Corriere della Sera - La Lettura
Nella stanza chiusa metto i misfatti di tutti
Ha scelto bene i suoi compagni di avventure, María Oruña. La scorta in missione il meglio della letteratura gialla e noir internazionale. Madrine e padrini come Agatha Christie, Edgar Allan Poe, Edmund Crispin, Gaston Leroux, hanno l’incarico di alzare con una citazione il sipario su ciascuno dei capitoli che compongono il romanzo di questa scrittrice galiziana, il quarto uscito in Spagna e il primo a essere tradotto in Italia, della serie de Los libros del Puerto Escondido. I grandi maestri del mistero introducono e, attenzione!, seminano anche qualche indizio sul cammino del lettore che raccoglie la sfida di tentare di sciogliere l’enigma in anticipo sulle pagine conclusive.
Quel che la marea nasconde svela passo dopo passo la sofisticata architettura di un «delitto della camera chiusa», una tecnica che l’autrice ha sperimentato per la prima volta nella propria carriera letteraria, e in quella investigativa della sua protagonista, la tenente Valentina Redondo della Guardia Civil. Ma che ha una vasta tradizione nei polizieschi dalla fine dell’Ottocento e, in particolare, dal principio del secolo scorso. Lo schema, a grandi linee, è costante: la vittima è stata assassinata ma il suo corpo si trova in un locale chiuso dall’interno, sigillato, dal quale nessuno può essere entrato o uscito. Manca pure l’arma con la quale è stato perpetrato il crimine. E nemmeno può trattarsi di un suicidio. La spiegazione dev’essere credibile e possibilmente scientifica, magari storica. Non sono ammessi, in alcun caso, stratagemmi improbabili o sovrannaturali, come incursioni di fantasmi o di extraterrestri.
Nelle circostanze specifiche la stanza chiusa al centro degli interrogativi è la cabina di una goletta di 30 metri, l’elegante «Giralda»; e, come in molte situazioni analoghe, a bordo c’è una comitiva di personaggi che hanno tutti, per una ragione o per l’altra, motivi di rallegrarsi — o almeno di non addolorarsi troppo — per l’improvvisa e prematura dipartita dell’irritante signora Judith Pombo, presidente del Real Club di Tennis Bahía, il più esclusivo di Santander, in Cantabria. I partecipanti alla cena di gala in onore di Basil Rallis, ex campione mondiale della racchetta, sono dunque tutti più o meno sospettabili. E tutti più o meno rispettabili. L’avvio del giallo, insomma, rispetta i canoni del genere cui appartiene ma poi il romanzo salpa verso gli orizzonti più attuali della politica, dell’ecologia, del femminismo, della disabilità, della contrapposizione fra monarchia e repubblica, e fra classi sociali. La protagonista, alla ricerca del (o della) colpevole, si muove in un ambiente per nulla datato, tra gestori di aziende eco-solidali e spregiudicate donne d’affari, cercando di tenere a bada contemporaneamente il dolore della propria anima, spezzata da una tragedia personale recente.
Valentina in Spagna è arrivata qui alla sua quarta inchiesta, ma ogni libro della quadrilogia è autoconclusivo, indipendente dagli altri, e l’ordine di apparizione dei volumi non implica un ordine di lettura. Redondo, poi, non è un nome scelto a caso. È infatti il riconoscente omaggio a un’altra romanziera e conterranea di Maria Oruña, Dolores Redondo, di poco maggiore, e inconsapevole modello della collega galiziana: «Una sera — racconta a “la Lettura” — la vidi in tv parlare dei suoi esordi. Aveva lasciato l’attività di ristoratrice per dedicarsi alla scrittura. Fu una rivelazione: allora, mi sono detta, non occorre essere famosi per farsi pubblicare un romanzo».
No, non occorre, e Maria Oruña quella notte stessa decise di lasciare la sua ben retribuita professione di avvocato del lavoro per cercarsi un agente letterario. Dopo il debutto, nel 2013, con La mano del arquero, una storia di mobbing e di ambito ancora un po’ giuridico, il successo da centinaia di migliaia di copie a titolo è arrivato due anni dopo con la prima delle avventure della detective Redondo, e l’ha collocata in testa alle classifiche di vendita, nella scia di altri maghi della suspense, come Alicia Giménez-Bartlett e la sua ispettrice Petra Delicado, in servizio nella polizia di Barcellona da quasi vent’anni. La scorza di Valentina Redondo è relativamente tenera rispetto a quella della più navigata collega catalana. I suoi quesiti, gli stessi che l’autrice gira ai lettori, non sono sempre strettamente connessi alle indagini o finalizzati a ricomporre il mosaico degli avvenimenti. Spaziano tra il sociale, l’etico e l’umano. Sono i dubbi di una persona reale. Riflessioni che stonerebbero, forse, nella mente di Poirot o Sherlock Holmes. Per esempio: è vero che Judith Pombo, uccisa chissà come e da chi, era odiata da molti per la sua spregiudicatezza, ed è appurato che fosse complice di scommesse clandestine e di qualche altra nefandezza. Ma non è forse altrettanto vero che, se fosse stata un uomo, sarebbe stata definita uno «squalo della finanza» anziché semplicemente «strega»? O un «donnaiolo» invece di una «prostituta»? «Siamo noi, è il nostro sguardo a obbligarla a essere com’è» avverte la scrittrice. Perché «Judith deve dimostrare di essersi meritata la sua posizione. L’altra faccia della medaglia è l’invidia, la rabbia di chi non riesce a essere determinato quanto lei». Anche per le sue opere, Oruña rifugge dalle abituali etichette: «Né thriller scientifico né thriller storico, io credo nella vocazione letteraria, nella ricerca dell’ambientazione e della musicalità del testo. Vorrei che ogni frase scritta funzionasse di volta in volta come uno schiaffo o come una carezza». O magari come una strizzatina d’occhio. Non c’è allora da sorprendersi se, tra le pagine, fa capolino a sorpresa un autore che giallista non è, come il poeta e filosofo Miguel de Unamuno: «Addio, giorni di quiete, devo tornare alla lotta che gioca male chi gioca nient’altro che un solo gioco». Oppure una gatta siberiana dal lungo pelo bianco con ciuffi grigi, lo sguardo umano, i canini pronti a colpire e un nome che non ha bisogno di spiegazioni: Agatha. Ma no, non è lei l’omicida.