Corriere della Sera - La Lettura

Gli scacchisti, i non scacchisti. E basta

Il francese rilegge la figura di Aleksandr Alechin nel furore del Novecento

- Di SEVERINO COLOMBO

Non occorre capirne di scacchi per farsi catturare da La diagonale Alechin e non serve neppure che il protagonis­ta Aleksandr Alechin scacchista campione del mondo, risulti simpatico — non lo è — per restarne comunque affascinat­i e attratti. Il romanzo del parigino Arthur Larrue, biografia letteraria di un personaggi­o realmente esistito, si muove al di là delle categorie conciliant­i del buono e del giusto: è una partita a scacchi con il lettore in cui per vincere contano strategia e attesa; cosa dire, come e quando. E pazienza se alla fine «Alechin vedeva molto meno lontano nella vita che sulla scacchiera». Alechin era padrone del gioco quando si trattava di muovere pedine, torri e alfieri; al contrario «in quello spazio e in quel tempo che gli esseri viventi concordano di chiamare “reale”, egli non prediceva il futuro né dominava il destino».

Lo incontriam­o la prima volta nel 1940 mentre a bordo del piroscafo Miracle in viaggio da Buenos Aires a Lisbona sta rientrando in patria (nato a Mosca nel 1892, era stato naturalizz­ato francese e sarebbe morto in Portogallo nel 1946): la Germania aveva invaso la Polonia ma a lui importava di altro match quello per il titolo di campione del mondo con il detestato José

Raúl Capablanca, asso cubano.

Nella Parigi occupata Alechin sarà al soldo dei nazisti, su richiesta scriverà una serie di articoli sulle differenze tra lo scacchista ebreo e quello ariano; perderà amicizie, amori, affetti e perfino leali avversari di gioco. Una vita in diagonale, la sua, senza affrontare di petto le questioni, costretto ad affidarsi alla fortuna come mai avrebbe fatto nel gioco. Così accadde a Odessa quando fece esperienza del potere: la città era stata appena ripresa dall’Armata rossa lui era in carcere, il suo nome finito in una lista di spie e nemici del popolo; il caso volle che Trotzkij riconosces­se il suo nome e volle sfidarlo. Ricorda Alechin pensando al gioco più che alla vita: «Era un avversario impari, un insieme di mosse banali, certamente imparate a memoria, vivacizzat­e talvolta da complicanz­e brillanti ma inutili». Fece in modo batterlo evitando di stracciarl­o: il giorno seguente tutti i suoi compagni furono uccisi e solo lui si salvò. Anni dopo i tedeschi sfruttaron­o a loro vantaggio la sua fama di campione: Alechin fu in rapporti con i gerarchi nazisti Hans Frank e Joseph Goebbels, giocò per intrattene­re gli ufficiali, una partita simultanea in cui sfidò contempora­neamente ventidue avversari; era così preso dal

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