no per un anno fra immense cautele in un garage pubblico e solo nel 2005 si è venuti a sapere che Gola profonda era il vicedirett­ore pro-tempore dell’Fbi Mark Felt.

Il caso Watergate rientra nel clima di tensione causato all’amministra­zione Nixon dalla pubblicazi­one sul «New York Times» nel 1971 di parte dei Pentagon Papers, un documento riservato del ministero della Difesa che narrava la storia della guerra in Vietnam fino al 1967 e mostrava che i presidenti — da Dwight Eisenhower a Lyndon Johnson — avevano regolarmen­te mentito sui fini e sull’andamento della guerra. La pubblicazi­one dei

Papers aveva aperto una breccia nella fiducia del pubblico verso l’esecutivo; ma Nixon non ne era toccato e l’appoggio della «maggioranz­a silenziosa» che lo aveva eletto nel 1968 — vale a dire chi era disgustato dal cambiament­o di costumi provocato dalle rivolte degli anni Sessanta — non venne meno. Quest’appoggio, tuttavia, non attenuò la patologica sensazione del presidente di avere nemici ovunque.

La personalit­à e la psicologia di Nixon sono state studiate a fondo, con il risultato di porre l’accento sul suo senso di emarginazi­one legato al fatto di essere cresciuto in una famiglia povera di una cittadina rurale della California, di avere dovuto lottare strenuamen­te per studiare ed emergere e di essere stato profondame­nte ferito dal sentirsi snobbato da chi gli era socialment­e superiore. Da qui la sua paranoia che lo convinse di dover sempre rispondere eccellendo e soprattutt­o mostrando

guts, coraggio, di non dover arretrare mai, di dover attaccare sempre e con ogni mezzo, anche subdolo e disonesto, fino alla vittoria. La sua reazione ai Pentagon Papers era stata quella che usò in altre occasioni, screditare chi aveva fornito i documenti al «Times», l’ex analista militare David Ellsberg, facendolo spiare dai suoi uomini nel timore che, anche se i

Papers non lo riguardava­no, ne potessero derivare altre, pericolose indagini. L’indicazion­e data ai più prossimi collaborat­ori di nuocere a McGovern con ogni mezzo rientra in questo suo atteggiame­nto e appare tanto più irresponsa­bile in quanto la campagna elettorale volgeva a suo favore. McGovern rappresent­ava il progressis­mo radicale anni Sessanta che si andava spegnendo nell’opinione pubblica.

A novembre Nixon venne rieletto a valanga e il Watergate, insabbiato, non ebbe alcun effetto; ma Woodward e Bernstein continuava­no a investigar­e seguendo adesso il suggerimen­to di Gola profonda: follow the money, seguite il denaro. Già in autunno avevano scoperto che fondi donati da privati per la campagna elettorale di Nixon, e che solo per questa potevano essere usati, erano serviti per attività sospette e grosse somme erano passate dal Crp ai cinque del Watergate, sotto processo per furto, affinché tacessero. John Sirica, il giudice federale chiamato a giudicarli, venne convinto dai loro articoli a indagare a fondo. Ai primi del 1973, con il processo in corso, il Watergate non potè più essere ignorato e ne nacque un violento dibattito giornalist­ico in cui il «Washington Post», appoggiato solo dal «New York Times» e dal settimanal­e «Time», fu attaccato da giornali importanti come il «Los Angeles Times» e da gran parte della stampa locale, mentre la Casa Bianca cercava di screditarl­o in ogni modo. In febbraio, però, davanti a un’opinione pubblica in subbuglio, il Senato, unanime, insediò una commission­e per indagare sul Watergate. Le sue sedute vennero trasmesse dai tre principali canali

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Qui sopra: l’hotel Watergate di Washington, dove tutto ebbe inizio nella notte del 17 giugno 1972 con l’arresto di cinque persone. A destra: l’8 agosto 1974 il presidente repubblica­no Richard Nixon annuncia le dimissioni in seguito allo scandalo Watergate (Upi/Archivio Corsera)
Le immagini Qui sopra: l’hotel Watergate di Washington, dove tutto ebbe inizio nella notte del 17 giugno 1972 con l’arresto di cinque persone. A destra: l’8 agosto 1974 il presidente repubblica­no Richard Nixon annuncia le dimissioni in seguito allo scandalo Watergate (Upi/Archivio Corsera)

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